La Domenica di don Galeone: “Le differenze di lingua o cultura o religione sono tutte relative, e vanno intese non come un problema ma come una risorsa”

28 Giugno 2020 - 15:57

 28 giugno 2020  – XIII Domenica  Tempo Ordinario (A) 

 AMORE  A  PROVA  DI  CROCE

Gruppo SHALOM   השרשים  הקדושים        francescogaleone@libero.it

Prima lettura: Eliseo si fermava a mangiare da lei (2Re 4, 8). Seconda lettura: Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio in Cristo (Rm 6, 3). Terza lettura: Chi accoglie voi, accoglie me (Mt 10, 37).

Domenica dell’accoglienza   Il termine “casa” in ebraico indica sia l’edificio che la famiglia. Di questa duplice casa l’uomo ha bisogno: “Indispensabili alla vita sono l’acqua, il pane, il vestito e una casa che serva da riparo” (Sir 29, 21). A chi vuole formare una nuova famiglia è però richiesto il distacco dalla propria casa: “L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna” (Gn 2, 24). Anche Gesù un giorno ha abbandonato la sua casa di Nazaret: “Le volti hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20). Ha lasciato anche la famiglia: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” (Mt 12, 48).

A chi lo vuole seguire chiede la stessa disponibilità!

Facciamogli una piccola camera   Eliseo profeta passava per Shunèm, cittadina famosa perché in essa si erano raccolti i filistei prima di battere Shaùl sul monte Ghilbòa (1Sam 28, 4) e per avere dato i natali ad Avishàg, la bella serva del vecchio re David (1Re 1, 3). Al tempo di Eliseo, Shunèm era abitata da benestanti proprietari terrieri ed è proprio nella casa di uno di questi che avviene il racconto biblico. Eliseo era solito passare da Shunèm, perché aveva stretto amicizia con una coppia di sposi, già anziani e senza figli. D’accordo con il marito, aveva fatto costruire per lui una stanza per ospitarlo quando passava. La signora doveva essere abbastanza ricca, non si limitava a dare un’offerta ma voleva che Eliseo si sentisse membro della sua famiglia. Dio e il profeta apprezzarono il gesto e benedissero l’anziana coppia con il dono di un figlio. Anche oggi: chi si dedica al Dio ha bisogno di una presenza amica; più che di un appoggio materiale ha bisogno di una vera amicizia, soprattutto nei momenti di solitudine.

Non è degno di me!   Ci troviamo davanti a parole durissime. Gesù dice di non essere venuto a portare la pace. E aggiunge parole ancora più dure: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me”. Tutti vogliamo scansare la croce. E invece: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. Che cosa non daremmo per salvare la vita? E invece: “Chi avrà trovato la sua vita, la perderà”. Gesù non ci dice che queste cose sono ragionevoli. Ci fa capire, attraverso un linguaggio duro, che Dio va messo al primo posto, altrimenti cadiamo nella idolatria.  Dio va amato più del padre, della madre, dei figli (che è il miglior modo di amarli!). Le parole di Gesù possono anche stupirci, ma dal momento che sono state scritte, restano davanti a noi con la loro scomoda verità. Gesù non ha condannato l’amore umano, anzi lo ha tanto esaltato da farne un segno sensibile del suo amore. Rientra nei piani di Dio l’amore che lega genitori e figli, marito e moglie, purché sia aperto a valori più grandi. E’ un ricordare a tutti il primo comandamento: “Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro Dio fuori di me”. Non può essere discepolo di Gesù chi  “non odia (οὐ μισεῖ) suo padre e sua madre”. Nessun rabbino ha mai preteso tanto da chi lo seguiva e forse anche per questo un giorno i giudei hanno chiesto a Gesù: “Ma tu chi pretendi di essere” (Gv 8,53). Viene da chiedersi: ma Gesù non aveva detto di amare i nemici? I familiari sono forse peggiori dei nemici? Non aveva forse insegnato che siamo tutti fratelli? Come per la Legge antica, così per la famiglia si può dire che Gesù non è venuto per abolirla ma per perfezionarla, liberandola appunto dalle chiusure dell’egoismo. Il discorso di Gesù riflette anche la sua situazione familiare: Gesù avrà dovuto discutere con Maria, che cercava di trattenere il figlio, ben sapendo cosa lo aspettava. Nell’accettare di essere chiamata non “madre” ma “donna”, come le altre, Maria ha celebrato il suo sacrificio.

Ero forestiero e non mi avete ospitato!    Se vogliamo utilizzare il metodo della Content Analysis, dobbiamo subito dire che nel brano del Vangelo ricorre per ben sei volte il verbo “accogliere”. Anche nella prima lettura si parla di accoglienza. Tematica più che mai attuale oggi, per il problema degli sbarchi di immigrati, di extracomunitari, di clandestini… Bisogna essere accoglienti, almeno per due motivi:

per motivi teologici: nel Levitico è scritto: “Il forestiero che dimora tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi” (19,34), e il motivo è presto detto: “Anche tu sei stato forestiero in Egitto”. Nel Vangelo di Matteo è anche scritto: “Ero forestiero e mi avete ospitato” (25,38). Dalla Genesi all’Apocalisse corre questo filo rosso dell’accoglienza: “Sto alla porta e busso”;

per motivi razionali: viviamo tutti in situazione di crescente multietnicità, siamo tutti nomadi, pellegrini, in cammino; le differenze di lingua o cultura o religione sono tutte relative, e vanno intese non come un problema ma come una risorsa. E qui qualche domanda diventa necessaria: siamo accoglienti? La nostra famiglia, la nostra comunità come si rapporta con lo straniero? Incrociando un clandestino, lo evitiamo passando dall’altra parte del marciapiede? Sarebbe la parte sbagliata. Potremmo correre il rischio di sentirci quella condanna: “Via da me, perché ero forestiero e non mi avete ospitato!”. 

La famiglia cristiana   Questo vangelo, che è la fine del discorso di Gesù ai suoi apostoli sulla missione alla quale li invia, è uno dei testi più rivoluzionari e più complessi da capire, perché pone il problema complesso della famiglia. Un problema di enorme attualità nella Chiesa e nella teologia. I vangeli insegnano l’amore che si deve avere in famiglia (Mc 7, 8-13; Mt 15,3-6). Ma troviamo anche fatti e detti di Gesù che dicono il contrario. Gesù ha abbandonato la sua famiglia, la sua casa ed il suo popolo per vivere come profeta per le strade ed i villaggi di Galilea. Forse per questo le relazioni di Gesù con la sua famiglia sono state complicate: i suoi parenti dicevano che era pazzo (Mc 3, 21) e, quando andò al suo paese Nazaret per la prima volta, Gesù si rese conto che la sua famiglia “lo disprezzava” (Mc 6,4) ed vide che i suoi concittadini “non credevano” in lui (Mc 6, 6; Gv 7, 5). In ogni caso, è sicuro che Gesù anteponeva la comunità dei discepoli a sua madre ed ai suoi fratelli (Mc 3, 31-35; Mt 12, 46-49; Lc 8, 19-21). Ma soprattutto la cosa più forte è l’insegnamento di Gesù quando afferma che lui “non è venuto a portare pace ma spada”, fino a “separare l’uomo da suo padre, la figlia dalla madre…” (Mt 10, 14; Lc 12, 49-53). Anzi, Gesù arriva a dire che bisogna “odiare” i parenti a fronte della decisione di seguirlo (Mt 10, 37; Lc 9, 59s). Bisogna prendere tutto questo così come risuona? Siamo davanti ad un linguaggio strano che non si deve prendere troppo sul serio?

Tutto questo si complica ancora di più se consideriamo la dottrina sulla famiglia che c’è negli insegnamenti dell’apostolo Paolo, soprattutto nelle lettere, a lui posteriori, della sua scuola. In particolare, in Col 3, 18- 4,1 ed Ef 5,22-6,9. Paolo raccoglie la normativa del Diritto Romano e della società dell’Impero e l’applica ai cristiani. Ma il Diritto non si occupava di quello che succedeva all’interno della famiglia. Quello che interessava non era l’amore, ma il potere del padre di famiglia (il pater familias) e la proprietà (P. E. Stein). Il termine “economia” viene dall’unione di due parole greche: óikos (casa) e nómos (norma, legge). L’economia è prima di tutto “la norma della casa”, il fondamento della famiglia. Anche  la sociologia insegna che la famiglia tradizionale era soprattutto un’«unità economica», non si contraeva sulla base dell’amore (A. Giddens). Ciò di cui ci si preoccupava era il dominio, il possesso e la capacità di decisione del padre sulla sposa, sui figli e, se c’erano, sui servi e sulle schiave. Ma sappiamo che le idee ed i costumi si sono evoluti con il passar del tempo. La teologia del matrimonio e della famiglia, che molti predicatori utilizzano, non solo è rimasta arretrata, perché la prima cosa oggi nella vita non è mantenere il modello della “famiglia patriarcale” dell’antichità ma è “accogliere l’altro/a”. Perché nell’altro/a accogliamo Gesù. Ed in Gesù il Padre. Accogliere qualcuno è vivere “la relazione pura” che si basa sulla comunicazione, è comprendere il punto di vita dell’altro (A. Giddens). Quando questo si vive a fondo e veramente, allora la relazione umana rende possibile la convivenza ed in lei incontriamo Gesù ed il Padre del cielo.  Buona Vita!