La Domenica di Don Galeone: “Una Chiesa che non serve, davvero non serve a nulla!”

8 Maggio 2022 - 15:26

8 maggio    IV Domenica dopo Pasqua (C)

IL REGNO DI DIO È PIÙ GRANDE DI OGNI CHIESA 

Prima lettura: Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani (At 13,14). Seconda lettura: L’Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita (Ap 7,9). Terza lettura: Alle mie pecore io dò la vita eterna (Gv 10,27).

La domenica “del buon pastore”   La
terra d’Israele è in gran parte montuosa e adibita alla pastorizia. Custodi di greggi sono stati Abele, Abramo, Giacobbe, Mosè, Amòs, Davide… Dio è chiamato «pastore d’Israele» (Sal 23,1;80,2). Anche il Messia è annunciato dai profeti come un pastore che pascerà Israele (Ger 23,1; Ez 34). Gesù si richiama a questa immagine quando un giorno, scendendo dalla barca, vede una grande folla accorsa a piedi per udire da lui una parola di speranza. Marco dice: «egli si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore» (Mc 6,33).

Iniziamo con una precisazione: quando parliamo di Gesù buon pastore la prima immagine che ci viene in mente è quella del Maestro che tiene sulle spalle o tra le braccia una pecorella. E’vero: Gesù è ‘buon’ pastore; en passant, ricordiamo che nell’originale greco abbiamo ‘bel(kalòs)’ pastore: nello stile orientale bellezza e bontà formano un tutt’uno. Il buon pastore di cui si parla nel Vangelo di Giovanni non ha nulla a che vedere con questa immagine dolce e tenera.Gesù non si presenta come colui che accarezza affettuosamente la pecora ferita, ma come l’uomo duro, forte, deciso che si batte contro i banditi e contro gli animali feroci, come facevaDavide, che inseguiva il leone e l’orso che gli portavano via una pecora del gregge (1 Sam 17,34). Evidenziamo qualche espressione:

La prima affermazione è molto forte: le mie pecore “non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano (v.28). La loro salvezza è garantita non dalla loro docilità, dalla loro fedeltà, ma dal suo coraggio, dal suo amore gratuito e incondizionato. Questo è il grande annuncio! Questa è la bella notizia che viene dalla Pasqua.

Da chi è costituito il gregge che segue il «buon pastore»? A qualcuno viene forse spontaneo rispondere: dai ‘laici’ che accolgono docilmente tutte le disposizioni date dal clero. Pastori sarebbero, dunque, le gerarchie ecclesiali, mentre pecore sarebbero i semplici fedeli. Chiariamo: il pastore è uno solo, Gesù di Nazaret. E anche noi tutti, con ruoli diversi, siamo dei pastori!

C’è un altro equivoco che è opportuno sciogliere, quello di identificare se stessi con il gregge di Cristo. Può essere discepolo del buon pastore anche chi, pur non conoscendo Cristo, si sacrifica per il povero, pratica la giustizia, la fraternità, la condivisione dei beni… Alcuni cristiani si cullano in autocompiacimenti illusori. Il Pastore un giorno potrebbe, inaspettatamente, dire:«Non vi conosco, non so di dove siete!» (Lc 13,25).

Noi siamo conosciuti da Cristo, buon pastore   Non siamo un gregge anonimo, ma pecorelle predilette, conosciute da Dio, una ad una, per nome. A noi l’immagine del buon pastore forse può apparire poco espressiva, anzi, urtante. Noi, paragonati a pecore! Oggi, nel linguaggio corrente, viene chiamato pecora chi è sospettato di conformismo o di viltà, e si usa la parola gregge per indicare la massa che si adegua alle mode. I testi biblici, invece, usano le parole pastore, pecora, gregge, con un significato affettuoso, umanissimo: l’agnello è il simbolo del sacrificio; la pecora: della mansuetudine; il pastore: della protezione; il gregge: della coesione.

Chi ritiene di essere il salvatore degli altri, è un essere pericoloso   Nessuno di noi vuole essere posseduto o imbonito. Dobbiamo ricordare sempre che la salvezza di cui siamo portatori viene da Dio e non da noi. Con pudore e rispetto verso tutti! Arrivano ora all’improvviso a noi, sicuri nel recinto delle nostre verità, persone che ci pongono domande alle quali noi non sappiamo rispondere. Sarebbe certo meglio interrogarci se per caso noi non siamo rimasti prigionieri delle nostre povere teologie, del nostro isolotto culturale. Noi, dopo tanti secoli,abbiamo solidificato la Parola di Dio in una sola lingua, in un solo rito, in una sola teologia, in un solo diritto canonico. Fino a neppure 50 anni fa c’era una sola lingua sacra e cattolica: il latino, l’unica lingua che il buon Dio conosceva bene! Presunzione e ingenuità, come gli antichi greci, per i quali gli dei dell’Olimpo non potevano parlare che il greco (!). Pensate alle tante formule teologiche elaborate nei nostri pensatoi occidentali, ed esportate dappertutto, e da accettare da tutti, pena la scomunica.

Il pastore è Dio, che guida tutti i suoi figli    Non siamo noi le guide! Noi siamo parte di questo gregge. Dobbiamo essere un punto di riferimento, una presenza mite! Ha detto il Signore: “Quando avete fatto tutto, dite: Siamo servi inutili!”. Prese sul serio, queste parole ci liberano dalla presunzione di crederci necessari. Occorre rimetterci in discussione con tutte le nostre biblioteche teologiche; se per caso i tutori dell’ordine ci perseguiteranno, anche noi, come Paolo e Barnaba scuoteremo la polvere dai nostri calzari, perché il “regno” di Dio è più grande di ogni “chiesa”. Gesù, continuando la tradizione dei profeti (Ez 34), utilizza quest’immagine per spiegare la relazione tra i capi ed i discepoli nella comunità cristiana. L’esperienza già allora insegnava che questo problema era delicato e si prestava ad abusi molto gravi. Ezechiele si era lamentato: «Guai ai pastori d’Israele che pascono se stessi!» (Ez 34,2b). Per questo Dio stesso li minaccia:«Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge!» (Ez 34,10). È lo scandalo dei pastori che si comportano come padroni del gregge e lo dominano secondo i loro interessi e le loro preferenze. Di conseguenza Gesù spiega il modello di relazione tra il pastore, che è veramente buono e la comunità che guida. Questa relazione è definita con tre verbi:«ascoltare» (akoúo), «conoscere» (gighnósko) e «seguire» (akolouthéo).

La cosa più importante di tutte è la «sequela»   Le pecore si fidano del pastore, vanno dove lui va. Si sentono sicure con il loro pastore. Tutto ciò presuppone la modifica radicale della relazione tra chi governa e chi è governato. Non si tratta più di una «relazione di potere», alla quale corrisponde una «relazione di sottomissione». Al contrario, Gesù indica un’altra via: quella del servizio, della lavanda dei piedi. Una Chiesa che non serve, davvero non serve a nulla! BUONA VITA!