LA SENTENZA Antropoli e Marco Ricci non hanno nulla a che fare con la camorra. Assolti per il concorso esterno, mini condanna solo per lo schiaffo a Di Lillo. E per Francesco Zagaria…

11 Maggio 2022 - 17:43

Ciccio e Brezza è stato ritenuto totalmente inattendibile e per questo motivo è stato condannato a ben 16 anni e 9 mesi per il suo concorso nel duplice omicidio di Sebastiano Caterino e di suo nipote. Un verdetto che non sorprende e che in pratica era stato annunciato dal pronunciamento della Cassazione sul titolo cautelare e, modestamente, non da noi di Casertace, non dai nostri articoli in quanto tali, ma dalla elementarissima logica che in 400/500 righe da noi scritte ci ha portati a concludere ragionamenti laicamente impostati che molte delle cose dichiarate da Francesco Zagaria rappresentano delle autentiche fanfaronate.

 

 

S. MARIA CAPUA VETERE/CAPUA (g.g.) Se non è un’assoluzione, poco ci manca. D’altronde, davanti a tutto quello che la Dda aveva messo in piedi contro l’ex sindaco di Capua, nonché primario della Chirurgia dell’ospedale Cardarelli di Napoli, Carmine Antropoli, l’assoluzione totale che con ogni probabilità arriverà poi in Corte d’Appello, sarebbe stata un po’ troppo. La chiave fondamentale per la lettura del dispositivo della sentenza del processo che oltre ad Antropoli ha visto imputati altri politici di Capua, cioè gli ex assessori Marco RicciGuido Taglialatela è rappresentata dalla decisione assunta dal collegio giudicante del tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Francesco

Zagaria, detto Ciccio e Brezza, il grande accusatore, colui sul quale a suo tempo i magistrati della Dda Maurizio Giordano e Alessandro D’Alessio imperniarono, dopo un’indagine condotta dai carabinieri della compagnia di Capua, l’accusa che trovò riscontro nell’ordinanza, firmata dal gip Provisier, con la quale fu disposto l’arresto, prima in carcere poi ai domiciliari fuori regione ed altre misure cautelari diverse per Antropoli e per gli altri.

Quel provvedimento fu poi annullato, con rinvio alla Corte d’Appello, dalla Corte di Cassazione, con motivazioni su cui molto ci soffermammo a suo tempo e che in qualche modo anticipavano la sentenza di oggi, visto e considerato che gli ermellini della legittimità affermarono in pratica che il concorso esterno in un’associazione a delinquere di stampo mafioso era e, aggiungiamo noi, ancora oggi è una cosa molto seria che non trovava riscontro nella formulazione considerata molto leggera dalla Cassazione, messa nera su bianco dei magistrati della Dda. E’ vero che si trattava di un pronunciamento su un titolo cautelare, e quindi su una somma di elementi che l’accusa aveva utilizzato a quel tempo; dunque, di elementi potenzialmente integrabili e perfettibili durante le successive fasi del procedimento, ma è anche vero che la Cassazione stabiliva una distanza tanto grande tra ciò che l’atto cautelare del gip Provisier ordinava nel momento in cui  questi certificava l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di concorso esterno e ciò che, ad avviso della Cassazione, questo reato dovrebbe sempre integrare per essere contestato agli indagati in una condizione di equità.

I sedici anni e 9 mesi di reclusione appioppati a Ciccio e Brezza, significano che questo collaboratore di giustizia non è stato ritenuto credibile sin dal primo grado di giudizio, figuriamoci, aggiungiamo noi, cosa succederà in Appello, dove dure censure hanno raggiunto altri pentiti di ben altro spessore, quale Nicola Schiavone il cui contributo nel processo contro l’ex sindaco di Villa Literno, Enrico Fabozzi, i Mastrominico e compagnia è stato in pratica demolito al punto che le condanne di primo grado si sono trasformate tutte in assoluzioni.

Non è che vogliamo auto elogiarci, a riguardo eviteremo di proporvi collegamenti ipertestuali per accedere direttamente da questo articolo agli almeno 5 o 6 che abbiamo dedicato, con un enorme utilizzo energetico e cerebrale, alla esposizione delle nostre perplessità logiche, tanto logiche da apparire difficilmente oppugnabili, sulla grande difficoltà a considerare Francesco Zagaria un pentito credibile e soprattutto in grado di svelare le grandi trame nel rapporto tra politica e clan dei Casalesi. Naturalmente, scrivendo “Francesco Zagaria Casertace” in un qualsiasi motore di ricerca da Google in giù quegli articoli li troverete e capirete per quale motivo ciò che ha deciso oggi pomeriggio il tribunale di Santa Maria Capua Vetere rappresenti una conseguenza a sua volta logica, elementarmente prevedibile di tutto ciò che Francesco Zagaria ha raccontato in questo e in altri processi. Una cosa, però, il tribunale gliel’ha riconosciuta e cioè il ruolo di coprotagonista del duplice omicidio di Sebastiano Caterino e del nipote De Falco, avvenuto a Santa Maria Capua Vetere il 31 ottobre 2004. Rispetto a questo il tribunale ha creduto al suo racconto e alla ricostruzione operata in sede di requisitoria dal pubblico ministero. L’unico problema per Francesco Zagaria è stato che il tribunale non lo ha considerato un collaboratore di giustizia credibile e, dunque, non gli ha attribuito quegli sconti di pena corposi sui quali Ciccio e Brezza contava. L’unico sconto che i giudici gli hanno fatto è quello determinato dall’applicazione dell’art 416 bis1, comma 3, ovvero, gli è stato riconosciuto il fatto che si sia dissociato dalle attività del clan e di aver contribuito, con i propri racconti, al chiarimento e a un’ulteriore messa a fuoco del delitto per cui è stato condannato. Questo riconoscimento allevia la pena, evita l’ergastolo e quantifica gli anni di reclusione in un range che va da 12 a 20 anni, cioè comprendenti anche i 16 anni e 9 mesi appioppati a Ciccio e Brezza che, non può beneficiare, invece, di sconti più ampi che sarebbero stati applicati in caso di riconoscimento delle “attenuanti speciali”, previste dall’art.8 del celeberrimo decreto 203/91, quello che conteneva anche l’ancor più noto articolo 7 che rappresentava e rappresenta, seppur trasfuso nel 416 bis, quell’aggravante collegata ad atti dai quali la malavita organizzata ha tratto vantaggio.

In conclusione, avendo considerato il racconto del pentito sull’esistenza di un sistema politico-camorristico al Comune di Capua assolutamente fantasioso, Carmine Antropoli, Marco Ricci, Guido Taglialatela e l’altro imputato Armando Porciello (difeso dall’avvocato Guglielmo Ventrone) sono stati condannati solo per il capo 4. Dunque, non sono camorristi, non hanno concorso esternamente alle sorti del clan dei Casalesi, non lo hanno favorito. Un anno e otto mesi di reclusione vengono dati ad Antropoli e Ricci (ad Armando Porciello 1 anno, 1 mese e 10 giorni) per il famoso schiaffo che Francesco Zagaria avrebbe assestato al Di Lillo affinché questi non si candidasse alle elezioni. Assoluzione piena, come si diceva, invece, perché il fatto non sussiste, per il reato di concorso esterno. Nel dettaglio, assolto Carmine Antropoli, assolto Marco Ricci e assolto anche Guido Taglialatela difeso dall’avvocato Gerardo Marrocco. Il pm, al riguardo, per Antropoli aveva chiesto una condanna a 10 anni.

Per quanto concerne, invece, le pene accessorie, l’unica immediatamente esecutiva è la provvisionale a cui è stato condannato Francesco Zagaria che dovrà risarcire immediatamente 100mila euro a ognuna di queste parti civili: Vincenza De Falco classe 96, Carlo De Falco, Anna Marino e Giuseppe De Falco. Mentre per Vincenza De Falco del 1961 la provvisionale è di 50mila euro. Gli altri risarcimenti, non riguardando il reato di concorso esterno per il quale Antropoli, Ricci e Taglialatela sono stati assolti, incrociano, sempre per quanto riguarda questi imputati, escluso Taglialatela non coinvolto nella vicenda dello schiaffo a Di Lillo, la sola condanna subita e per la quale l’unico soggetto costituitosi parte civile è stata l’associazione Antonino Caponnetto che dovrà vedersi riconosciuta la somma di 4mila euro ripartita in quota parte tra Antropoli, Ricci e Porciello. A differenza della provvisionale di prima, questa pena accessoria potrà essere impugnata dai difensori di Antropoli, Ricci e Porciello davanti ai giudici dell’Appello. Per cui non è immediatamente esecutiva. Stesso discorso per la condanna al risarcimento, sempre per questi tre imputati che dovranno riconoscere all’avvocato Gerardo Tommasone, rappresentante dell’associazione Caponnetto, la somma di 5745 euro più rimborso forfettario. Siccome non si tratta né di una provvisionale, né di un rinvio alla liquidazione “in separata sede”, cioè davanti al tribunale civile, riteniamo che anche questo risarcimento sia impugnabile e, dunque, non esecutivo.

A proposito di liquidazione in separata sede, c’è un ulteriore risarcimento che Francesco Zagaria sarà chiamato a corrispondere alle parti offese del duplice omicidio di Sebastiano Caterino e del nipote De Falco. In questo caso la quantificazione non è stabilita, proprio perché dovrà essere poi il tribunale civile a deciderla, rendendo la sua sentenza, a quel punto sì, immediatamente esecutiva. In conclusione, sempre Ciccio e Brezza dovrà risarcire tutti gli avvocati delle parti civili. Nel dettaglio 4000 euro agli avvocati Rita De Costanzo e altrettanti alla sua collega Vincenza Desiato. Il risarcimento sale a 5745 euro a favore dell’avvocato Vincenzo D’Angelo e, ancora una volta, Gerardo Tommasone che ha difeso le ragioni dell’associazione Caponnetto. In questo caso non è, come è norma che sia,  una provvisionale immediatamente esecutiva, non è una procedura che rinvia al giudice civile la quantificazione, per cui dobbiamo ritenere che si tratta di risarcimenti che vanno qualificati come condanna di primo grado, dunque non esecutivi, dunque impugnabili nella sua interezza, quindi anche per quel che riguarda i risarcimenti degli avvocati, dall’imputato Francesco Zagaria.

Questa è la prima notizia che abbiamo potuto commentare avendo seguito in questi anni alcuni passaggi essenziali della vicenda, a partire dal pronunciamento della Cassazione fino ad arrivare a un ultimo fatto, solo indirettamente legato al processo conclusosi oggi, e che vede Carmine Antropoli e i suoi avvocati impegnati in una ricorso presentato in Corte di Cassazione finalizzato a far sì che quel gip Provisier che ne decise l’arresto, non sia oggi il gup dell’udienza preliminare che dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio che la stessa Dda ha presentato, sempre a carico di Antropoli, stavolta non arrestato ma rimasto totalmente a piede libero, degli imprenditori Verazzo e di altri nell’ambito del secondo filone d’indagine relativo ai fatti contestati nel primo, cioè nel processo di cui stiamo scrivendo, e anche su questa questione del gip Provisier, nel rispetto sacrale delle istituzioni giudicante ed inquirente, ha detto la sua in un articolo recente che abbiamo deciso, anche in questo caso, di non collegare con ipertesto a questo articolo, invitando, però, chi volesse approfondire a scrivere la parola Provisier nel nostro motore di ricerca interno, oppure “Provisier Casertace” in Google o in altri motori di ricerca esterni.