L’ARRESTO DEI DIANA, titolari di SRI e Erreplast. Il cognato Michele Barone prova a scagionarli, ma per il Pm e il Gip non è credibile. ECCO PERCHÈ

20 Gennaio 2019 - 19:05

CASAPESENNA – Risulta chiaro dall’ordinanza sui fratelli Nicola e Antonio Diana e sul loro zio Armando che i Pm della Dda di Napoli titolari dell’indagine Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano, si siano posti seriamente il problema dell’applicazione di misure cautelari gravi come quelle che hanno poi deciso di chiedere, ottenendole, al Gip del Tribunale di Napoli Miranda.

Ancora due anni e qualche mese fa i Pm non erano convinti dell’esistenza delle condizioni per la richiesta di arresto. Proprio a febbraio del 2016 ascoltano Nicola Diana, il quale afferma di essere stato, insieme al fratello, una vittima del tacco estorsivo di Michele Zagaria e del clan dei Casalesi.

Che il processo di maturazione da parte dei Pm sia stato serio, forse anche sofferto, sicuramente riflettuto, è dimostrato dall’ampio spazio che nell’ordinanza viene dato alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Michele Barone, fratello di Antonietta Barone, divenuta moglie, dopo un lungo fidanzamento iniziato negli anno ’80, di Antonio Diana.

È una lunga esposizione quella del pentito, tutta sul filo della volontà di evidenziare una realtà corrispondente a quella disegnata dai due patron di Erreplast e di SRI: i Diana sono stati vittime e Michele Zagaria ha avuto per loro un atteggiamento di disprezzo.

Un disprezzo particolare, che non si è esplicitato con i soliti metodi della violenza malavitosa, ma con una sorta di distacco anglosassone che avrebbe indotto Zagaria, secondo Barone, che dal boss fu anche picchiato e che al boss diventò inviso per il suo vizio della cocaina, a far spallucce di fronte al rifiuto di Armando Diana (“ma

che è impazzito Michele?“) di cambiare gli assegni portatigli da Barone e da Massimiliano Caterino.

Ma anche in un’altra circostanza, scrive il Gip in una confutazione non frettolosa ma molto articolata delle parole di Barone, il boss si sarebbe comportato in maniera del tutto anomala, sicuramente anticiclica rispetto alle modalità con cui il clan Dei Casalesi risolveva le questioni con gli imprenditori quando questi entravano nella loro black list.

E così, uno Zagaria un po’ rincitrullito si sarebbe bevuto la versione di Barone, il quale gli aveva raccontato che i 20mila euro pretesi dai fratelli Diana erano stati consegnati a lui perché li desse a Zagaria, salvo poi venire distratti nell’acquisto di un terreno da parte di Barone.

Circostanza a cui Zagaria non avrebbe creduto, sentenziando: “Te li sei spesi per la cocaina“.

L’elemento più importante che secondo il Pm e il Gip fa naufragare il racconto innocentista di Michele Barone nei confronti del cognato Antonio Diana e dei suoi congiunti, è l’ammissione che il pentito deve fare sulla circostanza concreta relativa al criterio di costruzione di una lista di imprenditori da colpire con estorsioni fondamentali per una raccolta fondi a favore del clan.

Si decise di tener fuori da quella lista gli imprenditori “amici”.

E in quella lista non furono inseriti i fratelli Diana.