L’EDITORIALE E LA MAPPA. Per la Dia la camorra dei Casalesi sono i colletti bianchi. Zero arresti o quasi e le prospettive (fosche) le ha spiegate a Le Iene il procuratore Nicola Gratteri
13 Aprile 2023 - 12:03
In attesa di esaminarla nel dettaglio, partendo, magari, dalla camorra del Terzo Settore (a proposito, che fine ha fatto l’inchieste su Lagravanese, Capriglione e co? Visto che in tre anni nulla è successo). Iniziamo oggi la valutazione sul primo passaggio che riteniamo interessante. Anche quest’anno la definizione, la riperimetrazione delle strutture criminali di questa regione e di questa provincia sembrano un copia-e-incolla di quelle dell’anno precedente. E allora bisogna trovare un senso a tutto questo. La magistratura sembra aver fatto un passo indietro rispetto ai reati contro la pubblica amministrazione. E le prospettive, come ha lucidamente affermato il magistrato calabrese, vanno addirittura verso un peggioramento delle cose. IN CALCE ALL’ARTICOLO IL TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE SEMESTRALE DELLA DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA SULLA PROVINCIA DI CASERTA CON LA MAPPA
di Gianluigi Guarino
Nel momento in cui la Dia (Direzione investigativa antimafia) afferma che esiste una camorra rinnovata che oggi indossa, molto più di ieri e di sempre, i colletti bianchi, scatta una fotografia anche piuttosto desolata e desolante.
Da un lato, infatti, certifica il fenomeno, dall’altro lato, però, non può esporre numeri rilevanti di repressione dello stesso.
L’altra sera, un inviato del programma Le Iene ha trascorso una giornata intera con il procuratore Nicola Gratteri,
Gratteri, parlando della riforma delle intercettazioni, ha rivolto una critica al collega, oggi ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
Se è vero, infatti, che le restrizioni all’utilizzo di questo strumento non riguarderanno le inchieste di mafia e terrorismo, è anche vero – ha notato con sapienza Gratteri – che l’inchiesta di mafia, molto spesso, è una conseguenza, è un effetto di un lavoro compiuto a monte sui procedimenti della pubblica amministrazione segnati soprattutto al sud (anche se non solo) da un’altissima cifra di corrotti e di corruttori.
Tante inchieste su reati contro la pubblica amministrazione aprono – ha aggiunto Gratteri – porte e portoni alle inchieste di mafia.
E allora, la limitazione, in senso garantista, dello strumento delle intercettazioni finisce per indebolire anche le inchieste sulla criminalità organizzata, in quanto tale strumento è reso molto meno efficiente ed efficace nei lavori inquirenti che si fanno con l’obiettivo di reprimere concussione, corruzione, abusi d’ufficio, turbative di aste variamente taroccate, che rappresentano il pane quotidiano il quale alimenta quei colletti bianchi di cui la Dia parla come se fossero degli ologrammi, dato che restano largamente impuniti, loro, così come i burocrati e anche qualche politico.
Tutto ciò con la conseguenza che l’affermazione, inserita com’è nel rapporto Dia sulla criminalità, diventa un’analisi sociologica e nulla più, condotta da un organismo di polizia che non esiste certo per istruire seminari di sociologia, ma per catturare mafiosi, camorristi, ndranghetisti e affini.
LA MAPPA E LA RELAZIONE DIA SULLA CAMORRA IN PROVINCIA DI CASERTA
La provincia di Caserta ha il suo epicentro criminale nell’area dei Comuni intorno a Casal di
Principe ove le pressanti e continue azioni di contrasto delle forze di polizia hanno evidenziato
la persistente operatività del clan dei CASALESI. Nel territorio del Comune di Marcianise gli
esiti investigativi documentano la presenza del clan BELFORTE, del sodalizio dei PICCOLOLETIZIA e di altri piccoli gruppi autonomi, organizzati su base famigliare, come i clan
MENDITTIe BIFONE. Nel Comune di Villa Literno storicamente accertata l’operatività del
clan BIDOGNETTI cui si affianca una criminalità straniera di origine centrafricana sempre
più attiva in numerosi settori criminali quali i cults nigeriani che, con metodi particolarmente
violenti, gestiscono il traffico e lo spaccio di stupefacenti, la tratta di esseri umani e lo
sfruttamento della prostituzione delle loro connazionali.
L’area che comprende i Comuni di Santa Maria a Vico, Arienzo e San Felice a Cancello
ricadrebbe sotto il controllo dei gruppi operanti a Maddaloni (CE) e riconducibili al clan
BELFORTE di Marcianise attivi, soprattutto, nel campo delle estorsioni. In questo comprensorio,
continuerebbero a operare, in particolare nel settore degli stupefacenti, anche esponenti di
gruppi autonomi nel tempo indeboliti a causa della detenzione o dalla collaborazione dei
rispettivi vertici.
Il clan dei CASALESI ha rappresentato storicamente un punto di riferimento nel panorama
criminale casertano sebbene oggi la sua struttura, differente da quella originariamente
confederativa di diversi clan, risenta dell’incessante azione di contrasto condotta dalla
Magistratura, dalle Forze di Polizia e dall’Autorità prefettizia.
Grazie anche ad una spiccata capacità “militare”, gli SCHIAVONE permangono la componente
dell’organizzazione più forte e stabile rispetto a quelle delle famiglie ZAGARIA e BIDOGNETTI
che, anche nel semestre in questione, non hanno evidenziato segnali di palese conflittualità.
Il continuo adattamento per la sopravvivenza ha costretto il cartello confederato, così documentato
nelle trascorse evidenze giudiziarie, ad un processo di necessaria trasformazione per evolvere
in autonome organizzazioni che preservano il controllo del territorio mediante fluide e nuove
modalità operative. Alle giovani leve (che vantano legami di tipo parentale con figure apicali
di storiche famiglie di camorra) è affidato il controllo militare del territorio esercitato tramite la
gestione delle attività illecite legate al traffico di sostanze stupefacenti, settore in cui nel passato
i sodalizi casalesi erano rimasti estranei. In questo ambito, si sarebbero sviluppati rapporti per
l’approvvigionamento dello stupefacente con gruppi napoletani e con la ‘ndrangheta calabrese.
Le indagini concluse nel semestre hanno evidenziato anche un rinnovato interesse dei
sodalizi nella gestione delle piattaforme dei giochi on line e delle scommesse illegali63,
nonché nell’infiltrazione nel sistema del recupero degli oli esausti mediante forme di illecita
concorrenza nel peculiare mercato.
Il reimpiego di denaro provento di delitto in attività economiche e l’infiltrazione negli appalti
di sevizi tramite condotte corruttive e collusive con funzionari pubblici costituiscono la
manifesta vocazione imprenditoriale del clan dei CASALESI che li contraddistingue dalle
altre organizzazioni camorristiche campane. La strategia di contrasto adottata dalla Procura
distrettuale napoletana, che ha efficacemente coordinato gli sforzi operativi sul piano
investigativo e preventivo della DIA e delle altre Forze di Polizia, ha colpito sistematicamente
non solo questa spiccata capacità ma anche quella di avvalersi di un solido “capitale sociale”
composto da relazioni e reti affaristiche-criminali in cui risultano coinvolti sistematicamente
funzionari pubblici e imprenditori attivi in molteplici settori.
Come emerso da recenti operazioni, la propensione dei Casalesi ad un modello criminale
di tipo imprenditoriale e la correlata capacità di infiltrarsi nel tessuto economico della
provincia si concretizza mediante diversi imprenditori operanti, in particolare, nel settore
edile che rappresenterebbero la “componente esterna” del clan. Questi, pur non organici
all’organizzazione camorristica, vi concorrerebbero in maniera continuativa e determinante
tramite la gestione di imprese ed aziende strumentali al perseguimento dei fini criminosi del
clan casalese. L’accordo economico-criminale prevede, tra l’altro, un sistema costituito dai c.d.
“cambio assegni” e dalla fornitura di materiale edile alle imprese aggiudicatarie con cui le
ditte “compiacenti” riuscirebbero a garantirsi la spartizione degli appalti anche in altri settori
imprenditoriali come quello dei rifiuti speciali e in altri territori della regione campana. Talune
attività investigative concluse dalla Polizia di Stato di Caserta hanno evidenziato l’interesse
dei clan casertani anche verso i settori socio-assistenziali.
Tale infiltrazione nel cd. “terzo
settore” avverrebbe tramite il coinvolgimento di persone fisiche, gruppi familiari e imprese
riconducibili alla criminalità organizzata casalese, da cui i clan trarrebbero enormi profitti
grazie al complesso sistema di controllo delle gare pubbliche per l’affidamento dei servizi
sanitari e di assistenza, spesso ricorrendo a pratiche corruttive in concorso con funzionari
delle locali amministrazioni. Le società cooperative coinvolte nell’indagine sarebbero intestate
fittiziamente a terzi soggetti sebbene in taluni casi, negli organigrammi di Società e Consorzi
di Cooperative sociali, figurano soggetti già colpiti da provvedimenti interdittivi antimafia.
Una delle modalità utilizzate dalle società coinvolte nell’indagine sarebbe quella di aggiudicarsi
gli appalti più consistenti “appoggiandosi” ad altre aziende di maggiori dimensioni in grado di
far fronte – per capacità tecnico-organizzative – alla fornitura dai servizi più complessi.
Le tecniche emerse e palesemente finalizzate a turbare la libertà di scelta dei contraenti
sarebbero consistite anche nel ricorso sistematico ad azioni giudiziarie in sede amministrativa
per impugnare, solo in caso di mancata aggiudicazione, gli atti amministrativi definitori dei
procedimenti amministrativi.
Questo meccanismo avrebbe permesso alle società riconducibili
al clan di poter sfruttare lo strumento della cd. “proroga tecnica”, ex art. 106 comma 11 del D.
Lgs. 50/2016, giustificata dalla necessità delle amministrazioni pubbliche di garantire i servizi
nelle more della conclusione della procedura indetta per il reperimento di un nuovo contraente.
Il contrasto ai patrimoni illeciti nei confronti delle diverse compagini del clan dei CASALESI
ha segnato, anche nel semestre in corso, importanti risultati. Beni per circa 7 milioni di euro
riconducibili a imprenditori edili “vicini” al citato clan operanti anche nella provincia di Lucca
e Caserta sono stati confiscati in quanto illecito frutto dell’aggiudicazione di molteplici appalti
per milioni di euro acquisiti grazie alla connivenza di un dirigente dell’ASL.
Un’importante sequestro patrimoniale, del valore complessivo di 9 milioni di euro68 costituito
da disponibilità finanziarie suddivise in fondi di investimento, azioni, conti correnti e quote
societarie, è stato eseguito dalla DIA a carico di una famiglia di imprenditori legata, da stretti
vincoli di parentela, ad un esponente di spicco dei CASALESI-gruppo ZAGARIA. La misura
ablativa è scaturita dall’approfondimento investigativo di una serie di operazioni sospette che
hanno condotto all’individuazione di un patrimonio mafioso non ancora colpito e interdetto
alla disponibilità del gruppo imprenditoriale considerato nel tempo l’ala economica della
famiglia ZAGARIA.