L’EDITORIALE. L’Antonio Scialdone “fase uno” e l’Antonio Scialdone “fase due”. Per noi è trasformazione genetica. E comunque giù il cappello, perchè senza di lui sarebbe stato difficile incastrare Giorgio Magliocca

28 Ottobre 2024 - 00:01

Abbiamo deciso di approfondire solo oggi, in modo da farlo in maniera articolata e mettendo a valore le esperienze, le connessioni personali e interistituzionali vissute in questi anni, la vicenda del contributo importantissimo, fornito alle indagini della procura di Santa Maria Capua Vetere sul presidente della provincia, dal sindaco di Vitulazio, Antonio Scialdone

VITULAZIO/CASERTA (g.g.)Antonio Scialdone è stato decisivo nell’indagine che ha inchiodato Giorgio Magliocca, costringendolo, per evitare un arresto imminente quanto inevitabile, a rassegnare le dimissioni da presidente della Provincia e da sindaco di Pignataro Maggiore.

Chi scrive ha avuto, per anagrafe biologica e professionale, la possibilità di incrociare e, soprattutto, di conoscere a fondo quella che ci piace definire la fase uno della vita pubblica di Antonio Scialdone, quella legata alla stretta relazione allo spoil system di Nicola Ferraro, un imprenditore di camorra secondo le sentenze e per qualche anno consigliere regionale dell’Udeur, che lo portò ad assumere significativi incarichi di vertice, prima nel Consorzio intercomunale dei rifiuti Caserta 1 (aree matesina, pre matesina e medio Volturno), poi, per inerzia, quando Nicola Ferraro era già in netto declino travolto dalle inchieste giudiziarie, nel Consorzio dei Rifiuti unificato, divenuto un ferro vecchio, ma non tanto vecchio da evitare una fase di liquidazione alla maniera meridionale, ossia lunga, interminabile e, soprattutto, in grado di garantire una rendita di posizione economica formidabilmente longeva e di chiara impronta gattopoardesca a Ciccio Paolo Ventriglia, commissario finanche più eterno del dittatore nord coreano Kim Jong-il, padre defunto dell’attuale leader comunista Kim Jong-un al quale Vladimir Putin, solo lui poteva riuscirci, ha imposto giacca e cravatta un incontro avvenuto qualche giorno orsono.

Quegli anni hanno marchiato Antonio Scialdone con il ferro rovente di una collateralità rispetto a mondi contigui, se non addirittura intranei (naturalmente, ci riferiamo a Nicola Ferraro) alla camorra alfa, ossia quella costituita dal clan dei Casalesi.

Antonio Scialdone fu seguito e indagato a lungo dalla Dda del tempo e pagò dazio con il coinvolgimento in diverse inchieste giudiziarie in cui, a mio avviso, meritava di stare, come questo giornale ebbe modo di scrivere con le sue modalità solite, ossia quelle opposte, antitetiche rispetto al metodo della toccata e fuga. Per un lungo periodo, rivoltammo come un calzino le attività che Scialdone aveva svolto dentro ai consorzi dei rifiuti e nulla, proprio nulla, gli fu risparmiato.

Ci sono parole di significato troppo esteso e con accezioni troppo numerose perché vengano utilizzate allo scopo di semplificare, di rendere accessibile ai più un ragionamento complesso.

Tra queste, da maneggiare con estrema cura, ci sono le parole “amore” e “intelligenza” Lo capisci dal numero impressionante e soprattutto aperto, pressoché illimitato di aggettivi che vi si possono associare.

Ma siccome questo è un articolo è non una speculazione filosofica, ci permettiamo di proporre noi un restringimento di accezione dell’intelligenza, collegandoci a quello che io ho visto in quella che ci piace definire, invece, la fase due della vita pubblica di Antonio Scialdone.

Non nego che mi ha e ci ha marcatamente impressionati il tentativo pervicace, apparentemente irragionevole, compiuto da Scialdone di rimanere legato, anzi, abbarbicato alla vita pubblica, nonostante la disastrosa immagine recata con sé dagli anni dei Consorzi dei rifiuti.

Ma questa nostra sorpresa, questa attestazione di originalità comportamentale è andata maturando nel tempo perché, in prima battuto, abbiamo accolto la cosa con un’alzata di spalle, dato che Scialdone non era la prima persona a non voler mollare la presa, nonostante un imprinting fortemente negativo, portato con sé da un rapporto con il codice penale molto relativo e molto relativizzato.

Ma quando ho cominciato a parlare con lui, per normali ragioni giornalistiche, in occasione della campagna elettorale delle Comunali di Vitulazio, le antenne della mia percezione, alimentata, rafforzata anno per anno da una lunga esperienza professionale vissuta in questa terra, hanno cominciato a drizzarsi e a recepire segnali anomali.

Sapeva, Scialdone, di potersi battere con ampie possibilità di vittoria per la fascia tricolore al comune di Vitulazio. Lo sapeva perché il suo paese era stato amministrato da un sindaco obiettivamente molto scadente, Raffaele Russo, ancorché ordinariamente zanniniano.

Antonio Scialdone percepiva, infatti, il dissenso, lo scollamento tra Russo e l’elettorato che l’aveva seguito qualche anno prima. Insomma, una condizione raramente ricorrente in cui un sindaco uscente non riesce a correre da favorito alle successive elezioni, non guadagnando una riconferma che, nell’80% dei casi, è stata garantita quale secondo mandato ai suoi colleghi.

Ma Antonio Scialdone – e qui recuperiamo il concetto di intelligenza da qualificare in una certa maniera – sapeva benissimo che una sua vittoria elettorale ottenuta a prescindere dai propri trascorsi, magari a Vitulazio non avvertiti come impedimento, non sarebbe bastata per garantirgli la possibilità di far politica, partendo da un consolidamento della propria posizione di primo cittadino. Sarebbe stato il contesto provinciale, della politica ma forse anche di un prezzo della magistratura, a disseminare ostacoli sul suo cammino.

Occorreva, dunque, modificare la percezione che molte persone e alcuni potestà avevano maturato su di lui, considerandolo – a ragione o a torto, ma la percezione quella era – poco meno e poco più che un maneggione, un faccendiere, al soldo di un imprenditore che DDA e tribunali hanno definito camorrista.

Da quelle chiacchierate con lui ho capito che, al di là di questa necessità di intraprendere il percorso difficilissimo, complicatissimo di una modifica percettiva di un suo eventuale impegno pubblico in politica, con l’obiettivo di conquista del potere – seppur piccolo – di sindaco di Vitulazio, albergava in lui qualcosa in più.

Ossia, la consapevolezza che qui a Caserta un mondo, ma soprattuto un modo di sottendere la politica agli interessi economici, quelli biechi, ma anche a quelli ordinari, volgeva ormai al termine.

In Scialdone ho colto un senso di nausea derivato direttamente dalla sua esperienza personale e professionale, connotata, quest’ultima, in tanti anni, quelli degli ultimi dei Novanta ai primi del Duemila, dall’ambizione, molto giovanile e sicuramente smodata, di rimanere comunque a galla in quell’epoca tempestosa e caratterizzata dall’ingresso della malavita organizzata nelle istituzioni di questa provincia, cedendo al compromesso e diventando la longa manus, l’esecutore materiale di trame oscure, opache e soprattutto sempre collegate alla realizzazione degli interessi economici di pochi.

A mio avviso, gli è scattata una molla ad Antonio Scialdone. Sembra strano, mi rendo conto che tante persone, a buon ragione, possano dichiararsi diffidenti, scettiche rispetto a quello che possiamo definire semplicemente un cambiamento, non volendo impegnare la categoria molto più importante e spirituale della conversione.

Ma se qualcuno dei nostri lettori ha fede nel mio approccio alle cose, nell’impostazione di questo giornale che riesce a rimanere freddo nel momento in cui analizza, sperimenta, non dando mai nulla per scontato e rifuggendo dal difetto tutto umano di innamorarsi pregiudizialmente di una tesi, allora credeteci: Scialdone ci è apparsa una persona diversa rispetto al passato.

E parliamoci chiaro, se nell’ottobre 2023 lui non avesse compiuto un percorso di resipiscenza morale, ma chi gliel’avrebbe fatto fare di chiamare le forze dell’ordine, i carabinieri per comunicare a loro l’anomala iniziativa di Giorgio Magliocca, recatosi da lui con la sicumera e l’arroganza che hanno contraddistinto i suoi ultimi anni, accusandolo di aver colloquiato a telefono con i militari sulle sponsorizzazioni e le sorti della squadra di calcio del Vitulazio e disvelando – a nostro avviso – in quella maniera se stesso, perché una guapparia del genere non la fanno le persone con non hanno nulla da nascondere, ma di solito lo schema “tu parli con le guardie” rappresenta uno storico cliché che discrimina chi ha scelto di fare il delinquente da chi delinquente non è, tacciato di essere una sorta di traditore.

Ed è proprio l’accusa dei soldi che girano nel Vitulazio calcio è la fondamentale quanto difficilmente contestabile accusa, mossa oggi dai pubblici ministeri Gerardina Cozzolino e Massimo Urbano, coordinati dal procuratore Pierpaolo Bruni, al presidente della Provincia nonché sindaco di Pignataro, cariche dalle quali Magliocca si è, per il momento, temporaneamente dimesso in attesa della scadenza dei 20 giorni, previsti dal Testo unico sugli enti locali, e fissata per il prossimo 14 novembre.

Scialdone si sarebbe potuto fare “i fatti suoi” e sicuramente quello della fase uno se li sarebbe fatti. Al contrario, come dovrebbe fare ogni buon cittadino e a maggior ragione come dovrebbe fare un buon sindaco, ha avvertito i carabinieri del fatto che Magliocca, chissà come, chissà perché, fosse a conoscenza dei contenuti della telefonata tra lui e i componenti della polizia giudiziaria in attività assieme ai magistrati della procura.

Qui è inutile filosofeggiare e fare processi alle intenzioni. Come abbiamo già scritto prima, rispettabile, al pari del nostro, è anche il punto di vista di chi, nel comportamento di Scialdone, non coglie un elemento di purezza, come noi di CasertaCE invece cogliamo, bensì di interesse, di calcolo politico.

Detto ciò, però, giù il cappello, quale azione dovuta all’effetto che l’iniziativa che il sindaco di Vitulazio ha prodotto, al di là dell’intenzione che l’ha mossa.

Perché Antonio Scialdone ha avuto il coraggio di compiere un passo che ha consentito alla Repubblica Italiana di assestare i primi e speriamo non ultimi colpi di ramazza al mondezzaio, al letamaio in cui soggetti, ai quali stavolta non concediamo l’attributo “politico”, ossia Giovanni Zannini e Giorgio Magliocca, hanno ridotto la provincia di Caserta, così come scriviamo da tempi non sospetti, ossia anni e anni.

E allora, lunga vita a Scialdone e ad eventuali altri Scialdone. Speriamo che più sindaci possibile si rendano conto che esiste anche un modo diverso per amministrare il proprio comune.

Certo, questo modo necessità di studio, si approdo ad un livello di preparazione amministrativa nettamente superiore rispetto alla media attuale posseduta dalle fasce tricolori, di necessità di scelte ponderate e responsabili per le cariche di giunta e soprattutto di un’intransigente durezza nei rapporti con i dirigenti delle burocrazie che hanno la potestà anche di determinare l’esito di gare e affidamenti.

Ci rendiamo conto, valutando ogni giorno quanto conti nell’atteggiamento di questa gente il proprio dna, di nutrire una speranza forse alimentata dallo spiraglio di luce delle inchieste che in questi mesi sono emerse alla Provincia e (due) al comune di Caserta.

Ma, accantonato l’adagio sulla speranza che non costerebbe nulla, dato che a noi di CasertaCe è costata molto in termini di fatica e di costi, ci teniamo il secondo adagio, ovvero che la speranza è l’ultima a morire.