L’EDITORIALE. Ora De Luca può rispondere ai prof e agli intellettuali Pd (dei suoi stivali?) che lo attaccano come fece Craxi nel 1984 con Norberto Bobbio. Ma non finirà allo stesso modo. IL CASO SORESA

15 Marzo 2022 - 12:27

Una nostra breve riflessione che mette insieme la notizia, di cui molto si parla negli ultimi giorni, della lettera aperta – prima firma Isaia Sales, spedita dall’intelligentia del Pd al segretario nazionale Enrico Letta, con un argomento complesso che intendiamo, però, portare avanti nei prossimi mesi relativamente alle gare d’appalto e agli affidamenti del settore della sanità da parte della Soresa, dunque di De Luca, a certe multinazionali

di Gianluigi Guarino

Nei giorni scorsi, professori universitari e altri intellettuali campani hanno scritto una lettera ad Enrico Letta, segretario nazionale del Pd, partito per il quale, evidentemente, simpatizzano.
Hanno definito De Luca un autocrate autoreferenziale, un odiatore del prossimo in ormai costante esercizio

Ci mancavano solamente le parole “fascista” o “stalinista” e il quadro del raccapriccio sarebbe stato completo.
Quella lettera l’abbiamo letta e l’abbiamo trovata ineccepibile nel contenuto delle argomentazioni esposte.
Naturalmente, Entico Letta ha detto che se ne occuperà, ma siccome c’è la guerra, non ora, ma…. bla bla e ancora bla.
In realtà, ne siamo certi,  non se ne occuperà, perché i voti di De Luca fanno comodo al Pd, ma soprattutto a Enrico Letta, in vista delle elezioni politiche dell’anno prossimo.
Per cui, il segretario si girerà, sostanzialmente,  dall’altra parte. E siccome, al di là della sua apparente bonomia, sempre un politico italiano è, dunque uno immerso per intero  in una narrazione in cui quello che si dichiara pubblicamente al popolo bue è distante anni luce dalla pratica effettuale, dalla politica politicante materiale, al massimo assisteremo ad una diluizione del problema, in modo da non urtare più di tanto il governatore, il quale, in questo anno che ci separa dalle elezioni politiche, proverà a mordersi la lingua, magari dopo aver ‘regalato” qualche battuta sprezzante ai professori e agli intellettuali che lo attaccano, in occasione del videomessaggio social di venerdì prossimo, durante il quale, ovviamente, parlerà senza contraddittorio,  al netto di questa scomodissima condizione, che De Luca non ha mai sopportato nè retto emotivamente nelle rarissime occasione in cui ha dovuto necessariamente incrociare li sguardo con quello di un interlocutore che lo contestava, guardandolo, per giunta, diritto negli occhi.

Per il suo prossimo monologo settimanale  gli consigliamo vivamente di citare testualmente un Bettino Craxi d’annata che così tuonò nel maggio di quasi 38 anni fa: “Intellettuali dei miei stivali!” disse colui che i detrattori definivano “il cinghialone della politica italiana” rispondendo a Norberto Bobbio ed altri intellettuali di area socialista che lo contestavano.
Ma il problema-De Luca non è solo attinente alla forma, attraverso la quale lui manifesta il suo pensiero nel momento in cui racconta la propria attività di governo. Il declino e il degrado autocratico del governatore si coglie, infatti, soprattutto nei contenuti delle scelte di potestà, degli atti delll’Amministrazione attiva sempre più rivolti alla causa della conservazione di un potere, che si avvita sempre di più su se stesso e che si ciba dell’autoreferenzialità tipica dell’uomo solo, anzi, in questo particolare caso, solissimo al comando.
Per cui, De Luca già sta completando il percorso del presagio di Norberto Bobbio, che si guadagnò quello sberleffo da un Craxi che si riteneva invicibile, proprio in quanto aveva “osato” criticare l’elezione per acclamazione, al Congresso di Verona, di un leader che, oltre alla carica di segretario nazionale del partito, ricopriva anche quella di presidente del Consiglio.
Il presagio di Bobbio, che riguardava il potenziale distruttivo, il cupio dissolvi  che ⁸quel partito avrebbe iniziato ad auto infliggersi con  la scomparsa, per cancellazione, di ogni dialettica democratica interna Un segno di latente declino politico, destinato a terminare in fondo a un precipizio, mostrato plasticamente da un congresso, caricatura di se stesso, che non eleggeva realmente il suo segretario, ma lo investiva come si fa con i dittatori

Quel presagio di Norberto Bobbio, su cui Craxi non ebbe il coraggio e, forse, la lucidità per riflettere, trovò il suo drammatico riscontro in Tangentopoli, nella distruzione materiale del Partito Socialista e personale di Bettino Craxi.

Nel caso della Regione Campania, come detto, la malattia, o meglio le conseguenze della malattia dell’autocrazia, sono, invece, già dentro alla storia di quest’ultimo anno, di questi ultimi mesi, di questi ultimi giorni.
La questione degli appalti banditi da Soresa, su cui introduciamo le prime nostre cronache in un articolo pubblicato contemporaneamente è contestualmente a questo editoriale,  è l’espressione più evidente, più inquietante di questa deriva, che oggi, però, non trova la giusta contraria in un’attività della magistratura inquirente, la quale, a causa dei suoi errori, non è e non può essere più quella degli anni ’90, quella del pool di Milano, che risparmiando volutamente il Partito Comunista, incubò, nell’odine giudiziario, il virus della “non credibilità”,  i cui effetti sono letteralmente esplosi con il caso Palamara e con una delegittimazione che oggi ha portato le procure a passare da un eccesso all’altro, da una esagerata e spesso faziosamente esagitata lettura delle notizie di reato, relative ai casi di corruzione contro la Pubblica Amministrazione, al silenzio assordante e all’impunità di questi ultimi tempi,l garantita a ladri di ogni risma, ai campioni della corruzione sistemica, che hanno preso semore più coraggio dall’impalpabilita del lavoro della magistratura inquirente. Una conduzione di Fare West che, in Campania, consente a De Luca, ai suoi galoppini territoriali  e a sindaci come Carlo Marino di continuare a gestire il potere senza che su di esso si manifesti il contrappeso costituzionale dei  controlli di legalità e di legittimità  e dunque con una disinibizione progressiva e, ormai, pressoché irresistibile, dettata a evaporazione graduale di ogni timore di incrociare una ferma applicazione del principio che rende obbligatorio, ma soprattutto fermo, impegnato e applicato l’esercizio dell’azione penale,  così come quest’ultima è prevista e definita dalla Costituzione italiana.