L’EDITORIALE. Roberto Saviano e il suo latinorum. L’unica verità su Sandokan: la Dda gli ha chiesto dov’è nascosto il grande bottino, lui non l’ha detto e oggi non è più un pentito
6 Luglio 2024 - 14:37
Lo scrittore ha pubblicato un piacevole, quanto inutile, articolo sul Corriere della Sera, enfatizzando l’incontro che c’è stato tra Francesco Schiavone e il figlio Emanuele Libero e disegnando un quadro di ricostruzione di una possibile guerra organizzata tra famiglie camorristiche, che oggi non ha possibilità di essere, semplicemente perché il 2024 non sono gli anni ’90 e non sono neppure i primi anni di questo secolo. Diciamocela tutta: la mistica della camorra militare serve a mantenere in vita l’antigomorrismo culturale.
di Gianluigi Guarino
Abbiamo letto con molta e sincera attenzione l’articolo, pubblicato dal Corriere della Sera, a firma di Roberto Saviano che
Un articolo piacevole per l’estetica di una scrittura che mette insieme chiarezza e indubbie conoscenze sulla materia generale della cosiddetta criminalità organizzata. Come molto spesso capita con gli scritti di Roberto Saviano, un articolo, a mio avviso, poco efficace per aiutare il lettore a interpretare gli elementi reali, nell’accezione generale e anche in quella strettamente giuridica di questo attributo, connessi alla decisione della magistratura antimafia di revocare a Francesco Schiavone Sandokan i benefici attribuiti ai collaboratori di giustizia, con conseguente ritorno al regime del 41 bis. Il problema dell’efficacia si mescola a quello di un eccesso interpretativo, quando Saviano scrive dell’arresto di Emanuele Libero Schiavone, figlio di Sandokan, avvenuto qualche giorno fa a Napoli, dove si trovava, secondo le sue enunciate, quanto pie, intenzioni, per riorganizzare, a quanto pare, le fila del clan e per tenersi forse al riparo dalla minaccia, materializzatasi nel piombo intimidatorio subito nei primi giorni di giugno, quando ignoti, probabilmente associati al gruppo che un tempo si collegava a familiari di Bidognetti, hanno bucato, con una sventagliata di mitra, le mura, un tempo inviolabili, della dimora di famiglia, in via Bologna a Casal di Principe.
Saviano parla di una sentenza di morte già pronunciata da Bidognetti. Ciò rappresenta una lettura a dir poco approssimativa, quand’anche suggestiva, di una condizione profondamente modificata della mappatura criminale che opera tra Casal di Principe, San Cipriano e Casapesenna. I Bidognetti, intesi come esponenti diretti della famiglia capitanata da Cicciotto ‘e mezzanotte, quest’ultimo in carcere addirittura dal 1991, non sono, infatti, allo stato reale delle cose, in condizione di impartire ordini diretti. Ciò, grazie alla capacità mostrata dalla Dda e dai carabinieri del Reparto investigativo del gruppo di Aversa, di rompere, in maniera decisiva, ogni contatto tra l’elemento più attivo della famiglia, ossia Gianluca Bidognetti, e l’esterno dei militanti, per effetto dell’operazione del novembre 2022 con la quale il più giovane dei rampolli di Cicciotto è stato privato dei suoi telefonini con cui comunicava con i suoi.
Per quanto riguarda il citato ordine di morte, Saviano afferma che questo riguarderebbe sia Emanuele Libero che Ivanhoe, trovato insieme al fratello a Napoli, ma a differenza di questi, non arrestato. E anche ciò appare un’interpretazione inesatta, che si discosta da una asciutta e reale considerazione dei fatti. A quanto ci risulta, Ivanhoe è tornato a Casal di Principe, dove continua a risiedere tranquillamente, come ha fatto per anni ed anni.
Molto piacevole anche la parte in cui Saviano sviluppa la sua interpretazione semantica dei gesti che hanno connotato l’incontro tra Francesco Schiavone e il figlio Emanuele Libero nel marzo scorso.
Al di là di qualche giuramento di sangue sporadico, il clan dei Casalesi non ha mai dato ai gesti, ai segni pur presenti nelle relazioni interpersonali, un significato neanche lontanamente assimilabile a quello, quasi sacrale, attribuito da altre mafie, a partire da Cosa Nostra. In effetti, un Emanuele Libero esagitato e scalpitante già dal carcere, da dove è uscito anche in ritardo, rispetto all’iniziale fine pena, per tutta una serie di casini che ha combinato, risse, liti, ecc., si è auto attribuito questo ruolo di ricostruttore del gruppo Schiavone, considerando il pentimento del padre un fatto molto più rilevante, per lui negativamente rilevante per la conservazione della primazia del clan dei Casalesi, di quanto questo sia stato considerato degli stessi magistrati della Dda. Se, infatti, gli Schiavone sono finiti o quasi è merito della magistratura e delle forze dell’ordine, non certo del pentimento, poi rientrato, di Francesco Schiavone. Sul terreno di Casal di Principe, San Cipriano, Casapesenna sopravvivono schegge intrise di una mentalità che oggi provano a ricostruire un sistema che probabilmente la storia, l’inerzia del tempo, ancor di più rispetto ai colpi pesantissimi inferti dallo Stato, non permetterà di ricostruire, almeno attraverso modelli organizzativi come quelli di un tempo, che Emanuele Schiavone, un po’ pateticamente, vorrebbe imitare.
Quindi, non c’è nulla di semantico nel pentimento di Sandokan e nell’arresto di Emanuele Libero Schiavone e nel loro incontro, tutt’altro che fatale, avvenuto nel marzo scorso. Crediamo che gente come Saviano abbia bisogno che certi modelli continuino ad esistere, quanto meno nella percezione comune, in modo che i cantori enfatici degli stessi, di cui Saviano è capofila, sopravvivano a loro volta. Ma qui, la Dda ha dimostrato di essere dentro ai tempi e al passo con i tempi. Se ha dato a Sandokan la gratifica di qualche mese di tempo per godere dei benefici attribuiti ai collaboratori di giustizia, è perché da lui voleva sapere solo una cosa, non due, visto che i magistrati sanno fin troppo bene che un camorrista, un mafioso ridotto al 41 bis da 26 anni, non può darti certo notizie fresche o notizie del passato prossimo. Da Sandokan la Dda voleva conoscere la sorgente di certe storie economiche, il punto di inizio della scalata di certi imprenditori, che oggi circolano, ma soprattutto fanno circolare decine e decine di milioni di euro da insospettabili che indossano colletti bianchi. Da Sandokan la Dda voleva sapere dove sia nascosto il grande bottino, dove è stata riciclata la montagna di quattrini affluiti nelle casse del clan dei Casalesi nel corso di tutti gli anni 90, in modo da comprendere come quel sistema fosse sopravvissuto, anche dal momento in cui Sandokan è entrato in carcere.
Siccome queste informazioni Francesco Schiavone non le ha date, siccome su queste informazioni Francesco Schiavone è stato vago e probabilmente reticente, il suo programma di protezione è stato revocato.
Tutto qui. E avrebbe detto don Abbondio senza tutto questo latinorum savianeo.