L’INTERROGATORIO DI NICOLA DIANA. “Mia sorella non si è mai accorta che il filo della corrente del bunker di Zagaria passava per la sua proprietà.” Su Raffaele Capaldo: “Poi è stato assunto dalla ditta del sindaco Marcello De Rosa”
1 Febbraio 2019 - 12:43
CASAPESENNA – Abbiamo suddiviso in più parti l’interrogatorio di Nicola Diana che non è servito, però, i magistrati inquirenti della dda sul punto essenziale di questa vicenda: i Diana sono stati vittime oppure sostenitori dei carnefici? Per la dda, è valsa la seconda ipotesi, nonostante il tentativo dei due fratelli di dimostrare che il rapporto con Zagaria era di tipo estorsivo. Alla fine di questo articolo leggerete anche la motivazione, spesa dai pubblici ministeri della dda per spiegare il motivo per cui non hanno creduto a Nicola Diana.
Ma veniamo al contenuto di quest’ultima trance dell’interrogatorio che Nicola Diana ha affrontato il 26 febbraio del 2016.
A proposito delle estorsioni, Diana riferisce di aver pagato fino al 2009, anno nel quale le richieste di pagamento, a sua detta, terminano. A quel punto, siamo nel 2010, i due fratelli decidono di assumere il figlio di Domenico Noviello, l’imprenditore trucidato dall’ala stragista del clan dei casalesi, con a capo Giuseppe Setola.
Ancora, Diana afferma di avere avuto dei problemi legati al riconoscimento della fondazione Mario Diana, intitolata al papà ucciso nel 1985 dalla camorra. “Nel 2013 – racconta – abbiamo chiesto alla Prefettura di Caserta di ottenere il riconoscimento della fondazione stessa. Tale riconoscimento c’è stato negato sulla base della nota della Questura di Caserta del 2014 nella quale veniva evidenziato (…) che per l’abitazione di mia sorella Teresa, in via Mascagni di Casapesenna, sarebbe stato fatto passare all’interno un filo di erogazione dell’energia elettrica, in favore dell’abitazione dove è stato catturato Michele Zagaria.”
A proposito di quel filo fatto passare per la casa di Teresa Diana, Nicola sostiene che non si trovava in casa, ma all’esterno “è appoggiato al cornicione” e si dichiara certo che il passaggio “è certamente avvenuto all’insaputa di mia sorella“.
Ma non è tutto. Altro motivo che ha ostacolato il riconoscimento della fondazione Mario Diana da parte della Prefettura di Caserta, è legato all’assunzione di tal Raffaele Capaldo, nome noto ai più in qualità di cognato di Michele Zagaria, in quanto marito della sorella di quest’ultimo, Beatrice e papà di Filippo, considerato dalla dda, l’erede criminale dello zio boss.
In questo caso, però, si tratta di un caso di omonimia: “Raffaele Capaldo – dice Diana – non è più un mio dipendente dal 2007 e comunque non è il cognato di Michele Zagaria ma il cugino. (…) La sua parentela mi ha creato difficoltà nel rilascio della certificazione antimafia, nel 2007 decisi di licenziarlo proprio per tale motivo.“.
Alla fine delle dichiarazioni di Nicola Diana emerge un dato che ha sconcertato lo stesso imprenditore: “Raffale Capaldo di cui sto parlando è attualmente dipendente della ditta di proprietà dell’attuale sindaco di Casapesenna Marcello De Rosa.”
I magistrati, alla fine, tirano le conclusioni e non credono alla versione raccontata loro: se effettivamente i Diana erano vittime di estorsione, per “competenza territoriale” avrebbero dovuto pagare il pizzo alla fazione Russo/Schiavone, egemone nel territorio di Gricignano dov’è situata la loro Erreplast; evidentemente, vittime non erano e quei soldi servivano “a sovvenzionare il clan“, scrivono i giudici.
Il dettaglio lo leggete nello stralcio qui in basso.
QUI SOTTO LA SECONDA E ULTIMA PARTE DELLE DICHIARAZIONI DI NICOLA DIANA