L’INTERVENTO. Giuliano Balbi, ordinario di Diritto Penale alla Vanvitelli: “Con il Covid siamo tornati alle carceri di un secolo fa. Pan-penalismo e giustizialismo semplicemente non servono”

18 Gennaio 2021 - 12:35

di Giuliano Balbi*

 

Il professore affronta un argomento tanto urgente quanto sminuito, se non addirittura disconosciuto: “Nei penitenziari il Covid ha fatto sospendere tutte le attività di riabilitazione. Resta solo la natura reclusiva e afflittiva”

CASERTA – A fine d’anno è stata assunta un’iniziativa importantissima per la democrazia del Paese, che tuttavia è stata oscurata dal preminente tema della pandemia, anche se proprio da essa almeno in parte determinata. Oltre duecento tra i massimi esperti in materia penale – ma il numero è in costante crescita – hanno rivolto un appello (il testo in calce) al governo per la riduzione del sovraffollamento carcerario, specie in questa delicata situazione sanitaria. Tra i firmatari del documento figurano tre docenti dell’università casertana Luigi Vanvitelli, tra i quali il professore Giuliano Balbi, ordinario della cattedra di diritto penale.  Ci siamo rivolti a lui per un suo specifico commento .

CasertaCE.net: “Professore Balbi, lei è tra i firmatari del recente appello al governo, promosso dal professore e decano Giovanni Fiandaca tra gli studiosi ed i cattedratici di discipline penalistiche, per la riduzione del grave problema del sovraffollamento carcerario, soprattutto in questo periodo di pandemia. All’iniziativa hanno aderito tutte le università del Paese con un ampio numero di docenti. Con Lei, dell’Università

degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, hanno firmato il documento il professore associato Andreana Esposito e la professoressa Mena Minafra, ricercatore di diritto penitenziario e giurisdizione di sorveglianza. Le saremmo grati se potesse esprimere una sua valutazione sul senso dell’appello e sulle finalità che esso realisticamente si propone, anche alla luce delle osservazioni più ampie espresse dallo stesso promotore professor Giovanni Fiandaca in un suo scritto in proposito, secondo il quale servirebbe un nuovo orientamento culturale per ripensare un ruolo meno invasivo del penale nella sfera pubblica”.

Nelle foto, da sinistra, la professoresse Andreana Esposito e Mena Minafra dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”

Professore Balbi: “L’appello del prof. Fiandaca evidenzia alcuni gravi problemi che oggi caratterizzano sia la nostra realtà carceraria sia l’uso frequentemente improprio che si è fatto del diritto penale nel nostro Paese. Per quanto riguarda il primo aspetto, va detto che una situazione già estremamente grave di sovraffollamento, tale da privare frequentemente i detenuti di diritti fondamentali – si pensi che lo spazio a disposizione di ciascuno è non di rado inferiore ai tre metri quadri – ha acquisito caratteri drammatici con l’emergenza Covid. In un contesto in cui non è possibile mantenere alcun distanziamento – ma l’art. 32 della Costituzione garantisce a tutti, senza alcuna distinzione, il diritto alla salute -, la diffusione del virus è ormai quasi incontrollata. Nel contempo, sono sospese tutte le attività di carattere formativo e risocializzante, né è consentito l’accesso al volontariato negli istituti di pena. Diciamo che la pandemia ha fatto ritornare il carcere, sul piano funzionale, indietro di almeno un secolo. Ne sta sopravvivendo solo il carattere custodiale nei confronti, essenzialmente, delle fasce più deboli della popolazione. Sarebbe stato opportuno intervenire, quantomeno per limitare al massimo, in costanza dell’emergenza, il ricorso alla custodia cautelare in carcere, misura di carattere detentivo che si applica – in presenza di talune condizioni e comunque per un tempo non superiore a un anno – a soggetti che non hanno riportato una sentenza detentiva di condanna. Al contrario, il decreto Ristori bis, sede evidentemente del tutto incongrua, ne ha sospeso i termini per tutto il periodo dell’emergenza pandemica, prolungando a tempo indeterminato la permanenza in carcere di persone che vanno comunque presunte come innocenti fintanto che non sia sopravvenuta una sentenza definitiva che ne abbia accertato la colpevolezza. E’ evidente la scelta politica di privilegiare istanze di controllo sociale a discapito della tutela della salute e della libertà personale, così sovvertendo la gerarchia di valori prevista dalla nostra Costituzione e creando un vulnus significativo alla tenuta di un sistema penale democratico.

Il tutto si inscrive, ma il discorso sarebbe evidentemente troppo lungo, in un sempre più frequente uso simbolico del diritto penale, caratterizzato dall’enfatizzazione mediatica di istanze giustizialiste ideologicamente confuse, ma tristemente adeguate, in anni di populismo dilagante, a far acquisire consenso politico-elettorale. Un pan-penalismo non soltanto incongruo, ma tendenzialmente inefficace, perché l’unico strumento davvero idoneo a prevenire e contrastare la criminalità consiste nel promuovere i valori del rispetto, della solidarietà e dell’inclusione, garantendo al corpo sociale le condizioni di una vita dignitosa. Quando ci troviamo di fronte a problemi le cui cause sono di ordine sociale e culturale, la risposta adeguata non sarà mai la politica criminale, infatti, intimamente inadeguata ad affrontarli, non le norme “a effetto”, le dirette Facebook o i vacui proclami di guerra alla criminalità, ma la politica culturale e la politica sociale, ovvero un impegno politico serio, caratterizzato da investimenti nella formazione e nella creazione di lavoro, strutture e opportunità. Per i giovani, ma anche per chi giovane non è più, e in un mondo reso ancor più drammaticamente difficile dalla pandemia, non può essere abbandonato”.

Ringraziamo il professore Balbi per il suo lucido ed aperto intervento e sottoscriviamo in pieno le sue meditate riflessioni. Se i concetti da egli espressi, penetrati dei più sacri principi della nostra costituzione, non faranno breccia nell’imperante giustizialismo, difficilmente potremo dirci uno stato realmente democratico. E siamo lieti che  nostra università si schieri con le sue migliori energie in battaglie di principio e di libertà così rilevanti.

*Professore ordinario di Diritto Penale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli

 

TESTO DELL’APPELLO 

Come studiosi e docenti universitari di discipline penalistiche, aderiamo in ideale staffetta allo sciopero della fame di Rita Bernardini, Irene Testa, Luigi Manconi, Sandro Veronesi, Roberto Saviano e di oltre 500 detenuti, quale forma di mobilitazione per chiedere al governo e alle autorità competenti di adottare provvedimenti idonei a ridurre il più possibile il sovraffollamento delle carceri italiane, così da prevenire il rischio di un’ulteriore diffusione del contagio da coronavirus al loro interno. Questa emergenza sanitaria, nel fare riaffiorare in maniera più amplificata la condizione molto problematica in cui non da ora versa il sistema penitenziario italiano, sotto il profilo delle condizioni di vita intramurarie, del livello di rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti e di una effettiva idoneità della pena a conseguire l’obiettivo costituzionale della rieducazione e del reinserimento sociale, può rappresentare un’importante occasione per riaccendere le luci sul pianeta-carcere e sollecitare il potere politico a riprendere il cammino delle riforme necessarie per ridare vitalità e concretezza ai princìpi enunciati nel terzo comma dell’art. 27 della Costituzione.