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L’ORDINANZA. La Dda ne è convinta: Nicola Schiavone sr è il “capo dei capi” di tutti gli imprenditori che in Italia e nel mondo lavorano al servizio del clan dei casalesi. TUTTI NOMI

5 Maggio 2022 - 16:31

 

CASAL DI PRINCIPE (Gianluigi Guarino) – Ci sono buone ragioni per considerare valida e fondata l’ambizione dei magistrati inquirenti della Dda, che hanno condotto l’indagine, e quella del gip del tribunale di Napoli che ha firmato l’altro giorno l’ordinanza dei 36 arresti (più altri 30 indagati) che ha colpito un fondamentale settore imprenditoriale del clan dei casalesi, quello riferibile ai due fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone, rispettivamente 68 e 58 anni, ormai trapiantati a Roma e dentro a tante vicende, non tutte purtroppo chiarite nella stessa ordinanza di cui stiamo scrivendo.

L’ambizione fondata è quella di aver messo le mani dello Stato addosso a persone, a soggetti che non sono considerati dalla Dda rei solamente dei reati collegati alle loro relazioni illecite con dirigenti e funzionari corrotti delle RFI, che sta per Rete Ferroviaria Italiana, braccio operativo nei cantieri di Trenitalia, ex Ferrovie dello stato, ma di aver catturato un capo dei capi.

Non il capo dei capi che sta in carcere dal ’98 e si chiama Francesco Schiavone detto Sandokan, ma un capo dei capi. Perchè, nella lunga narrazione contenuta negli atti giudiziari, riguardanti il clan dei casalesi e ogni sua attività economica, compaiono i nomi di decine, ma che diciamo decine, di centinaia e centinaia di imprenditori i quali avevano e forse qualcuno di loro ha ancora, il potere di trattare in nome e per conto della camorra di Casal di Principe, di  San Cipriano e di Casapesenna, anzi, addirittura, di rappresentarla, anche al cospetto di un’altra classe di imprenditori, una sorta di valvassori rispetto ai vassalli della prima citazione.  Valvassori, i quali, addirittura si sono contati e forse si contano ancora a migliaia e che sono stati lì ad accettare un sistema che era l’unico possibile per lavorare in questi territori.

Nel momento in cui la contestazione-madre, il capo di imputazione provvisorio principale, cioè l’associazione a delinquere di stampo mafioso, ai sensi di quei commi dell’articolo 416 bis che ipotizzano l’intraneità, la diretta partecipazione degli indagati, precisamente di 15 dei 66 complessivi, all’organizzazione criminale, inizia con la qualificazione del 68enne Nicola Schiavone quale “capo della componente imprenditoriale del clan”, significa che Schiavone, per i magistrati della Dda e per il gip che ha firmato l’ordinanza, non è stato e non è il capo di una sola  componente imprenditoriale, ma una sorta di presidente federale, l’autorità massima che ha rappresentato per anni e anni il punto di riferimento, prima di Francesco Schiavone Sandokan, poi dei reggenti che l’hanno sostituito, poi ancora del suo figlioccio di battesimo o di cresima Nicola Schiavone, figlio dell’appena citato Sandokan.

Non a caso, pur dovendo riconoscere che il 68enne Schiavone,  che dell’appena citato Nicola junior, oltre ad essere il padrino è anche lo zio, essendo lui cugino di Sandokan, fu assolto nel maxi processo Spartacus, la Dda non rinuncia a sviluppare per intero tutto il  ragionamento del capo 1, inchiodandoci una staffa temporale con la quale afferma che, mentre le responsabilità individuali dei vari indagati vanno collocate in un arco di tempo che varia dal 1997 ad oggi, esiste un’attività complessiva del clan dei casalesi  e di gruppi anche precedenti alla fondazione dello stesso, che parte dal 1980.

In poche parole,  la Dda rilancia, integrandolo  a carico di Schiavone senior e anche a carico di Dante Apicella, uno degli uomini d’oro della camorra per i lavori pubblici, e integra quelle accuse formulate dall’istruttoria del processo Spartacus, da cui Nicola Schiavone senior uscì assolto, mentre suo fratello Vincenzo se la cavò con una condanna a due anni di reclusione, 42 anni di imprenditoria criminale. L’edilizia, patrimonio ancestrale di una genetica, di un’attitudine radicatissime in questi territori, diventa un terminale in cui si vanno a depositare i primi proventi delle attività criminali più plebee, cioè i soldi provenienti dalle estorsioni.

Ma successivamente l’edilizia è stata mano mano in grado di auto svilupparsi, di bastare a se stessa.  Ovviamente da un punto di vista organizzativo e funzionale, perché la forza alle ditte di Casale, di San Cipriano, di Casapesenna, legate o collegate al clan dei casalesi, gliela fornisce proprio questo status e il fatto che in ogni comune dell’agro aversano ma anche del resto della provincia di Caserta, ci sono politici e burocrati i quali affiancano e assecondano le richieste e le pretese di queste ditte, di questi imprenditori.

Lo fanno per paura, ma lo fanno anche e soprattutto perché c’è biada anche per loro. Il sistema, dunque,  è questo. E di tale sistema Nicola Schiavone senior è considerato il capo assoluto da decenni.

Ora, se è veramente così, lo stabilirà un tribunale, lo stabiliranno i processi. Ma è certo che nelle intenzioni della Dda c’è il voler piantare  un punto fermo, qualificando in questo modo la figura dell’imprenditore di Casale trapiantato a Roma. E siccome questa indagine è firmata anche dal pm Antonello Ardituro, che non è certo uno sbarbatello e che è reduce da anni e anni di indagini sul clan dei casalesi, di cui è uno dei massimi conoscitori mondiali, siamo portati a pensare che questa ambizione di aver preso il vero ministro delle attività produttive della camorra possa trovar riscontro negli esiti processuali futuri.

Sempre rimanendo al capo 1, un peso importante viene attribuito a Dante Apicella. Mentre però  Nicola Schiavone senior viene legato  alle attività imprenditoriali in generale e generalmente comprese in molteplici ambiti merceologici e dell’erogazione di servizi materiali e immateriali,  l’Apicella è considerato leader limitatamente (si fa per dire)  al settore dell’edilizia e dei lavori pubblici. Insomma  il ministro delle attività produttive Nicola Schiavone senior  ha dalla sua un vice ministro o anche un super sottosegretario con delega ai lavori pubblici, che dunque opera in un ministero differente, quello alle Infrastrutture, ma che si collega stabilmente al dicastero delle attività produttive, il quale nella “libera Repubblica di Casal di Principe” si connette al ministero occupato da Nicola Schiavone junior e che,  pur continuando questa cazzeggiante similitudine, non osa definire, così come andrebbe definito, ministro dello sviluppo economico.

A  un certo punto della storia, l’attività principale di Apicella non è più consistita nel partecipare   spasmodicamente alle gare bandite dai comuni, a partire da quello di Casale, ma nel coordinare il traffico degli affidamenti a queste ditte e a queste persone che poi hanno fatto tutte riferimento a lui, il quale poi a sua volta ha dovuto ridurre  a fattor comune, tutte le entrate,  in modo che una parte di esse venissero  utilizzate per il sostegno alla vita dei boss incarcerati e delle loro famiglie, con una quantificazione del 10% su tutti i proventi derivanti da tutta questa attività esercitata nei lavori pubblici.

Come è tipico dei sistemi mafiosi, la necessità di tenere protette il più possibile le attività criminali, implica che in campo scendano intere famiglie. E così Dante Apicella è stato affiancato dal fratello Vincenzo Apicella anche lui impegnatissimo a solcare corridoi e stanze dei comuni, ovviamente avendo come base quello di Casale, soprattutto negli anni attorno al 2007. Poi, in una fase successiva è entrato in scena anche  Pietro Apicella, figlio di Vincenzo e dunque nipote di Dante che mano mano, crescendo anagraficamente, ha assunto un ruolo sempre più importante, diventando, proprio nel periodo appena citato, attorno al 2007, anche espressione politica del suo clan familiare e più in generale di quello dei casalesi, grazie al quale è stato eletto in consiglio comunale.

Da una famiglia all’altra: quella di Diana coinvolge ben 6 dei suoi componenti,  tutti finiti dietro alle sbarre. Si tratta di  Gennaro, Mario, Salvatore, Giancarlo, Luigi e Vincenzo, che sono tanti perché ampia e capillare è stata la loro attività, consistente nella partecipazione, il più delle volte coronata da successo, a lucrose gare d’appalto, bandite dalla pubblica amministrazione. Una squadra familiare di fedelissimi affiliati agli obiettivi e alle necessità criminali di Dante Apicella.

I Diana hanno operato, nel tempo, con diverse imprese, tra le quali la  Disa Srl e la Digeco Srl. Nella contestazione di reato, la Dda fa riferimento ad un particolare tipo di appalti, attivati con gare bandite dal Comune di Casal di Principe: i cosiddetti contratti di quartiere, di cui la famiglia Diana avrebbe fatto man bassa, ovviamente per la soddisfazione di Dante Apicella.

Le altre persone finite  in carcere, alle quali viene contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, dunque il reato  più grave tra quelli addebitati a ognuno dei 66 indagati  (clicca e leggi l’elenco e le ripartizioni

) dentro a questa ordinanza. Ora, incrociamo le identità degli altri indagati.  Si parte con Claudio Puocci, discreto, sobrio, e mai plateale, quand’anche essenziale uomo di riferimento operativo. Uno dei pochissimi che, insieme a Dante Apicella, interloquiva direttamente con Nicola Schiavone senior, interpretandone e realizzandone concretamente i propositi.

Per quanto riguarda Tommaso Mangiacapra, entriamo nel perimetro dei fondamentali riciclatori di un profluvio di danaro che, per esistere quale reddito messo a disposizione della vita e di ogni esigenza del clan, va tenuto sempre  al riparo dall’insidia della sua imputabilità, anche indiretta, a persone già coinvolte in inchieste giudiziarie, già imputate in processi di camorra, e già colpite da attività di prevenzione consistenti nell’attacco ai patrimoni malavitosi.

Le società che Mangiacapra mette a disposizione in modo che i loro conti correnti possano accogliere il danaro incassato grazie all’opera degli Apicella, dei Diana, sono la Edilizia Meridionale, la Edilizia Point, la Meridione Srl, la RTM srl, la Emme Group, la Emmedue Group, tutte aziende a lui formalmente intestate.

Allora proiettiamoci nell’ultimo capitolo tematico di questa fondamentale porzione dell’ordinanza. C’è cambio assegni e cambio assegni: questa attività, infatti, è stata contestata nella storia di clan camorristici campani  a molti imprenditori indagati per collusione e per favoreggiamento. Molti di loro si sono giustificati affermando che cambiare l’assegno di un camorrista era un obbligo, non un’opzione e spesso e volentieri si risolveva con il mancato incasso di un assegno che si rivelava, dunque, solo carta straccia,  carta da cestinare, destinato a rimanere definitivamente  scoperto e che quindi si identificava come strumento estorsivo.

Nel caso caso di Antonio Magliulo, stiamo parlando di un personaggio che secondo la Dda, dal 2002, ha svolto sistematicamente questa funzione, assumendo dunque un ruolo cruciale nella movimentazione del danaro e in una prima  ripulitura dello stesso. Magliulo cambiava direttamente o individuava gli imprenditori che potevano farlo. Non era una vittima, bensì, sempre secondo la Dda, una sorta di  gestore finanziario degli interessi del clan.

Sempre a  proposito di persone di fiducia, il Puocci di Dante Apicella, cioè colui che svolgeva la funzione di fedelissimo, di luogotenente così come faceva il primo a favore di Nicola Schiavone senior, era  secondo l’accusa, Francesco Salzillo, un vero e proprio factotum in grado di orientarsi nelle procedure amministrative e che ha lavorato, prima, esclusivamente, con Dante Apicella, salvo poi essere messo a  disposizione anche di Pietro Apicella, nipote di Dante quando  il “giovanotto” ha preso le redini di molte cose nella cogestione degli affari di famiglia.

E con Salzillo completiamo la carrellata delle posizioni di 15 dei 20 indagati colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere a cui viene contestato il reato principale di far parte, a pieno titolo e con piena consapevolezza, del clan dei casalesi, con tanto di contestazione, come già scritto all’inizio di questo articolo  ai sensi dei commi più severi dell’articolo 416 bis del codice penale.

Naturalmente, la nostra è stata un’ampia sintesi. Ma  come sempre, per chi volesse approfondire, mettiamo a disposizione, in calce a questo articolo,  lo stralcio integrale dell’ordinanza, comprendente l’intera formulazione del capo 1.