MACRICO Il vescovo Lagnese e don Antonello “se la vedono loro”. Ecco i loro piani: una fondazione per costruire…

20 Gennaio 2022 - 19:08

La svolta inattesa, ma fino a un certo punto, perché di don Giannotti si conoscono bene le passioni imprenditoriali. Vedremo nei prossimi giorni se ci saranno ulteriori reazioni. E’ chiaro che adesso diventa utile anche ricostruire storicamente l’origine del titolo di proprietà di quest’area

 

 

Caserta (pasman) Le dichiarazioni sul Macrico rese ieri dal vescovo Lagnese nel corso di un incontro pubblico ci hanno fatto letteralmente trasecolare. E non è a dire che abbiamo una sensibilità particolarmente spiccata, in questa provincia dove ne abbiamo viste e ne vediamo di tutti i colori, con il malaffare che vi regna sovrano. In verità, in un primo momento avevamo creduto di aver letto e capito male. Ma poi, a farci ricredere, le stesse affermazioni le abbiamo trovate in bocca a don Antonello Giannotti, il neo presidente dell’istituto diocesano per il sostentamento del clero, ente ecclesiastico con personalità di diritto, il quale è giuridicamente il proprietario appunto del Macrico. E che cosa ha detto l’uno e ribadito l’altro? Che la chiesa casertana, per votare finalmente l’area al bene pubblico, sta trovando il modo di creare una fondazione apposita – onde superare gli impedimenti di un’eventuale vendita del bene, allo stato non possibile a mente del codice di diritto canonico e di canoni speciali – e di darvi sede, nell’ordine, ad un conservatorio, all’università di agraria o ad una propaggine di essa con un orto botanico – non si ben capisce.

Né più né meno, sotto altre spoglie, che la boutade del sindaco Marino dello scorso agosto, che se ne usci con un piano da 170 milioni di euro per la realizzazione di una cittadella universitaria capace di alloggi per 1500 studenti, di strutture annesse e persino di un fantasioso lago. E ciò dopo che, appena il precedente aprile, nel corso dell’importante consiglio comunale che discuteva – si ricorderà – della petizione cittadina sul Macrico, affermava l’intenzione di volere destinare l’area a verde pubblico. E qui sia consentito un inciso, data l’importanza della questione. Le opposizioni di allora ed anche quelle di oggi non hanno mai voluto approfondire questa specifica vicenda della cittadella universitaria, come sarebbe stato doveroso fare per censurare politicamente il sindaco. Difatti ci siamo sempre chiesti come Marino ed il rettore abbiano – come fu detto allora – potuto presentare alla regione Campania quel progetto così ampio, sia pure di fattibilità, dopo appena tre mesi da quell’impegno assunto nell’assise cittadina che escludeva opere di ogni sorta. Ma, d’altro canto, il silenzio serbato da tutti i consiglieri sulla gravissima (specie per il verbo teorico dell’alleato grillino) vicenda giudiziaria che coinvolge ora il sindaco e relativa all’affaire Carlo Savoia è eloquente al riguardo.

Torniamo al tema. Come già abbiamo avuto modo di dire in altre occasioni, iniziative di questo segno, che propongono opere di supposta pubblica utilità all’interno del Macrico, sono il classico indorare la pillola, il tipico cavallo di troia per vincere le resistenze espresse da gran parte della cittadinanza ad ogni opera lottizzatoria.

Ribadiamo che, per il partito del cemento, non fa differenza costruire per il privato o per il pubblico. Anzi, con questo, come tutti sanno, ha margini di profitto diretti ed indiretti ben maggiori, per compiacenze di tutti i tipi e per i prezzi che spunta, che, non è un segreto, vengono tendenzialmente ed artificiosamente gonfiati.

Ora, per dire il nostro punto di vista, che però aderisce a quel sentire comune che si coglie da sempre in città, la questione è semplice. Caserta non dispone, per la forsennata e ricercata politica di consumo del suolo degli ultimi trent’anni almeno, di un parco pubblico degno di questo nome. La villa pomposamente chiamata comunale non ha che qualche albero e qualche aiuola. Il resto sono aree modeste, in cui la parte laterizia è preponderante e la cui manutenzione, proprio per tale componente, è spropositata. Il bosco reale è un bene monumentale e non è possibile immaginarlo al servizio della città per usi impropri. Anzi, bene farebbe la direzione museale a proibirvi la pratica sportiva, con le persone che, come abbiamo mille volte documentato, usano balaustre e statue per i loro esercizi ginnici o si stendono al sole sul parapetto della peschiera grande per rifinire con l’abbronzatura  il ciclo della corsa.

Dunque si impone un risarcimento della città rendendole disponibile il Macrico nella sua forma di verde naturale ed integrale. Gli edifici preesistenti si possono tranquillamente abbattere per dare spazio ad altro verde. Se qualcuno di essi può avere ancora un valore storico e legato alla memoria, lo si può tranquillamente trasferire altrove e sistemarlo ai fini della conservazione e valorizzazione.

Se davvero si avesse bisogno delle opere ora o prima ancora ipotizzate, tutti sanno che esistono in città volumi e cubature liberi che possono fare tranquillamente al caso.

Quanto ai supposti e per noi pretestuosi problemi di gestione economico-finanziaria del possibile parco pubblico, a parte il fatto che si potrebbe renderlo autosufficiente con un’oculata e seria gestione e con  l’organizzazione a prezzi sociali di servizi al pubblico funzionali alla permanenza nell’area (coinvolgendo il servizio civile o gli stuoli di percettori del reddito di cittadinanza o comunque variamente beneficiati, per dire) ci pare risolutiva un’osservazione.

Questo problema che Caserta ha ancora oggi, cioè la disponibilità di un luogo naturale per lo svago e la distensione, altrove lo hanno affrontato e risolto, con realizzazioni anche straordinarie, da lustri e lustri. Come hanno fatto e come fanno?