Nicola Schiavone “sindaco” di CASAL DI PRINCIPE, Dante Apicella “assessore” ai LL.PP. Il boss: “Facevo informare il primo cittadino, il suo vice e il presidente del consiglio comunale delle mie decisioni anche su somme urgenze e affidamenti diretti. Giuseppe Caterino fece picchiare Salvatore Iorio della calcestruzzi”

21 Ottobre 2022 - 13:00

Il figlio di Sandokan: “Vi spiego punto per punto come avveniva il cambio assegni, come si formavano provviste in nero anche a favore degli imprenditori che si rendevano disponibili.” Oggi pubblichiamo l’ultima parte degli stralci di interrogatorio di Nicola Schiavone, utilizzati nell’ordinanza che ha portato all’emissione di diversi ordini di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari, per lo stesso Dante Apicella e per diversi imprenditori, iper-attivi nell’attività di riciclaggio

CASAL DI PRINCIPE (g.g.) La sezione dedicata alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan, relativa ai rapporti tra lui e Dante Apicella, il cui ruolo viene descritto come quello di un rappresentante a tutto tondo, un vero e proprio plenipotenziario di Nicola Schiavone e della sua famiglia in tutto il sistema degli appalti e delle azioni a questi collegate, si conclude oggi con ulteriori chiarimenti, con specifici approfondimenti, relativi sia alla dinamica procedimentale degli appalti, sia al meccanismo non semplicissimo, del riciclaggio di danaro, derivato dall’antica e sempre solidissima pratica del cambio assegni.
Come sempre, per chi ha la volontà di approfondire i dettagli, mettiamo a disposizione l’intero stralcio dell’ordinanza, contenente le ultime parti degli interrogatori di Nicola Schiavone, considerati dalla Dda di Napoli, di significativo interesse per la formulazione dei capi di imputazione provvisori a carico del citato Dante Apicella e di una pletora di imprenditori a lui connessi.

Naturalmente, per chi non volesse lavorare alla lettura dei documenti, offriamo una breve sintesi dei loro contenuti essenziali.
Sono due i passaggi, a nostro avviso, significativi relativamente ad altrettanti episodi. Poi ce n’è un altro in cui Nicola Schiavone spiega più dettagliatamente, come si diceva, tutta la procedura del cambio assegni, che possono essere velocemente evidenziati.
Per come la racconta il figlio di Francesco Schiavone Sandokan, non è più affatto una battuta, da noi già azzardata nei giorni scorsi, l’affermare che il vero ufficio tecnico del comune di Casal di Principe e, conseguentemente, la vera centrale appaltante fosse localizzata a casa di Nicola Schiavone, nella storica dimora di via Bologna, dove nel 1998 fu catturato suo padre Francesco Schiavone.

Ribadendo più volte che lui parla per gli argomenti riguardanti il periodo temporale, che va dal 2004 al 2010 in quanto interprete del ruolo di reggente del clan dei casalesi, Nicola Schiavone, dopo aver raccontato le dinamiche relazionali tra lui e i dirigenti ufficiali del comune di Casal di Principe, racconta quelle riguardanti il ceto politico-amministrativo locale: “Io incaricavo Apicella Dante di avvisare l’utc del comune di Casal di Principe che bisognava affidare un lavoro in somma urgenza o di affidamento diretto. La maggior parte delle volte era lo stesso Apicella ad informare il sindaco o il vicesindaco o il presidente del consiglio comunale“.

La filiera dunque era completa: da un lato, c’erano le gare d’appalto sopra soglia che secondo Nicola Schiavone venivano predeterminate, in modo da farle vincere alle imprese da lui prescelte, dall’altro lato tutta la pletora numerosissima delle somme urgenze, dei cosiddetti affidamenti diretti – probabilmente Schiavone si riferisce anche alle cosiddette garette con 5 ditte invitate oltre che agli atti, ugualmente sotto soglia, concretizzatisi in un mandato diretto a questa o a quell’altra ditta – ugualmente sotto lo stretto controllo del clan dei casalesi. Se non siamo al 100% della disponibilità della spesa pubblica comunale, poco ci manca, anche perchè, in altre inchieste, dichiarazioni rilasciate dallo stesso Nicola Schiavone, sono state utilizzate per evidenziare che lo stretto controllo di quella che doveva essere la cosa pubblica di Casal di Principe, non avveniva solo nel settore dei lavori pubblici, ma anche in altri settori, ovviamente a partire dai centri di spesa più lucrosi e remunerativi, dunque, i rifiuti attraverso Nicola Ferraro e i servizi sociali, soprattutto attraverso Luigi Lagravanese.

Per quanto riguarda la parte percentuale che doveva diventare pizzo estorsivo, Schiavone chiarisce che questa veniva applicata quando di mezzo c’erano importi rilevanti, non certo quando questi erano limitati, visto che, in tali circostanze, si faceva, come si suol dire, campare la piccola ditta. Questo metodo viene associato da Nicola Schiavone a quello che il clan utilizzava per le estorsioni alle attività commerciali. “Quanto ai commercianti di Casal di Principe, escludo in maniera categorica, che sotto la mia gestione abbiano mai pagato l’estorsione. Ho sempre pensato che i piccoli commercianti, che lavorano per la sopravvivenza, non devono essere attenzionati, viceversa i grossi commercianti hanno molteplici possibilità di agevolare l’organizzazione e noi dovevamo sfruttarli senza mortificarli.

Insomma, nessun pugno di ferro, ma un guanto di velluto. Il racconto di Nicola Schiavone fa anche comprendere perchè di fronte ad uno Stato da sempre latitante per quel che riguarda gli aspetti della promozione economico sociale di quei territori, il clan dei casalesi viveva tranquillo nei suoi feudi in quanto circondato anche dal consenso sociale.
Capitolo cambio assegni. Non è un argomento nuovissimo, ma diciamo che le parole di Nicola Schiavone ci consentono di riassumere realmente tutte le modalità operative che partivano dalla disponibilità economica che una impresa si trovava ad avere per effetto, ad esempio, di una gara d’appalto aggiudicata grazie a Nicola Schiavone e al clan, fino ad arrivare all’ultima provvista in nero, in quanto collegata ad una fatturazione su operazioni inesistenti e dunque non produttrici di reali costi aziendali.
I soggetti tenuti a pagare all’organizzazione il prezzo per l’agevolazione e la copertura offerti nell’aggiudicazione di un lavoro, piuttosto che il prezzo dell’estorsione, ma soprattutto i primi, consegnavano al clan nel mani del soggetto di volta in volta delegato, assegni compilati soltanto nell’importo e nella sottoscrizione, emessi da società di comodo, intestate a teste di legno e sorretti da false fatturazioni. In questo modo, gli imprenditori facevano due cose: pagavano di fatto il clan e costituivano anche delle riserve di nero destinate ad occultare parte del guadagno societario.”

Questa era la prima parte dell’operazione. Subito dopo, sempre attraverso il racconto di Nicola Schiavone, si sviluppava la seconda parte attraverso le seguenti modalità: “Gli assegni tratti dai conti correnti di queste società, venivano consegnati ai soggetti che si prestavano ad effettuare il cambio assegni, i quali, a loro volta, li utilizzavano per il pagamento delle loro forntiure (dopo aver consegnato la cifra in contanti n.d.d.) E questo gli permetteva di gestire tranquillamente la parte in nero della loro attività.”

Questo quadro quasi idilliaco che Nicola Schiavone puntella affermando che il clan dei casalesi non ebbe mai realmente bisogno di usare atti di violenza o di minacciare imprenditori che non volevano cambiare questi assegni, ebbe a suo dire, una sola eccezione: “Salvatore Iorio (il noto e spesso inquisito imprenditore di San Cipriano del calcestruzzo, n.d.d.) nell’anno 2005 fu aggredito e colpito con il calcio di una pistola alla testa da Giuseppe Caterino o meglio da uno dei suoi affiliati poichè si era rifiutato anche in malo modo, di cambiargli degli assegni.

Il resto lo potete leggere nello stralcio, integralmente pubblicato, di questi tre interrogatori, datati, rispettivamente 13 e 14 novembre 2018 e 14 maggio 2019.

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA