Per ora INGIUSTIZIA È FATTA: dopo anni l’imprenditore anti-camorra (sul serio) Roberto Vitale non sa ancora gli ha distrutto le tombe dei suoi genitori e incendiato la sede dell’azienda

29 Maggio 2025 - 17:03

Dall’altra parte, la giustizia civile gli ha già riconosciuto 700mila euro di maltolto della coppia Lusini-De Rosa e altri soldi dovrà riceverli per i soprusi subiti negli anni in cui esercitava il servizio di illuminazione pubblica. E non ci sarà una Corte dei Conti che recupererà da chi ha determinato tutto ciò, somme che oggi diventano un pesante fardello sulle spalle dei cittadini contribuenti di Teverola. La speranza è che qualche pentito possa rivelare gli autori materiali e, soprattutto, i mandanti di quegli atti di violenza proditoria

TEVEROLA (G.G.) – Ci sono fatti che rimangono ingiustamente, troppo ingiustamente, vuoti di quello che dovrebbe essere un normale contrappeso a soddisfazione del cittadino che subisce un sopruso, un’azione violenta.

Quelli che hanno coinvolto a suo tempo l’imprenditore di Teverola Roberto Vitale sono di una gravità inaudita. Pochi giorni fa è caduto il nefasto anniversario del blitz criminale che devastò la cappella cimiteriale di famiglia di Roberto Vitale.

Non leggete con spirito leggero e superficialità questo articolo e immaginate come vi sentireste se una mattina vi chiamassero dal cimitero e, avendo perso entrambi i genitori, vi informassero che, nottetempo, una o più persone hanno completamente distrutto le loro tombe, le loro bare, sfregiando il loro ricordo, l’identità di voi stessi, il DNA biologico che vi appartiene.

Immaginatelo. Leggereste un articolo riguardante un episodio del genere con lieve velocità?

Roberto Vitale ha subito tutto questo e tante altre cose. Dalla camorra locale e contemporaneamente dagli uffici del Comune che lo hanno letteralmente massacrato, in quanto, da concessionario per l’erogazione del servizio di pubblica illuminazione, non si è mai voluto uniformare al sistema-Lusini che poi abbiamo visto ultimamente rivelarsi agli occhi della magistratura inquirente e in parte giudicante.

Lusini, il suo sistema, spalleggiato da Raffaele De Rosa, per gli amici Lello, già vicesindaco di Casapesenna ai tempi dell’accordo Cosentino-Lorenzo Diana, che De Rosa volle come secondo nell’amministrazione del sindaco inquisito Fortunato Zagaria.

Tutti quei soprusi si stanno scaricando, e Vitale non ne è affatto contento, sui cittadini di Teverola, perché fino ad oggi il Tribunale delle Imprese di Napoli ha già riconosciuto a Vitale 700mila euro, diritti che l’amministrazione comunale di Teverola gli aveva negato e che oggi nessuna Corte dei Conti andrà, come sarebbe giusto, a recuperare dalle tasche di quei sindaci, dalle tasche di Lello De Rosa, ispiratori ed autori materiali dei soprusi di cui sopra. E non è finita qui, perché Roberto Vitale si avvia ad ottenere altre cifre molto importanti che gli sono dovute e che gli sono state negate con atti di ingiustizia.

Ma l’imprenditore, tutto sommato, rinuncerebbe anche a una parte di questi soldi se un’altra giustizia, quella delle Procure della Repubblica, quella della DDA di Napoli, quella dell’ufficio inquirente di Aversa Napoli Nord, per troppi anni ingessato dalla gestione della Procuratrice Anna Maria Troncone, oggi sorprendentemente (non per noi) nominata alla presidenza di AgroRinasce, che, badate bene, non è il luogo paradisiaco della lotta contro l’illegalità mafiosa, ma un semplice consorzio di comuni che utilizzano AgroRinasce come una sorta di foglia di fico, come ha compreso bene a suo tempo il sindaco di Casal di Principe Renato Natale, che ha deciso di piantare baracche e burattini abbandonando il consorzio e non certo in punta di piedi.

E invece, dopo tanti anni, dopo tanti arresti, dopo pentimenti e semipentimenti abortiti da parte di camorristi locali, nessuna giustizia è stata fatta a Vitale per lo sfregio subito al cimitero, a cui seguì il devastante incendio doloso della sede della sua società.

Ripetiamo: tutto ciò accadeva mentre, con metodi spavaldi e moralmente violenti, Lusini e compagnia cercavano di sottrargli il diritto conquistato da una gara d’appalto vinta e da un contratto firmato col Comune.

Si dice che la speranza sia l’ultima a morire e allora si può sperare che ci sia, di qui a poco, qualche pentito che possa spiegare chi ha distrutto la cappella di famiglia dei Vitale, chi gli ha incendiato gli uffici della società e, soprattutto, da chi sono partiti gli ordini affinché tutto ciò avvenisse.

Ci rendiamo conto di averlo auspicato tante volte. Ma chissà che possa accadere che un imprenditore, ma soprattutto un uomo che ha combattuto la camorra esponendo il petto al rischio della sua incolumità e della sua famiglia, possa sorridere affermando ciò che in uno stato di diritto ogni cittadino dovrebbe poter dire.