Quando Stefano Graziano si metteva in prima fila alla Leopolda e flirtava con Luca Lotti ai tempi di Luca Palamara e di Cosimo Ferri. Ecco perché non ha fatto la loro stessa fine

14 Settembre 2022 - 19:32

Soprattutto nella sesta edizione della kermesse fiorentina, colui che Enrico Letta ha voluto al punto da sfasciare mezzo Pd in provincia di Caserta, viveva realmente “cor a cor” con Renzi e, soprattutto, con i suoi pretoriani. Poi, circa due anni dopo, ci fu una cena, sempre fiorentina, per 200 invitati a cui partecipò con certi politici (membri laici) del Csm, con l’allora sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, con certi magistrati, rinfrancato dall’archiviazione-lampo ricevuta pochissimi mesi prima a Santa Maria Capua Vetere, alla cui Procura, la Dda, con qualche mugugno dell’allora coordinatore Giuseppe Borrelli, oggi procuratore della Repubblica di Salerno, aveva trasmesso gli atti relativi alla sua posizione nell’inchiesta imperniata sulla figura del giovane faccendiere di Casapesenna, Alessandro Zagaria.

CASERTA (gianluigi guarino) Stefano Graziano è un indubbio conoscitore delle questioni, degli intrighi, delle piccole e grandi congiure di Palazzo delle storie e delle storielle della politica romana, quella autoreferenziale, quella scandita da un estenuante gioco di ruolo, a cui partecipano ogni giorno, con parti in commedia direttamente proporzionali al loro censo, alla loro cifra di influenza, politici della prima, della seconda e della terza schiera, che trascorrono la loro giornata, al di là delle pappardelle che vanno a dire nei vari talk, o che fanno dettare alle agenzie dai loro uffici stampa, a comporre e a scomporre mosaici nei quali ogni tessera rappresenta una poltrona o un tipo di poltrona ed ogni combinazione tra le medesime rappresenta l’ennesima operazione di Palazzo, l’ennesima piccola o grande congiura finalizzata a far nascere quel governo, oppure a farlo morire per assecondare una propria libidine, una perversione tipica, e assolutamente fine a se stessa, della nostra politica che, ovviamente, poi viene ammantata, ovattata, protetta dalle foglie di fico di racconti giornalistici il più delle volte corrivi e da dichiarazioni assolutamente ipocrite, propinate al popolo bue dai cosiddetti protagonisti della scena politica nazionale.

Graziano è, dunque, un esperto della materia, perché per essa nutre passione anzi, lui di questa pratica esistenziale, ancor prima che politica, è proprio innamorato. Sguazza letteralmente partecipando alla vera politica materiale, reale che ogni giorno si sviluppa nei palazzi romani e napoletani attraverso questo enorme gioco di ruolo, unico, autentico interesse di almeno i 2/3 dei parlamentari, dei consiglieri regionali, provinciali e chi più ne ha più ne metta, di conio nostrano. Graziano è partecipe e non certo solo come osservatore, visto che da una ventina d’anni lui è parte integrante di questa struttura del pensiero debole, anzi debolissimo della nostra Italia, di questa relazione immorale tra queste prassi e la funzione di rappresentanza come questa dovrebbe essere connotata, che è, poi, uno dei motivi per i quali i nostri sono considerati, tra tutti i politici d’Europa e forse anche del mondo, i meno efficaci, tra i meno preparati, tra i più insensibili rispetto alla causa del bene comune.

La parte vera, virtuosa relativa alla cura dei cosiddetti “problemi della gente”, occupa, qui da noi, uno spazio esclusivamente figurativo, assertivo, propagandistico, elettoralistico che si esaurisce nelle comparsate, meramente parolaie, in trasmissioni televisive oppure in qualche intervista rilasciata a giornali grandi e piccoli nella quale si fa finta che il problema della propria esistenza non sia costituito dalla ossessiva pratica di garantire se stessi, bensì dalla volontà incrollabile di servire il popolo come unica ragione della propria vita, così come è successo, per fare un esempio velocissimo, in questi giorni, in occasione di quella scena comica, immortalata da una fotografia, in cui Graziano posa affianco ad Enzo Abbate, presidente dell’associazione che afferma di difendere i diritti delle famiglie dei ragazzi autistici, categoria di cui, negli ultimi dieci anni si ricordano, al massimo, due o tre righe di rituali dichiarazioni rilasciate dal Graziano, che di questo problema non sa assolutamente nulla.

Si può dire però, tranquillamente, che l’integrazione nella caratteristica da noi descritta nella prima parte di questo articolo, la quale esprime, a suo modo, una forma, pur distorta, pur aberrante e aberrata di eccellenza, ha rappresentato, per Stefano Graziano, fino ad oggi la delizia, ma, allo stesso tempo, anche la sua croce. Delizia perché gli ha permesso, in diverse circostanze, ma soprattutto in occasione di queste elezioni politiche, di scavalcare ogni logico ed equo primato del metodo democratico, in favore di quello, largamente discutibile, quale strumento di effettiva affermazione della democrazia, imperniato sulla cooptazione, applicata in maniera nuda e cruda, in verità più cruda che nuda, cioè quasi brutalmente, per effetto della quale Graziano è oggi capolista del Pd nel collegio plurinominale proporzionale di Caserta e Benevento, a scapito di un Oliviero che di voti ne aveva presi più di lui alle elezioni regionali e che oggi rappresenta il Pd in una delle funzioni più importanti dell’istituzione regionale, ricoprendo la carica di presidente del “Parlamento” campano.

Croce perché le ambizioni di Stefano Graziano sono corposissime, e, a dirla tutta e a nostro avviso, come abbiamo spesso scritto, con dovizia di argomentazioni, sicuramente smodate e, sempre secondo noi, inversamente proporzionali alla sua effettiva consistenza culturale, anche se, a pensarci bene, in questo Paese e in questo Sud, uno status del genere rappresenta un requisito vincente, includente e non perdente ed escludente. Continuando a ragionare sulla “croce” dopo averlo fatto intorno alla “delizia”, Graziano, nel momento in cui pensa ai tanti anni, dal movimento giovanile della Dc in poi, che lo hanno visto dentro alle trame della sedicente politica romana, ritiene sicuramente di non aver avuto fino ad oggi le gratificazioni che secondo lui gli toccavano, per dire un ministero, una poltrona di sottosegretario o, in subordine, una presidenza di un’importante commissione parlamentare, magari bicamerale.

Ma questa croce, come detto, rappresenta l’altra faccia della medaglia della sua delizia, visto e considerato che le due cose si tengono vicendevolmente e non sono scindibili. Lui era una terza, una quarta fila della politica italiana 20 anni fa e continua ad essere una terza, una quarta fila nella politica italiana di oggi. Graziano è un peon tra i peones e questo lo inquieta non poco costringendolo, comunque, a vivere con insoddisfazione questa sua croce che, però, come detto, perché le due cose, sono inscindibilmente legate, rappresenta la migliore polizza assicurativa per il mantenimento della sua delizia.

LEOPOLDA & CENA DI GALA

Un esempio pratico? Ne presentiamo uno o due tra i tanti che potremmo formulare per un politico, le cui vere attitudini abbiamo ben conosciuto quando è stato costretto a rimediare un posto alla Regione Campania, andandosi a sporcare le mani con le preferenze. In quel contesto, senza l’air bag della cooptazione, abbiamo visto chi è Graziano. Lo abbiamo visto quando non è certo andato per il sottile, nel momento in cui si è circondato, in occasione della campagna elettorale del 2015, dei vari Alessandro Zagaria, Biagio Lusini, dell’imprenditore di San Cipriano Della Gatta, di quelli della famiglia aversana dei Pozzi. E lo abbiamo continuato a conoscere nei suoi 5 anni vissuti da tutor e da garante politico di un’Asi che è riuscita, con la gestione Graziano-Pignetti-Canciello, ad essere finanche peggiore di quella a suo tempo governata dalla coppia consociativa Pd-Forza Italia, formata dalla triade Piero Cappello, Filippo Fecondo e Giuseppe Ascierto, per gli amici Peppe. Tanti altri soggetti particolari sono saliti sul carro di Graziano, a partire dal sindaco di Teverola, Barbato, nel tempo intercorso tra le elezioni del 2015 e quelle del 2020.

L’esempio da noi scelto collega tra loro due di avvenimenti verificatisi tra il 2015 e il 2017. Partiamo da quello del 2015: alla sesta edizione della Leopolda, la kermesse politica che Matteo Renzi organizza a Firenze sin dal 2010, Graziano, che ha già in testa il piano di transitare dal consiglio regionale al Parlamento, in occasione delle elezioni politiche del 2018, arriva e si intruppa tra i fans più scatenati di Matteo Renzi e di quello che, già al tempo, veniva definito il suo cerchio magico. Graziano, a quell’edizione della Leopolda, è il più renziano dei renziani, parimenti a Pina Picierno, con la quale entra nella ex stazione fiorentina della Leopolda, insieme anche a Francesco Boccia, anche lui divenuto un renziano doc e al magistrato della Procura della Repubblica di Aversa-Napoli Nord, Giovanni Corona, il quale interviene direttamente tra gli oratori, raccontando, in verità in maniera molto efficace e interessante, la sua esperienza da pubblico ministero della Dda di Napoli, nel corso della cosiddetta “Guerra di Secondigliano”, la più cruenta e sanguinosa faida che l’Italia abbia prodotto in un lasso di tempo limitatissimo, tra Ventesimo e Ventunesimo secolo.

Il secondo evento è quello della presentazione, a dir poco sontuosa, dell’associazione “Fino a prova contraria”, altra cinghia di trasmissione renziana. Il clou di quell’avvenimento fu rappresentato da una mega cena per 200 invitati che, così ebbe a commentare a quel tempo, correva l’anno 2017 ed era di maggio, il grande Roberto D’Agostino nella sua Dagospia: “Più che una serata sui temi della giustizia sembrava il ricevimento di un matrimonio” (clikka e leggi ma soprattutto guarda tutte le fotografie dei quella serata).

Lì Graziano è seduto ad uno dei tavoli e nei suoi pressi ci sono nomi che di lì a qualche tempo avrebbero fatto parte delle cronache giudiziarie riguardanti il cosiddetto caso Palamara. A quella cena era presente, ad esempio, Cosimo Ferri, al tempo sottosegretario alla Giustizia, già magistrato e considerato come una sorta di plenipotenziario, di terminale delle segnalazioni, delle raccomandazioni, legate soprattutto ai concorsi per l’ingresso in magistratura, così come emerso dalla sterminata quantità di documenti relativi all’indagine sul sistema-Palamara. C’era Luca Lotti. C’era quello che al tempo era già un ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, cioè Michele Vietti. Non c’era, ma è come se ci fosse, Giovanni Legnini, anch’egli votato alla causa di Renzi, anch’egli strutturato attorno alla figura di Luca Lotti, a cui si rapportava abitualmente in un contesto che poi vedeva in Luca Palamara, leader di Unicost, il sindacato di maggioranza relativa dei magistrati, il potentissimo catalizzatore di ognuna di queste sollecitazioni.

Graziano è appena uscito dall’inchiesta giudiziaria della Dda, al tempo targata Giuseppe Borrelli, precisamente era successo tre mesi prima, a febbraio 2017, guadagnandosi una archiviazione-lampo da parte della Procura della Repubblica di S. Maria Capua Vetere, pubblico ministero Carlo Fucci, successivamente divenuto procuratore della Repubblica ad Isernia, sulla cui scrivania era finito il fascicolo proveniente dalla Dda di Napoli, non essendo da questa stati ravvisati (ma un domani tenteremo di conversare su questo argomento con Giuseppe Borrelli) elementi per procedere ulteriormente su possibili reati di camorra. Graziano era vicino a Cosimo Ferri. Ci parlava e ci ragionava spesso. Ma non ha mai assunto una posizione di rilievo tale da far uscire il suo nome sui giornali, allo stesso modo con cui sono usciti altri nomi di quel Pd, targato quasi esclusivamente Matteo Renzi.

CROCE E DELIZIA

Ed eccola, la croce che si tiene con la delizia: se Stefano Graziano fosse stato un politico di prima linea dei quel Pd, se questa sua condizione fosse risultata chiaramente dai giornali e dalle rassegne stampa, finanche quell’allegrone di Enrico Letta, vispo, pimpante e simpatico come un operatore delle pompe funebri in giacca e cravatta rigorosamente neri, se ne sarebbe accorto dal suo buen retiro della Sorbona di Parigi in cui fu spedito dal mitico “Enrico stai sereno” di Matteo Renzi.

E invece non se ne è accorto o, se se n’è accorto, non ha considerato Graziano tanto importante, quale protagonista di quella stagione, da far prevalere su quelle di una conoscenza e di una simpatia personale le ragioni più strutturali dell’epurazione consumate, in occasione delle candidature a queste elezioni politiche, ai danni di coloro i quali, insieme a Graziano erano presenti alla sesta edizione della Leopolda, ai danni di coloro i quali erano seduti ai tavoli della cena di gala, organizzata dall’associazione “Fino a prova contraria”, molti dei quali scomparsi già da tempo, da molto prima dell’epurazione realizzata da Enrico Letta, travolti, come sono stati, dal ciclone Palamara.

Questo articolo non si è sviluppato con un eccesso di retroscenismo. Sono i fatti e anche certi documenti giudiziari, che magari poi non si sono dimostrati rilevanti per la determinazione di un’accusa dentro a un processo penale, a dimostrare, infatti, la piena partecipazione di Graziano alla consorteria renziana che, se non lo accoglieva nel suo cerchio magico, non era perché Graziano non volesse, al contrario, ma perché Graziano non era tanto importante per Renzi, da farlo essere presente alle riunioni ristrette che faceva con Lotti, con la Boschi, con Carrai, con Nardella e con tutti quelli che, facendo parte del cerchio magico di Renzi, ottenevano anche significative cariche nel governo e nel sottogoverno,.

La croce di Graziano, dunque, cioè l’essere stato vent’anni fa, ma anche sette, otto anni fa e ancor oggi, una terza o quarta fila della politica, si traduce nella delizia di una candidatura, ottenuta in contrasto con le normali considerazioni sui rapporti di forza che ci sono in un territorio a cui si vuol dar rappresentanza e, solo perché, l’empatia con Enrico Letta, non è stata scalfita, turbata da una percezione di protagonismo che, in caso contrario, avrebbe consegnato Graziano allo stesso destino di Luca Lotti, con il quale molto, anzi tantissimo si rapportò ai tempi di Luca Palamara e di Cosimo Ferri e a cui molto si rapportò anche Pina Picierno, sia in occasione delle elezioni europee del 2014, ma soprattutto in occasione di quelle del 2019.