REGGIA DI CASERTA. Tanti cantieri, carenza di personale e zero iniziative culturali nel monumento simbolo della città

4 Febbraio 2022 - 16:20

Un modello gestionale che fa acqua da tutte parti: dalla direzione museale, alla politica culturale. Poco o nulla si fa per e nel monumento vanvitelliano

 

CASERTA (pasman) Riprendiamo, con questa seconda parte, il tema della Reggia vanvitelliana, incalzati dalle novità e dalla cronaca. In verità, avevamo per qualche tempo tralasciato l’argomento, non per disinteresse, ma perché le cose essenziali su di essa pensavamo e pensiamo di averle ben sviscerate – persino senza radicalismi od intransigenze – nei tanti interventi precedenti, per le orecchie di chi, ovviamente, avesse voluto e le voglia intendere. E ci siamo limitati a riferire periodicamente degli episodi di cui è valsa la pena. Ma la brutta piega presa dagli avvenimenti degli ultimi tempi ci ha fatto tornare a bomba con le nostre considerazioni, svolte in due parti.

Nella prima parte (CLICCA QUI PER LEGGERLA) abbiamo banalmente detto che la sorte del monumento è, oggi più che mai, nelle mani e del suo direttore e del sindaco, ciascuno per la propria parte. E per spiegare come e perché, abbiamo distinto le questioni in ballo in quelle esterne e quelle interne. Per il contesto esterno alla Reggia, il sindaco Marino ha la grave responsabilità politica della sua sostanziale inerzia, tanto da non assumere persino quelle iniziative di tutela e di valorizzazione di essa che non richiederebbero alcuna spesa. Non a caso il contesto urbano che attornia il sito borbonico è in condizioni di pietoso abbandono. Esattamente ciò che tiene lontano il turismo cittadino fondato sul passaparola. E ne abbiamo dato vari esempi. Ma la colpa capitale del primo cittadino è nella scelta tanto dissennata quanto ostinata di collocarvi il biodigestore a poche centinaia di metri di distanza. Una cosa che, per qualunque persona di giudizio, è fuori della grazia di Dio: piazzare vicino ad un monumento dei maggiori un impianto industriale di grave impatto ambientale.

Scelta fatta, per un groviglio di interessi, con la vecchia giunta comunale ed avvallata subito dalla nuova – nonostante la pensosità affettata, che però non inganna nessuno – ma nel burocratico e sostanziale disinteresse della soprintendenza ai beni culturali e nella noncuranza e nel distacco che appare cauteloso della padrona di casa pro-tempore Tiziana Maffei.

L’abbiamo fatta fin troppo lunga, ma ci siamo capiti, e passiamo dunque alla seconda parte delle nostre considerazioni, che attiene alle questioni più propriamente interne del complesso borbonico.

In estrema sintesi le problematiche più rilevanti del museo riguardano i due profili della gestione amministrativa e logistica e della politica culturale.

Iniziamo dal primo profilo. La direzione museale, grazie ad inusitati quanto cospicui finanziamenti, ha avviato già con il predecessore Felicori un programma di manutenzione e conservazione degli ambienti e dei beni artistici, divenuto indispensabile per l’incuria in cui essi erano stati abbandonati. Con la Maffei il programma si è accresciuto di ulteriori interventi e proprio in queste ore è stato annunciato l’arrivo di fondi aggiuntivi per diecine di milioni di euro (si parla di 25 milioni). Tutto bene se si avesse la certezza che tutti questi denari pubblici – che, non va dimenticato, non sono regalati, ma erogati a titolo di debito, che andrà alfine ripagato – andranno a buon fine.   Ma di ciò ci sembra lecito dubitare. E non certo per un preconcetto. Intanto, per le opere già avviate, in alcuni casi già si sono riscontrati ritardi e lungaggini che dunque potranno ripresentarsi. Ma la sensazione è che manchi l’appropriatezza necessaria dell’azione amministrativa, di cui sono significativi, ad esempio, la condizione di sciatteria del cantiere per i lavori alla peschiera grande, lo stato delle guardiole del servizio di vigilanza, il crollo recente di una capriata del tetto in un punto prossimo a quello in cui si stanno ripristinando, gli interventi di manutenzione immotivatamente frazionati, la realizzazione di impianti tecnici in punti almeno per noi opinabili, l’orologio del timpano della facciata esterna che già non funziona dopo la sua recente riattazione. Ed in un contesto affine, impressiona sapere che un’associazione di guide turistiche ha dovuto persino adire il giudice per ottenere l’accesso ad alcuni atti interni ma di rilievo pubblico, che per tale loro natura dovrebbero illimitatamente essere disponibili a chiunque. Non ne parliamo delle relazioni sindacali, che a dir poco lasciano a desiderare e che generano conflittualità intestine che certamente non giovano. E potremmo continuare. Ma la preoccupazione maggiore è nella insufficienza degli uffici, che lo stesso D.G. Maffei dichiara a corto di personale. Se così è, vieni da chiedersi in che cosa sia mai consistita la tanto vantata autonomia che la riforma varata dal ministro Franceschini ha attribuito a musei come il nostro, se a distanza di anni ci si confronta con gli stessi identici problemi di organico. Specie con riguardo ai servizi di vigilanza, le cui carenze incidono sui livelli di sicurezza e sugli spazi museali apribili al pubblico. Siamo cioè, ed incredibilmente, ad un punto di inefficienza tale che non si è in grado di gestire un aspetto essenziale quanto elementare di ogni organizzazione ed ossia l’avvicendamento del personale, persino di quello che sarà collocato in pensione  in data che è certa. Qui, per come stanno le cose e per come erano condotte prima della stagione del sedicente rinnovamento ordinamentale dei beni culturali italiani, sarebbe utile, ad iniziativa degli studiosi locali e dei protagonisti di allora, un confronto tra l’attuale modello gestionale e quello che per i decenni andati ha garantito una veste impeccabile al palazzo reale con il suo parco, almeno così come raccontano coloro che hanno vissuto quelle epoche.

Nelle foto seguenti, nell’ordine, le condizioni del cantiere alla peschiera grande, una garitta del servizio di vigilanza coperta alla belle e meglio perché ci piove dentro, un grosso impianto tecnologico piazzato in bella vista, particolari dell’erba parassitaria che cresce sulle facciate (evidenziata in rosso), non rimossa benché un cestello elevatore sia stato impiegato per un altro intervento, particolare dell’abbaino e del cedimento del tetto, una delle ultime diffide sindacali ricevuta dalla direzione museale per ritenuti inadempimenti del contratto di lavoro.

E veniamo al secondo profilo, quello della politica culturale. O meglio, della non politica culturale. Perché francamente, sul piano delle iniziative culturali, con tutto il riguardo che dobbiamo alla persona, con l’architetto e cultrice Tiziana Maffei abbiamo visto ben poco di significativo e di confacente alla levatura del museo. L’impressione è che la sua azione sia stata soprattutto improntata all’eccezionalismo ed al sensazionalismo, compensativi di un sostanziale vuoto nel programma museale. Anche le iniziative più banali, come quella di conferire un appalto ad una ditta specializzata per un intervento di restauro, sono state immancabilmente ammantate di un’aura di complessità e di straordinarietà. Che non si comprende dove risiedano specificamente, laddove sono necessari esclusivamente i fondi di spesa e la scelta dell’impresa migliore, perché di competenze e di attrezzature e mezzi speciali nel campo del restauro e del recupero delle opere d’arte c’è più che abbondanza.

La fotocomposizione con la quale la senatrice Margherita Corrado, esperta archeologa, ha ironizzato sull’attribuzione allo scultore reale Giuseppe Sanmartino, tutt’altro che certa, sostenuta dalla Reggia di Caserta alla scultura di Carlo Tito, che risponderebbe ad un’operazione apertamente propagandistica.

Parimenti, ad esempio, per quell’insistito vantare la c.d. camera anossica ad azoto per la conservazione del mobilio storico, apparecchiatura la quale è in uso per tale specie di interventi almeno dagli anni novanta, in sostituzione di quelle funzionanti con gas tossici. Per il sensazionalismo crediamo possa bastare la vicenda imbarazzante dell’attribuzione del marmo di Carlo Tito pargolo, presentato per giunta come disperso e ritrovato, quando era ben presente nei magazzini e persino catalogato e che getta un’ombra sulla credibilità scientifica del museo anche per il futuro.

E proprio sul profilo scientifico non possiamo non constatare l’assoluta assenza del comitato scientifico della Reggia, il quale, in astratto, dovrebbe coadiuvare il direttore del museo in ordine alle scelte culturali, ma del quale si sono perse le tracce. Forse è questo il motivo dell’allestimento corrivo e costoso che si è fatto del presepe reale in occasione del natale, con indulgenza agli effetti speciali di luci, ologrammi e suoni che possono incantare solo gli animi davvero più semplici e sprovveduti.

Noi restiamo convinti che la Reggia, rappresentando un unicum, salvaguardata nella sua realtà di superbo monumento da vistare ed ammirare, dovrebbe essere un ente di alta cultura, punto di riferimento per iniziative, studi, ricerche ed approfondimenti nei suoi campi di elezione che sono quello storico e quello architettonico e deputato alla divulgazione culturale, ma senza facilismi o banalizzazioni o con la resa agli stilemi del mondo dello spettacolo, il quale mira a divertire ed a svagare più che alla conoscenza.

La cappella palatina con le sedie con la quale è allestita

Così, anche il cartellone che vi è andato in scena nelle ultime festività non è stato il massimo, con lo spazio dato ad iniziative enogastronomiche o a rappresentazioni di livello dilettantistico. E si è perpetuato l’uso della cappella palatina per gli incontri musicali, a cui si crede di dare il tono dell’ambiente esclusivo, anche a discapito dell’acustica. Ed a proposito delle sedie che vi sono presenti, poiché non di proprietà del museo, non si sa ancora come e da chi vengano gestite. Si riparla di un progetto, già platealmente bocciato dirigendo Felicori, per trasformare la peschiera grande in un acquapark, per la gioia vogatoria delle scolaresche in gita di istruzione. In obbedienza, evidentemente, alla consegna ministeriale che tutto va bene per fare profitti dal monumento attraverso concessioni al privato.

Di mostre di rilievo almeno nazionale neanche lontanamente si parla e l’attenzione al riguardo viene puntualmente distolta con il richiamo ad una sempre prossimo allestimento di Terrae Motus. Questo è quanto e ci fermiamo anche per questione di spazio. Ma non sarebbe male che la città migliore ci ragionasse un attimo, per meritarsi la fortuna che le è capitata  di avere la Reggia del Vanvitelli.