SE SI VOTA ALLE POLITICHE a fine ottobre. I nodi del Pd, il furbo Graziano, gli affanni di Oliviero, le certezze della Sgambato e altre cose ancora

10 Agosto 2019 - 19:07

CASERTA(g.g.) La crisi di governo rende possibile un ritorno al voto anticipato. La data potrebbe essere quella del 27 ottobre. Attenzione, però. Nei 73 anni di storia della repubblica italiana, pur andandoci vicini più volte, non si è mai infranto il tabù del voto autunnale. Nel senso che le consultazioni finalizzate a eleggere i parlamentari nazionali, si sono svolte sempre in primavera oppure in qualche caso, come successe nel 2013, a fine inverno, nel mese di febbraio.

L’ultima volta, cioè un anno e mezzo fa, si votò nella prima domenica di marzo. Messa così, sembra cabala pura. E’ chiaro che esiste un plotone di parlamentari, soprattutto quelli di 5 Stelle, che, a questo punto, appoggerebbero ogni governicchio pur di rimanere in carica, pur di sedere ancora a Montecitorio e a Palazzo Madama, luoghi e posizioni che non hanno alcuna possibilità di riconquistare (Marianna Iorio, la Del Sesto, Grimaldi, Santillo avrebbero possibilità ridottissime), visto e considerato che i grillini molto difficilmente conserveranno le percentuali raccolte nel marzo 2018.

Questa, più che quella relativa all’impermeabilità dell’autunno nella determinazione delle date elettorali, può essere la motivazione di un rinvio. In verità, ci sono anche delle subordinate, legate al peso elettorale raggiunto dalla Lega e, seppur in una dimensione diversa, da Fratelli d’Italia rispetto a Forza Italia. Sarà su queste cose che cercherà di far leva il presidente Mattarella,

un altro che pur non avendo le abilità politiciste e politicanti di Giorgio Napolitano, spenderà tutto se stesso per rinviare il più possibile il voto, puntando su condizioni diverse, su una Lega magari indebolita da qualche scandalo, comunque su un centrodestra meno potente, non straripante e vicinissimo al 50% d’oggi, che per la prima volta, dal 94 ad ora sarebbe autosufficiente, per eleggere un presidente della repubblica della propria area politica, visto che la cronologia delle scadenze non ha mai consentito a Silvio Berlusconi, nelle tre occasioni in cui è stato premier, di incrociare la data istituzionale dell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, fortunosamente sempre in mano al centrosinistra (Ciampi, Napolitano 1, Napolitano 2 e poi Mattarella) diversamente connotato.

Ecco perchè dare per certe le elezioni politiche alla data del 27 ottobre è un azzardo. Però sarebbe sbagliato anche affermare che questa prospettiva oggi non rappresenti l’evoluzione più probabile degli eventi.

Incardinata la cornice, è il momento di ridimensionarsi parlando, purtroppo, delle cose casertane, partendo dalla sponda sempre complicata, bizantina, del pd.

Allora, si inizia da un punto fermo, da un’evidenza ormai incontestabile: Stefano Graziano è largamente più furbo di tutti quanti gli altri esponenti del Partito locale. Pur non avendo aderito in pompa magna alle posizioni del neo segretario Zingaretti, ha conservato, perchè proprio il segretario glielo ha consentito, la carica di commissario regionale del partito in Calabria.

Per cui, potrebbe entrare nel novero di quel gruppo di esponenti da garantire in posizione blindata.

La volta scorsa la concessione del passi sicuro all’ex ministro Fedeli frenò Graziano. Stavolta potrebbe essere lui o anche lui il Fedeli della situazione, magari con una candidatura nel listino proporzionale proprio dalle parti della Calabria.

A marzo 2018, Caserta è stato terreno di conquista: oltre alla Fedeli, anche il figlio di De Luca, infatti, è stato scarrozzato in Parlamento, candidato, con un’operazione a freddo, qui da noi. Se Graziano si garantisce il suo, non è che gli fregherà granchè del resto. Anzi, cercherà di essere l’unico casertano eletto a Roma. E questo costituirà un problema per quel poco di fattore locale che incide sulla forza del Pd, visto che oggi in pratica il segretario provinciale è proprio lui, cioè Stefano Graziano, che ha messo nel sacco, ancora una volta Gennaro Oliviero. Con tutto il rispetto e la simpatia che nutriamo, infatti, per Emiddio Cimmino, questo è solo un esecutore di ordini, tra le altre cose ristorato con un incarico professionale in quel merdaio costituito da Campania Bonifiche.

Insomma, Oliviero e Caputo sono nella condizione di ottenere una candidatura in posizione favorevole oppure dovranno ripiegare sui soliti collegi maggioritari, rispetto ai quali le candidature saranno meramente decorative, visto che il centrosinistra non ne vincerà neppure uno?

Quanto inciderà il fatto che pochi mesi dopo si voterà per le regionali? Quest’ultimo aspetto è sopravvalutato in una lettura tattica degli eventi. Riempire le liste con candidati di rincalzo che corrono con la speranza di essere poi appoggiati da chi oggi occupa un seggio alla Regione nella successiva consultazione per i posti napoletani, è esercizio ozioso.

Come abbiamo visto un anno e mezzo fa, le elezioni politiche vengono decise dal solo voto di opinione, dai talk nazionali della politica e il grado di incidenza delle variabili locali, anche nei micro collegi maggioritari, è pari a zero. Insomma, è chiaro che a Lucia Esposito e a Dario Abbate farebbe piacere se a fine ottobre Graziano ed Oliviero andassero in Parlamento perchè questo consentirebbe loro di subentrargli a Napoli, seppur per un paio di mesi al massimo.

Però, mettersi a fare alchimie affermando che il meccanismo delle promesse possa incidere sulla forza e sul risultato elettorale del Pd, significa anche non valutare correttamente i dati di fatto emersi non più di 18 mesi fa. Diverso il discorso delle percentuali. Il Pd prenderà sicuramente più voti, anche a Caserta, di quanti ne abbia presi nel marzo 2018, quando si attestò su un orribile 10%.

Questo, nel meccanismo dei riparti, potrebbe anche offrire qualche chance al secondo della lista proporzionale della Camera. Difficile, quasi impossibile, ma non si può escludere categoricamente. Dunque, c’è un capolista alla Camera e un altro al Senato. Uno dei due posti difficilmente potrà essere sottratto a Camilla Sgambato, ex parlamentare ed unica casertana a far parte della segreteria nazionale del Pd, in quota Orlando e dunque direttamente tutelata da Zingaretti.

Per il posto di capolista al Senato sarà bagarre, sempre ammesso e non concesso che Graziano venga candidato altrove, potrebbe essere interessato, come abbiamo scritto prima, anche alla posizione di numero due nel listino proporzionale della Camera, ma qui dobbiamo lavorare bene sulle proiezioni collegandole, stavolta, fortunatamente a quello che è già stato un anno e mezzo fa, cioè a dati reali.

Una considerazione va fatta ancora: in una federazione provinciale dilaniata come quella di Caserta, sarà difficile ottenere due candidature ad elezione certa per esponenti indigeni. Quelli che si sono garantiti bene a Roma, partono da una posizione più serena, mentre Oliviero, che non è stato considerato al congresso uno della prima fila, potrebbe essere costretto a ripiegare ancora una volta sul collegio maggioritario, con scarse o nulle possibilità di affermazione.

Dunque, improbabile che Oliviero possa lavorare di sponda, rendendo credibile a monte una sua elezione in Parlamento, magari promettendo una candidatura alle regionali al noto Massimo Schiavone, figlio del re della sanità di Sessa e dintorni, il quale, però deve fare anche i conti con la disponibilità che ad Oliviero è stata data nell’ultimo anno dal già citato Dario Abbate e dall’ex sindaco di Villa di Briano, Dionigi Magliulo.

Nicola Caputo potrebbe candidarsi al maggioritario di Aversa che, sulla carta, apparirebbe un collegio “possibile”, una soluzione interessante, tenendo conto che nella città normanna c’è un’amministrazione comunale amica. Ma come scritto prima, ragionare alle elezioni politiche in questi termini è assolutamente fuorviante. Ad Aversa vincerà il centrodestra perchè era e resta una città di centrodestra, al di la dell’impresentabilità di una classe dirigente locale che si è letteralmente suicidata alle ultime elezioni comunali.

Un Caputo candidato nel collegio maggioritario sarebbe costretto a firmare una tregua con l’odiato Stefano Graziano. E anche questa è una roba di difficile realizzazione.

Abbiamo sviscerato le prime idee, seppur logiche, ma ancora non corroborate da condizioni reali rispetto alle quali si possono articolare dei ragionamenti più solidi.

Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane, soprattutto a Roma e in base a ciò decideremo se intervenire ancora o se aspettare settembre.