STORIE DI MALA A PIGNATARO. Cosa Nostra, Magliana e Nuova Famiglia: sull’asse Pippo Calò, Diotallevi, Lubrano e l’omicidio di Franco Imposimato

25 Agosto 2018 - 13:41

MADDALONI/PIGNATARO (Tina Palomba) – Delitto Imposimato, a distanza di 35 anni, viene svelato un altro mistero su una pagina di sangue tra le più efferate della provincia di Caserta. Grazie al Sisde, all’epoca, furono individuati e catturati gli assassini del sindacalista della CGIL. I servizi segreti civili (il Sisni era quello militare),quindi, si attivarono per  scovare e arrestare Pippò Calò, Vincenzo Lubrano, Raffaele Ligato e Tonino Abbate. Franco Imposimato fu vittima di una rappresaglia decisa dalla banda della Magliana con la complicità della camorra casertana e della mafia siciliana per intimidire il fratello giudice Ferdinando Imposimato (morto a gennaio di quest’anno) che nel ’83 si era occupato del processo sull’omicidio di Aldo Moro e degli affari della malavita romana. Francesco fu ucciso l’ 11 ottobre 1983 a Maddaloni, era in macchina con la moglie ed il cane per recarsi a casa dopo il lavoro. A trecento metri dallo stabilimento, la macchina si trovò la strada sbarrata da una Fiat Ritmo con a bordo tre sicari. Due di questi scesero e aprirono il fuoco. Il sindacalista, colpito da 11 proiettili, morì sul colpo. Nell’agguato riuscì a salvarsi sua moglie, benché gravemente ferita da due proiettili sparati da Antonio Abbate, il killer riconosciuto dalla donna anni dopo in sede processuale. Fu una delle prime volta che la camorra decise di  colpire a morte persino una donna. I servizi segreti dovettero lavorare a lungo soprattutto in questa provincia per scoprire la verità sui killer.  Indagini degli 007 che poi si incrociarono con i racconti dei pentiti. Gli inquirenti, dopo anni di indagini hanno poi stabilito che a volere l’ omicidio furono Pippo Calò, considerato il cassiere della mafia, ed Ernesto Diotallevi, uno degli uomini di punta della banda della Magliana, organizzazione criminale romana la cui storia si intreccia con Cosa Nostra. Ma Francesco Imposimato viveva in Campania, e quindi lì si sarebbe dovuto compiere l’ omicidio. Allora, stando ai riscontri investigativi, fu coinvolto anche Lorenzo Nuvoletta, all’epoca capocamorra di Marano, considerato da sempre vicino alle cosche siciliane. L’ esecuzione materiale fu affidata ad Antonio Abbate, poi finito in manette così come Ernesto Diotallevi, arrestato a Roma. Secondo la ricostruzione fornita dai magistrati della Dda, Pippo Calò ed Ernesto Diotallevi decisero di uccidere il giudice Imposimato quando questi incominciò ad avvicinarsi a loro nel corso delle indagini sull’ omicidio di Domenico Balducci e su una serie di speculazioni edilizie a Roma. Ma arrivare al magistrato era un’operazione troppo difficile per non dire impossibile. Calò e Diotallevi non rinunciarono al loro obiettivo e si vendicarono contro il fratello, ritenuto un bersaglio facile. Rivolsero l’ordine a Lorenzo Nuvoletta, che a sua volta si rivolse a Vincenzo Lubrano, il quale infine affidò l’esecuzione del delitto a Tonino Abbate e Raffaele Ligato. Il clan dei Casalesi accettò anche perché l’impegno ambientalista di Franco Imposimato, per quanto riguarda le cave abusive di Maddaloni andava a scontrarsi con i loro interessi. Tra i testi ascoltati dai giudici della procura di Santa Maria Capua Vetere ci furono anche i pentiti siciliani Tommaso Buscetta, Salvatore Cancemi, Giovanni Buscetta, Totuccio Conturno, Claudio Sicilia e Angelo Cottarelli.  Il processo Spartacus portò alle condanne all’ergastolo in via definitiva per Pippo Calò, Vincenzo Lubrano, Antonio Abbate e Raffaele Ligato. All’epoca dei fatti Cosa Nostra era legata, da un lato, a Roma attraverso la Banda della Magliana , e dall’altro alla camorra casertana e napoletana nelle persone di  Antonio Bardellino (uno dei capi insieme a Nuvoletta della nuova famiglia dei casalesi affiliato a Cosa Nostra), Lorenzo Nuvoletta  (boss di Marano ), e Vincenzo Lubrano (boss di Pignataro).  Quest’ultimo durante il processo, avvicinò uno dei due figli di Franco Imposimato, Giuseppe, giurandogli sul figlio morto che non c’entrava niente con la morte di suo padre. Raffaele Ligato  invece si presentò al processo in sedia a rotelle spacciandosi per cieco, con opportuna certificazione medica. Dopo la notizia della condanna in primo grado all’ergastolo, però, colto da improvvisa guarigione, riuscì a scappare in Germania, dove fu catturato dopo un anno di latitanza. Lubrano fu arrestato nel ’98 a Santo Domingo (patria pure di Bardellino) con un passaporto falso  e nel 2007 morirà a Pignataro. Durante i suoi funerali in pompa magna mentre il parroco terminava il rito religioso squillò  un cellulare con la musichetta del film “Il Padrino” .