TARÌ ANCORA NELLA BUFERA. Arrestato professionista di RECALE. Sequestrato modulo per la vendita dell’oro

24 Dicembre 2022 - 20:55

MARCIANISE (g.g.) – Il Tarì di Marcianise ancora dentro a un’inchiesta giudiziaria. Nelle scorse settimane, gli uomini della Guardia di Finanza hanno apposto i sigilli e hanno sequestrato il modulo 65, quello in uso alla Egn Spa, comprese tutta la merce custodita in cassaforte

Questo provvedimento si combina con altri ugualmente firmati da uno dei gip del tribunale di Lecce, su richiesta della locale procura della Repubblica. Un’inchiesta complessa, articolata, che, secondo i pm del capoluogo salentino, ha portato alla luce un sistema collaudatissimo di false fatturazioni, relative a centinaia e centinaia di transazioni inesistenti tra soggetti economici con sede in Italia, che inviavano somme ingentissime sui conti di società con sede all’estero, le quali emettevano fatture totalmente false relative a una fantomatica importazione di oro da lavorazione. .

Sette le persone arrestate, più una destinataria di una misura interdittiva, tra amministratori, prestanome e liberi professionisti accusati di associazione per delinquere, emissione e/o utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio, autoriciclaggio, sottrazione al pagamento delle imposte e bancarotta fraudolenta.

Tra gli arrestati il 39enne di Recale Emanuele Esposito, residente nella stessa Racale, peraltro unico tradotto in carcere; arresti domiciliari invece per Stefano Alessandrini, 34 anni, domiciliato a Taviano, comune della provincia di Lecce. E ancora, Andrea Chetta, 30 anni, pure di Taviano; Pasquale Mazzola, 53 anni, di Molfetta; Salvatore Mercurio, 56 anni, commercialista, di Taviano; Tommaso Spiri, 72 anni, di Taviano, e Fulvio Venneri, 41 anni, di Taviano.

Infine, all’imprenditore Giuseppe Caldarola, di Corato è stato notificato il divieto di svolgere la propria attività.

L’indagine ha al centro la figura di un “operatore professionale” del commercio di “oro, metalli preziosi ed oro da investimento”, iscritto nell’apposito elenco della Banca d’Italia, avente sede nel Salento, il quale si presume si sia posto al centro, come già scritto prima, di una fitta rete di società cartiere (italiane ed estere) e di un complesso sistema di frode fiscale e di riciclaggio internazionale di denaro.

Nei confronti delle società di capitali coinvolte e delle persone fisiche aventi ruoli di responsabilità all’interno di esse, il gip del Tribunale di Lecce ha altresì disposto il sequestro preventivo – anche nella forma dell’equivalente – di valori e risorse finanziarie per ben 133 milioni di euro, circa di 260 miliardi di vecchie lire, quale profitto dei diversi reati contestati, oltre che di tre fabbricati per uso commerciale e artigianale, nonché di un intero ramo d’azienda, del valore di circa 1 milione e 400mila €, in relazione ai reati fallimentari contestati.

Le indagini avviate sulla base di autonome attività ispettive, tributarie e bancarie hanno riguardato un complesso sistema di frode fiscale, sistematicamente esteso in Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Gran Bretagna, Albania, Australia e Svizzera.

Secondo gli inquirenti i titolari della società salentina, con il concorso di alcuni professionisti, facendo ricorso ad articolata rete di “prestanome”, molti dei quali partecipanti nella associazione per delinquere, nel periodo dal 2016 al 2020, avrebbero utilizzato diverse società “cartiere”, ubicate al di fuori del territorio dello Stato, verso le quali sarebbero state bonificate ingenti somme di denaro giustificate con l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, idonee a simulare l’acquisto di “partite” d’oro dall’estero.

Quasi contestualmente, le ingenti liquidità bonificate dalla società pugliese presso banche per lo più estere, attraverso rilevanti prelevamenti di denaro contante, sarebbero state ritirate e reintrodotte sul territorio nazionale, in parte anche utilizzate per ulteriori transazioni finanziarie “estero su estero”, innalzando la complessità degli accertamenti e facendone perdere ogni tracciabilità con l’originaria provvista.

Si è calcolato che in un solo triennio, sarebbero stati ritirati per contante, all’estero, oltre 120 milioni di euro, suscitando conseguente allarme anche presso le autorità straniere.

In tale ambito, il sodalizio criminoso, per impedire all’Erario di incassare le ingenti imposte non pagate, con una serie di atti dispositivi fraudolenti si sarebbe liberata fittiziamente degli asset patrimoniali della società – destinata ad una irreversibile situazione di dissesto e poi fallita – trasferendoli ad altra società, esercente la medesima attività e riconducibile di fatto alla stessa governance.

Di conseguenza, secondo un preordinato schema illecito, la sede sarebbe stata trasferita fittiziamente in Bulgaria nel tentativo di evitare o sottrarsi ad eventuali conseguenze giudiziarie civili poste in essere dai creditori (in primo luogo l’Erario).

L’operazione di servizio, che ha interessato diverse province italiane (Roma, Bari, Catanzaro, Arezzo, Barletta e, per l’appunto, Caserta), anche per perquisizioni e sequestri, tra cui quello del modulo insediato all’interno del Tarì di Marcianise e che ha visto l’impiego di oltre 100 militari, testimonia il sempre attento e costante impegno del Corpo delle Fiamme Gialle a tutela degli interessi dell’Erario e della trasparenza del mercato nella concomitante tutela della libera e leale concorrenza tra imprese.