TERZA PUNTATA. ESCLUSIVA. Le verità choc di Giulio Facchi: 7mila500 tonnellate al giorno di rifiuti da stoccare. La camorra incassava milioni di euro in una sola notte”
2 Dicembre 2018 - 12:39
CASERTA (di Tina Palomba) – E’ stato uno dei più grandi intrighi italiani mai capitati nella vicenda che ha prodotto un solo processo, quello giunto alle soglie della sentenza di secondo grado e che vede imputati, tra gli altri, Cipriano Chianese, titolare della mega discarica Resit, e Giulio Facchi, motore del commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti.
Ma quest’ultimo non ha mai accettato di diventare l’unico capro espiatorio e ha più volte raccontato le sue verità sui rapporti tra politica, camorra e grandi imprese nazionali a partire da quella Impregilo, al tempo controllata da Cesare Romiti, e dunque appartenente alla galassia Fiat.
Alla vigilia della sentenza, che sarà pronunciata il 19 dicembre con possibilità di slittamento a gennaio, Facchi ha accettato di riassumerla per intero la sua lettura dei fatti di quegli anni che segnalano sicuramente il periodo più buio di cui purtroppo le istituzioni fondamentali come la Regione Campania, diventarono un tutt’uno con i grandi rappresentanti dei clan casertani e campani, autentici pleripotenziali della gestione di un business enorme da 7500 tonnellate al giorno di rifiuti.
Abbiamo suddiviso questa lunga intervista in tre parti, proprio per cercare di affrontare tutti i punti che il manager milanese ha voluto toccare. Oggi pubblichiamo la terza e ultima con cui Facchi ritorna, approfondendole ulteriormente, su questioni già toccate nelle prime due. Per la prima volta fa il nome di Cesare Romiti, ma soprattutto schematizza tutto il meccanismo, tanto grande che finanche la camorra dovette trovare altri interlocutori al proprio interno per provare a gestirlo tutto.
Ripartiamo dalla domanda sul ruolo di Bassolino e del suo riferimento politico e fiduciario principale, cioè Massimo Paolucci.
Ecco le risposte di Facchi.
“Per quanto riguarda Paolucci (oggi parlamentare europeo) e l’asse Bassolino. Non voglio accusare nessuno ma ogni decisione io la comunicavo a Massimo Paolucci e spesso mi confrontavo con lui. Io ero certo il più esposto perché curavo e gestivo le attività connesse all’emergenza ma certamente non ero io l’espressione del ‘potere’ nell’ambito del commissariato e operavo raccomandandomi a tutti i vertici dello stesso.
Puo’ spiegarci meglio questo passaggio?
“La dimensione dell’intervento riguardava 7500 tonnellate di rifiuti al giorno . Un sistema assurdo. Attorno a Fibe si sviluppavano le seguenti attività: 7500 tonnellate di rifiuti che entravano in 7 impianti di Cdr. Dagli impianti CDR usciva una frazione organica (mai lavorata e ma stabilizzata) che andava in discarica (perché la qualità non consentiva l’uso in recuperi ambientali) per il 30 per cento, quindi 2250 tonnellate al giorno . Le altre 5250 tonnellate al giorno andavano nelle famose aree di stoccaggio delle ecoballe . Pensate che significava per Fibe (2250 tonnellate al giorno significava dire una delle più ricettive discariche italiane) Inoltre serviva un numero incredibile di aree di stoccaggio che guarda caso venivano trovate sempre nell’area del giuglianese e nel casertano. Intorno a Fibe c’era un giro di affari indotto che faceva paura. La Follia pura fu: quella di rinunciare come soggetto pubblico a svolgere le funzioni di regolatore e di programmazione del territorio per affidare ad un soggetto privato che sceglieva dove e come e quando localizzare gli interventi.
Ma quali erano le discariche gestite da Fibe?
Una, una sola e lo dichiarai anche in Procura: mi riferisco alla cava Giuliani. Ricordo che un giorno, nel 2001, morì nella cava un lavoratore schiacciato da un mezzo in manovra. Pensavo che succedesse il finimondo con l’appoggio dei sindacati, invece il silenzio. Quel silenzio fu a mio parere la conferma che la camorra gestiva quella discarica perché era un lavoratore di Giuliano e non si poteva far rumore”.
Lei ha fatto i nomi e cognomi?
“In procura e ai servizi feci pure nomi e cognomi delle persone delle società che intervennero sui terreni con guadagni di milioni di euro che si determinavano nel giro di una sola notte. Il grande business era dato dalla gestione delle aree di stoccaggio. Tutte le 7500 tonnellate al giorno dovevano essere trasportate in uscita o verso aree di stoccaggio. Ogni autista trasportava al massimo 25 tonnellate di rifiuti, quindi significa 25 viaggi al giorno”.
E’ possibile che un soggetto privato potesse gestire tutto senza il condizionamento della camorra?
“Il nuovo sistema di gestione dei rifiuti era articolato su un unico soggetto su scala regionale che doveva interfacciarsi con chi sapeva proporsi. La nomenclatura dei rifiuti per Fibe era fatta dai La Marca, dai Chianese, dai Bruscino, dai Marrazzo, dai Colucci e dai fratelli Bianco. Ognuno di loro aveva una propria rete di contatti e di relazioni sul proprio territorio. Ognuno aveva il suo orticello lo coltivava. Il fatto che Impregilo, il gruppo italiano più forte nei lavoro edili e di movimento terra e che non aveva mai operato nel settore dei rifiuti, stesse in questa partita, doveva far riflettere. Il livello di interlocuzione tra la Impregilo di CesareRomiti (dunque, gruppo Fiat) e chi doveva garantire il controllo del progetto su scala regionale, passava necessariamente dalle relazioni già in essere della gestione del “movimento terra”. Voglio dire come disse ai sei servizi che i Bruscino, i Chianese, gli Agizza e i Colucci non avevano la forza di andare oltre il loro specifico territorio e campo di azione. E allora ecco che compaiono i Caradente, i Giuliani che si muoveranno sul territorio a ricercare terreni e garantire consensi. Ecco perché nel commissariato di Governo, la partita Fibe era saldamente affidata a Vanoli e al suo ristretto staff. Loro erano convinti che l’emergenza fosse superabile solo partendo con un tavolo con la camorra che poteva sostenere su scala regionale. Ma io come vi ho già detto, rappresentavo un ostacolo ”.
Ha mai conosciuto di persona Gaetano Vassallo?
“Gaetano Vassallo non l’ho mai conosciuto ma fa parte di quella generazione di operatori collegati a doppio filo alla camorra, come La Marca. Io dovevo gestire e calmare l’emergenza. Sono costretto a ripetermi e a ribadire concetti che ho già espresso in questa intervista. Ma è fondamentale perché solo attraverso ad una loro corretta comprensione, si può capire quale sia stata la cornice dentro alla quale si sono sviluppati interessi economici stratosferici ed equilibri opachi tra poteri dello Stato e malavita organizzata.
Ripeto, io volevo costringere Fibe a rimettere tutto il sistema in mano pubbliche, invece Fibe voleva costringere il Governo ad intervenire. Avevo fatto scattare le indagini per relazionare i due superpoteri rappresentati da un lato da Romiti, dall’altro da Bassolino. Avevo ispirato la denuncia di Tommaso Sodano, che determinò quella vicenda giudiziaria. Sono stato per giorni in Procura per fornire nomi e circostanze. E questo me lo fecero pagare per aver scatenato la Procura che impediva a chiunque di modificare i contratti a favore Fibe. Fu una sorta di scacco alla Regina”.