46 ARRESTI. ECCO chi erano i nuovi “generali” del clan dei casalesi. Il nome dei loro “colonnelli”, chi trovava le armi e chi l’esplosivo per le minacce a imprenditori e commercianti

22 Novembre 2022 - 19:13

Partiamo, naturalmente dalla contestazione principale quella di associazione a delinquere di stampo mafioso ai sensi dell’art. 416 bis del codice penale, relativa alla nuova struttura di comando che metteva insieme continuatori ed eredi dei Bidognetti e degli Schiavone, con una diramazione definita verso Giugliano, verso quel Salvatore Sestile, patron deceduto del ristorante “La Contessa”, suocero di Antonio Schiavone fratello di Sandokan e Scarface. I ruoli di Cucchione, Musullin, Peppe Mattone, o zio e/o papà

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Sono due i nomi cruciali nell’ordinanza che, all’alba di stamattina, ha portato all’emissione di provvedimenti di reclusione cautelare carceraria nei confronti di 45 indagati, di reclusione agli arresti domiciliari di una sola indagata, di due divieti di dimora e di altre 6 iscrizione, tecnicamente a piede libero, di altri indagati, qualcuno dei quali, però, attinto dalla custodia cautelare per altri capi di imputazione provvisori. Dei 45 destinatari di ordinanza in carcere, cinque erano già detenuti. In verità quattro, cioé Gianluca Bidognetti, Emilio Mazzarella, Agostino Fabozzo e Luigi Cirillo, mentre un quinto, Giacomo D’Aniello era ristretto agli arresti domiciliari a Campobasso, dunque, presumibilmente, già destinatario di un’ordinanza che associava alla detenzione domiciliare l’obbligo di esercitarla al di fuori della regione, che passa da una casa o da un appartamento alle patrie galere.

La sola Agnese Diana, 46enne di Casal Di Principe, è stata ristretta nelle mura domestiche, mentre per Aniello Di Fraia e Pasquale Pepe, opera da stamattina, il divieto di dimora nelle province di Napoli e Caserta.

Sintetizzate le coordinate fondamentali dell’ordinanza che per altro sonno dettagliatamente contenute in un articolo da noi pubblicato stamattina (clicca e leggi) passiamo a quello che i nostri lettori ben conoscono come approccio metodologico obbligato quando si affronta la trattazione di un ordinanza di camorra. Il capo 1, infatti, rappresenta il disegno fondamentale delle articolazioni organizzative di un gruppo criminale che, alzando ancora una volta le insegne del clan dei casalesi instaura un’attività finalizzata a realizzare estorsioni, gestione e sfruttamento della lucrosa routine dello spaccio soprattutto esigendo da gruppi di pusher comuni una percentuale sulle vendite ma non lesinando energie per ricostituire un sistema organizzato in cui fossero chiare le identità dei generali, dei colonnelli e dei soldati semplici.

Il capo 1, che declina i motivi della contestazione dell’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, ai sensi dell’art. 416 bis capi 1,2,3,4,5,6,8, per il quale risultano indagati: Giovanni Della Corte, Franco Bianco, Vincenzo Di Caterino, Giuseppe Di Tella , detto “Peppe Mattone”, Salvatore De Falco, Giuseppe Granata, ci racconta che i nuovi comandanti erano fondamentalmente due: Giovanni Della Corte, 53 anni di Casal di Principe detto “Cucchione” e mezzo gradino sotto Franco Bianco, 49 anni ugualmente di Casal di Principe detto “Musullin” dialettale di Mussolini. L’organizzatore, il ricostitutore e dunque il primo dirigente del clan era, dunque, Giovanni Della Corte, il quale teneva le riunioni con gli altri esponenti nella sua abitazione di via De Gasperi, successivamente nel negozio commerciale, intestato a sua moglie, in via Isonzo sempre a Casal di Principe, salvo poi, una volta compreso che quelle location erano state in pratica bruciate dall’installazione di telecamere da parte dell’autorità inquirente, riparare nell’abitazione, nelle proprietà di Franco Bianco, suo diretto interlocutore, in via Genova.

Ed era proprio con Franco Bianco che Giovanni della Corte aveva creato una sorta di stato maggiore mettendo in pratica insieme due gruppi.

Il Della Corte anche per rapporti pregressi, rappresentava il trait d’union tra le varie fazioni occupandosi soprattutto della omogeneizzazione delle attività e degli obiettivi del gruppo Bidognetti, attraverso una interlocuzione diretta con un nome storico di questa fazione, cioè, Giosué Fioretto, detto “o zio” e/o “papà”. Ma Della Corte ha guardato anche verso Giugliano, dove aveva operato e forse opera ancora un’alleanza storica tra la summenzionata citata area criminale di Bidognetti e il clan Mallardo, garantita da figure come quella di Giuseppe Granata che di Della Corte è stato interlocutore diretto e privilegiato in quanto particolarmente capace di procurarsi e di utilizzare l’esplosivo, servito poi agli attentati intimidatori nei confronti di imprenditori e commercianti. Chi segue da qualche anno gli approfondimenti di cronaca giudiziaria di CasertaCe non rimane spiazzato leggendo il nome di Salvatore Sestile. Tanti articoli abbiamo dedicato a questo imprenditore deceduto da qualche tempo, patron del rinomatissimo ristorante per cerimonie “La Contessa”, teatro di tante riunioni di camorra come hanno dimostrato diversi atti giudiziari, equilibratore tra gli interessi dei Mallardo, dei Bidognetti e quelli della famiglia Schiavone, visto e considerato che Antonio Schiavone, fratello di Francesco Schiavone Sandokan e di Walter Schiavone Scarface ha sposato proprio la figlia di Salvatore Sestile che dunque di Antonio Schiavone è stato il suocero.

Oltre ai generali, vi erano, ovviamente i colonnelli, cioè esponenti del clan dei casalesi, che si occupavano di attività essenziali ma che, non avevano i gradi della potestà apicale, che stando a ciò che emerge dalla lettura del capo 1 di questa ordinanza erano ad appannaggio prima di tutto di Giovanni Della Corte, e in parte di Franco Bianco. Sempre il capo 1 dell’ordinanza declina con precisione al riguardo il ruolo ricoperto da Giuseppe Di Tella e Salvatore De Falco, rispettivamente 51 e 47 anni. Il primo coadiuvava Giovanni Della Corte nella organizzazione dell’attività già citata che avrebbe dovuto condurre alla creazione di una piantagione di marijuana. Oltre a questo, Di Tella faceva da guardaspalle a Giovanni Della Corte e spesso anche da autista, visto che quest’ultimo non poteva più guidare l’auto, privato com’era della patente di guida a causa dei provvedimenti giudiziari a suo carico. Per quanto riguarda, invece, Salvatore De Falco insieme agli appena citati Giuseppe Di Tella e Vincenzo di Caterino, rappresentava una sorta di gruppo di pianificazione e in parte anche di esecuzione delle diverse estorsioni pianificate durante le riunioni svoltesi nella casa di Giovanni Della Corte, nel negozio della moglie o anche nell’abitazione di via Genova di Franco Bianco.