PAOLO SICILIANO, non solo reimpiego del danaro dei Belforte. Per il gip, è possibile che tutti i suoi milioni siano frutto di una sorta di società di fatto con i Mazzacane e il loro gruppo di usurai

7 Febbraio 2022 - 12:31

Molto interessante l’ultimo stralcio della recente ordinanza la quale ha colpito anche Michele Campomaggiore e i due Buonanno. Oltre a specificare ancora meglio i motivi dell’imputazione provvisoria ai sensi dell’articolo 648 ter e soprattutto ai sensi dell’articolo 416 bis comma 1, il gip utilizza il meccanismo degli assegni, che definisce sistematico in quanto fondato su numerose transazioni, si spinge ancora più in là

 

MARCIANISE – La parola fondamentale è unitarietà. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli Antonio Baldassarre, sviluppa un ragionamento molto chiaro su quelle che considera le responsabilità di Paolo Siciliano, conosciutissimo imprenditore della provincia di Caserta, che da anni e anni macina fatturati a 7 zeri cioè decine e decine di milioni di euro grazie ad una rete fitta di supermercati che costellano tutte le aree della provincia di Caserta e anche quelle di altri territori della Campania.

Antonio Baldassarre si spinge oltre l’accusa di reimpiego di danaro provento di attività illecite, in questo caso di attività di tipo camorristico, così come questo reato è definito dall’articolo 648 ter del codice penale. Se è vero che l’arresto Siciliano lo subisce per questa contestazione, è anche vero che sull’aggravante, una volta costituita dal famoso articolo 7 della legge 203 del 1991, mafiosa o camorristica che dir si voglia, oggi trasfuso nell’articolo base della repressione mafiosa, il 416 bis, all’intero del quale è stato posizionato al comma 1, lo stesso giudice dimostra di avere idee molto definite.

Se oggi non si riesce a dimostrare l’esistenza di una strutturale e stabile relazione tra Paolo Siciliano e il clan Belforte, ciò potrebbe anche accadere in futuro. Perchè, l’afflusso di assegni, assorbiti dall’imprenditore dei supermercati e provenienti dalle operazioni usurarie, compiute dai vari Michele Campomaggiore, Gennaro Buonanno e dal figlio di quest’ultimo, Giovanni Buonanno, si configura come una modalità organica, stabilmente incardinata nei rapporti tra Siciliano e questi soggetti.

Per cui il giudice coglie una unitarietà e con essa anche l’idea che il rapporto tra Paolo Siciliano e il clan Belforte non fosse certo limitato a poche negoziazioni di assegni quand’anche in questo caso abbiano prodotto la cifra ragguardevole di 86mila euro (CLIKKA E LEGGI).

Non a caso il gip cita le dichiarazioni di Nazaro Bellopede, imprenditore marcianisano di prodotti ittici, il quale, una volta compresa l’antifona e il pericolo legato al fatto che l’imprenditore vittima di usura, Giuliano Angioletto, anch’egli di Marcianise, non avrebbe avallato dopo tanti anni di silenzi e di omertà, in cui aveva negato di essere sotto usura, la versione fabbricata da Siciliano davanti ai finanzieri della compagnia di Marcianise, aveva a sua volta spiegato che l’assegno di cui si era discusso nell’interrogatorio subito dal Siciliano, lui non l’aveva ricevuto dal sottoscrittore, dal traente iniziale cioè da Giuliano Angioletto, così come l’imprenditore dei supermercati avrebbe dichiarato e avrebbe voluto far dichiarare anche da Angioletto, bensì da Camillo Belforte, figlio di Salvatore Belforte, co-leader con il fratello Mimì Mazzacane dell’omonimo clan che ha dettato legge per decenni a Marcianise, ma anche in altri comuni tra cui quello di Caserta, attraverso gli storici capizona Della Ventura, Capone e compagnia.

Dunque – nota il giudice – l’inserimento in questa vicenda del nome del figlio del super boss, la dice lunga sulla struttura non estemporanea di questa organizzazione, partiva dall’usura e arrivava, per l’appunto unitariamente, all’utilizzo di questi capitali nell’attività commerciale.

Il gip non parla di una società di fatto, ma i concetti che esprime non si discostano più di tanto da questa visione delle cose. In conclusione il tribunale ribadisce un concetto già espresso nella aprte di ordinanza da noi commentata ieri sera, rilevando che la negazione totale di ogni addebito, la propinazione di una versione totalmente falsa, da parte di Siciliano, dimostra che lui fosse realmente consapevole della provenienza di quegli assegni e probabilmente del fatto che quell’indagine stesse scoperchiando un meccanismo che aveva funzionato per anni e che magari nelle fasi mai venute a galla e che mai forse lo saranno, aveva sviluppato movimenti economici importanti, cospicui, seppur gradualmente distribuiti, i quali, con ogni probabilità, avevano ed hanno avuto a che fare con la crescita esponenziale e inesorabilmente stabile degli affari dell’uomo tra i più in vista dell’imprenditoria commerciale della provincia di Caserta.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA