PIGNETTI SHOW. L’altra sera ero estorsore, questa sera quasi un bancarottiere. Solo espedienti per sfuggire all’imbarazzo di spiegare come amministra anche al governatore De Luca

3 Gennaio 2023 - 21:25

Naturalmente, come sempre abbiamo fatto, pubblichiamo integralmente il testo dell’ennesimo attacco personale, portato con argomentazioni – sempre le stesse – da noi più volte rintuzzate. E per quanto riguarda la foto scelta per il sottoscritto, risalente al 2006, io replico goliardicamente con un’altra mia fotografia, scattata un anno e mezzo dopo

CASERTA (gianluigi guarino) – Mi vedo costretto, ma solo per il rispetto che porto alla funzione istituzionale che ella ricopre pro tempore, a rispondere alla Presidente dell’Asi Raffaela Pignetti su cose dette e ridette e che lei spaccia ancora oggi come rivelazioni da scoop.

Nel momento in cui rispondo, però, la Pignetti porta comunque a casa un risultato: spostando, infatti, l’attenzione sulla biografia del sottoscritto, evita di entrare nel merito e di dare spiegazioni sugli avvenimenti in cui è coinvolta in questi giorni in quanto, lo ripetiamo a costo di essere noioso, nella sua veste di presidente del Consorzio Asi Caserta.

E non entrando nel merito, lei tutela se stessa in quanto persona, ma indebolisce costantemente il consorzio pubblico che presiede in nome e per conto del popolo sovrano, del cittadino contribuente.

L’argomento che la presidente, buttandola in caciara, riesce ancora una volta ad eludere, riguarda ciò che è successo alla Regione Campania, subito dopo che la Pignetti ha ritenuto che una legge già votata dal Consiglio Regionale, organismo altamente rappresentativo e dotato di una cifra di sovranità, derivata dall’elezione diretta dei suoi componenti, sicuramente superiore a quella che promana dall’organismo di presidenza e dal consiglio di amministrazione o comitato direttivo che dir si voglia, dell’Asi di Caserta, potesse essere furbescamente aggirata.

Come si suol dire, la presidente Pignetti, stavolta non al centro di una valutazione soggettiva di questo giornale, ma di una decisione chiara, netta, perentoria del Consiglio Regionale, resa poi concreta attraverso una nota, spedita alle nove di sera dagli uffici delle dirigenze apicali di Palazzo Santa Lucia il 29 dicembre scorso, ancora letteralmente basiti dalla scelta, operata dalla presidente Pignetti, di assegnare provvisoriamente le aree dell’ex Impreco, nonostante che il Consiglio Regionale le avesse sottratto questa possibilità, rimanendo il solo atto della pubblicazione della legge Finanziaria, per perfezionare e rendere completamente esecutiva la procedura normativa di riappropriazione della potestà di alienazione di quei lotti di Gricignano in area Asi.

Purtroppo, almeno per stasera dobbiamo assecondare Raffaela Pignetti, in quanto non sarebbe serio e opportuno lasciare senza risposta anche questo ennesimo attacco personale, portato a danni del sottoscritto dalla presidente por tempore del Consorzio. Perché se a parlare e a scrivere fosse solo Pignetti in quanto tale, dicono a Roma, non me ne potrebbe fregà de meno.

E allora vediamole le rivelazioni odierne, peraltro consultabili direttamente dal comunicato che la presidente ha pubblicato addirittura nel sito istituzionale, dunque, in nome e per conto anche del popolo, e che noi rendiamo disponibili in alto, cioè in testa a questo articolo.

Il sottoscritto è stato condannato a risarcire 60mila euro all’Asi di Caserta per 8 articoli considerati diffamatori da un giudice del Tribunale di Aversa-Napoli Nord.

Senza voler esagerare, la Pignetti avrà scritto dappertutto questa cosa almeno mezza dozzina di volte e siccome io non ho il problema di dover orientare, adattare la verità, ho sempre risposto alla stessa maniera, così come la ripetitività noiosa degli interventi della signora Pignetti richiede, invitando cioè ognuno dei nostri lettori, interessato legittimamente a fare la parte di San Tommaso apostolo, quello del dito nella piaga, ad andare a controllare se in nel procedimento il sottoscritto si è o meno costituito in giudizio e conseguentemente se si è difeso. Se lo farete, vi renderete conto che il convenuto non è mai…venuto in Tribunale.

Ciò non per esprimere una manifestazione di reazione irrispettosa nei confronti del giudice, ma semplicemente perché la mia condizione di salute, legata da anni e anni a serissimi problemi di vista, hanno fatto si che questa citazione, probabilmente notificatami presso la mia abitazione di residenza quando io non ero presente, è sfuggita alla mia lettura, perché, particolarmente in quel periodo, come ho scritto nel ricorso in Corte d’Appello dove ho impugnato la sentenza di Aversa, non ero in grado di leggere – così come attestano cartelle cliniche e certificazioni ufficiali – nemmeno un cartello stradale scritto a caratteri cubitali.

Per cui, per la sesta o settima volta do la stessa risposta a questa notiziona rivelata dalla Presidente Pignetti che, a mio avviso, quella causa ha vinto non perché avesse ragione, ma perché io, di quel procedimento, non sapevo assolutamente nulla e non ho speso nemmeno una sillaba.

La conseguenza della sentenza del Tribunale Civile è scritta nel diritto processuale.

Per farvela breve, se una sentenza di diritto penale produce i suoi effetti solo quando diventa definitiva, con un verdetto di Cassazione o con un verdetto di primo o secondo grado non impugnati, il discorso è diverso per quanto riguarda i procedimenti civili.

In questo caso, pur non costituendo assolutamente la sentenza di primo grado un verdetto definitivo, pur potendo essere impugnato – come io ho fatto – in Corte di Appello e poi eventualmente in Corte di Cassazione, è già il pronunciamento di primo grado a produrre effetti di tipo risarcitorio-patrimoniale che, nel caso del diritto penale, possono costituire pena accessoria immediatamente esecutiva solo in caso di applicazione della cosiddetta provvisionale.

Per cui, l’Asi deve aver pensato bene, dopo aver speso 60/70 mila euro per pagare, con i soldi dei cittadini ,gli avvocati della persecuzione contro il sottoscritto, di recuperare questi soldi.

Conseguentemente, un bel giorno, al mio cospetto è arrivato un ufficiale giudiziario e mi ha notificato il pignoramento delle quote della piccola società editrice di CasertaCe. Nel dettaglio, dato che qui non abbiamo nulla da nascondere, il 94% della proprietà di quella società.

Naturalmente, fermo restando il pignoramento, il sottoscritto ha attivato una procedura di opposizione di ricorso al Tribunale, ancora in dibattimento e di cui vi daremo sicuramente conto nel momento in cui si addiverrà ad una decisione del giudice.

L’Asi e chi la rappresenta ritenevano forse di pignorare la quota dell’editore del New York Times o del Corriere della Sera o di Repubblica, non rendendosi conto che CasertaCe è un giornale tanto ricco di idee, di passione, di iniziativa, di attitudine e respiro culturali, quanto povero di mezzi materiali.

Della serie, citando una famosa commedia degli anni Cinquanta, poveri ma belli, anzi, bellissimi con buona pace della mia fotografia che la Pignetti deve aver scelto non a caso, risalente agli anni durissimi, vessatori, in cui mettevo a repentaglio la mia salute anche e soprattutto per difendere l’onore personale e professionale, il diritto ad una buona carriera di chi oggi le aggiorna i comunicati sul sito.

Qui a CasertaCE ogni mese si fanno letteralmente i salti mortali – raggruppati e carpiati – per far quadrare quei quattro conticini che rappresentano tutti insieme probabilmente un quinto, un sesto dello stipendio che la signora Pignetti, a sommesso mio avviso, immeritatamente introita dai cittadini.

La maggior parte del gettito CasertaCe lo acquisisce da Google. Per me e per noi questo è un grande orgoglio, perché Google è un’azienda perfettamente antitetica rispetto a quella che i sindaci della provincia di Caserta fanno amministrare dalla Presidente Pignetti, finanziata con i soldi delle imprese o con i soldi della spesa pubblica, in una condizione in cui i principi della concorrenza, della corretta gestione sono totalmente estranei all’impianto istituzionale e organizzativo, a differenza di quello che succede in un piccolo giornale come il nostro, dove un euro entra solo e solamente se riusciamo a essere bravi a portare dalla nostra parte le libere scelte dei lettori di leggerci o di non leggerci.

Se fai traffico e fai visite, Google ti paga lo 0,00000010% delle cosiddette Impression, ovvero le visite. Se poi becchi qualche click sui banner, è festa grande, perché dallo zero virgola dieci volta ancora zero, passi ad un riconoscimento di zero virgola sette volte zero. Per cui, il 94% di quella società traduce esattamente il senno della mia scelta esistenziale di vivere, pur avendo la potenzialità di fare tanti quattrini, in maniera monacale, francescana. Perché, scusate la falsa modestia, non credo di avere minori facoltà intellettive e minori conoscenze culturali di chi, invece, incassa milioni e milioni, farfugliando a volte strani suoni spacciati per parole e concetti.

Alla signora Pignetti dico che io viaggio su una auto a gas con 350mila km sul groppone, una spettacolare i20 della Hyundai e me ne vanto. La scelta di vita che ho fatto è scritta nella consistenza del mio conto corrente personale, perennemente vicino allo zero e spesse volte sotto zero.

E non perché, come la Pignetti lascia pensare, non essendo in grado d’immaginare che nella vita si possano operare delle scelte di dignità, di spiritualità e non di materialità, per nascondere i soldi alle grinfie dell’ufficiale giudiziario, ma semplicemente perché io soldi non ne ho in quanto ho deciso di non averne.

Mi rendo conto di essere un cronico disadattato rispetto alla realtà che la signora Pignetti rappresenta. Ma anche di questo mi vanto, perché al di la degli errori che anche io compio (e ci mancherebbe), la serenità mi percorre in quanto è data dalla consapevolezza della mia buona fede e della mia onestà intellettuale.

Mai e dico mai un attacco personale della Pignetti al sottoscritto rimarrà senza risposta.

Colpo su colpo e se ci sarà un giudice ad Aversa, a Santa Maria Capua Vetere, a Napoli, a Roma che dirà che io merito la galera, sarò lieto di andarci, perché su quelle brande dormirò tranquillamente, sperando sempre nell’esistenza del giudice a Berlino, auspicato dal famoso Mugnaio, forte di quella serenità derivatami dalla consapevolezza che il mio essere uomo e, come tale, fallace è una condizione che metto in discussione costantemente, ogni giorno, chiedendomi se ho fatto tutto quello che c’era da fare per rispettare le leggi o quantomeno di perseguire un obiettivo di equità nelle cose che faccio nella mia vita privata e nel mio lavoro.

Il 94% delle quote pignorate dalla Pignetti appartengono a una società sul cui conto corrente c’erano solo i soldi per fronteggiare le spese vive e i compensi dei collaboratori faticosamente erogati nel rispetto delle norme contabili, tutti assolutamente rinvenibili presso le banche date Inps e dell’Agenzia dell’entrate.

Quel conto era ed è a disposizione di chi lo ha pignorato. Io so solo che oggi, per rispettare un giudice della Repubblica Italiana, non ho rassegnato le dimissioni dalla carica di amministratore e sto pagando con l’aiuto dei miei congiunti soldi che avrei potuto tranquillamente evitato di pagare se mi fossi dimesso.

Non l’ho fatto perché anche questa procedura del pignoramento deve trovare una sua nitidezza.

La società di cui sto scrivendo, proprio per effetto del pignoramento, è crollata. Perché chi in questi anni, con spirito di totale gratuità, trattandosi di un galantuomo che di mestiere fa il pensionato e basta, ha ritenuto che una società su cui gravava il pignoramento delle quote pari al 94% non potesse editare CasertaCe.

Conseguentemente il rapporto tra proprietà ed edizione si è interrotto e il sottoscritto, come al solito (con buona pace delle illazioni della Pignetti, delle deduzioni non fondate su nessuna evidenza giuridica e giudiziaria), dopo ad aver prosciugato definitivamente se stesso, sta facendo uguale con i suoi congiunti, perché il pignorante non si fa carico della gestione della società ed io, per onore, non lascerò la carica di amministratore fino a quando il giudice non mi dirà di poterlo fare tranquillamente.

Un giudice, di per sé, non ha potestà su una decisione del genere, ma a me interessa che un alto rappresentante della repubblica italiana abbia la percezione di avere a che fare con una persona per bene.

Questa è la realtà della mia via Crucis, vissuta da una persona che ha dovuto fronteggiare un’altra persona, divenuta soverchiante, solo in quanto non ha messo un solo euro di tasca propria per attivare queste azioni finalizzate a bloccare il lavoro, le denunce e le inchieste giornalistiche di CasertaCe.

Dunque, ci ha fregato un’altra volta, presidente Pignetti. Ci ha fregati e mi ha fregato perché è riuscita a distogliere l’attenzione sui contenuti della vicenda dei terreni ex Impreco rispetto alla quale non ha prodotto una sola parola convincente.

Ma ora, mettiamo anche il caso che io sia un delinquente, un diffamatore, addirittura un estorsore, udite udite, dei Canciello, così come ha pure prefigurato la Pignetti nelle scorse settimane.

Ma il fatto che io sia il diavolo in persona, un incrocio tra il mostro di Firenze e Donato Bilancia. Ma secondo voi, cari lettori, questo mette o toglie qualcosa al merito delle circostanze poste da questo giornale, oggettivizzate da documenti ufficiali, rispetto a cui, a dimostrazione di quale sia la direzione, il verso della ragione, la Pignetti non ha mai replicato nulla?

Non lo ha fatto oggi con la questione ex Impreco e con la vicenda del Cira, su cui ci piacerà raccontare nei prossimi giorni la vicenda della designazione del componente all’interno del Consiglio di Amministrazione, avvenuta a suo tempo e ora da ripetere, e non lo ha fatto mai, né in merito all’attività della famiglia Canciello, né in merito ai rilievi da noi posti sulla gestazione e sui contenuti del nuovo piano regolatore del Comparto di Aversa Nord.

Solo accuse e attacchi personali. Probabilmente, si tratta di un articolo che leggeranno in pochi se io fossi stato furbo questo ennesimo affondo non lo avrei neppure considerato, ma il sottoscritto tutto è – e ormai questo è un dato acclarato – eccetto che un furbo.