LA BANCA DELL’ USURA E DELLA CAMORRA. Un fiume di quattrini tra imprenditori vittime e carnefici. Le dichiarazioni di Buonanno su Angioletto, i Guida e il figlio del “capitone”

16 Gennaio 2023 - 14:13

MARCIANISE ( g.g) – Le otto pagine intense e colme delle dichiarazioni rilasciate nel maggio del 2022, dunque circa sette mesi e mezzo orsono, dal neo collaboratore di giustizia Giovanni Buonanno, meritano di essere valutate attraverso l’uso di due strutture logiche differenti: una di carattere generale, l’altra di carattere particolare, legata quest’ultima agli episodi considerati prima singolarmente e poi in relazione ad altri, seguendo in questo modo il filo logico delle imputazioni che la Dda ha chiesto ed ottenuto fossero contestate da un tribunale in uno dei processi più significativi su quello che è stato forse il business più importante della camorra marcianisana, cioè il business dell’usura.

Il piano generale riguarda, invece, l’analisi dei comportamenti dei protagonisti ed è finalizzato alla comprensione della mentalità, della cultura, della sociologia di questi fenomeni. Per carità, non diciamo nulla di nuovo nel momento in cui confermiamo l’asserzione che configura il mix tra ignoranza e una materia cerebrale tanto selvaggia quanto evoluta (potremmo definirla intelligenza criminale) come il brodo primordiale che ha formato i clan locali, secondi, per un lungo periodo, solo ai Casalesi per organizzazione militare e per fatturato di malavita. Ma più che la composizione del brodo primordiale, è interessante osservarne le conseguenze antropologiche e sociologiche.

Ora, semplifichiamo un attimo: se il testimone di nozze di Giovanni Buonanno, che di nome fa Luigi Cice è anche una vittima dell’attività di usura di Buonanno junior e del suo temibilissimo padre Gennaro, che invece pentito non è diventato, significa che quel modus vivendi basato sui principi espiatori di cui abbiamo scritto prima, ha determinato il più delle volte un’attiva, e non totalmente subita, consapevolezza di un ruolo di vittima dell’usura vissuto pressochè normalmente in un sistema in cui le parti erano accettate e vissute con reciproca soddisfazione, sia da parte degli usurai che da parte degli usurati.

Alcuni protagonisti della vicenda, infatti, sono vittime di usura ma allo stesso tempo anche usurai, come capita spesso in un altro mondo criminale, quello del traffico di stupefacenti, dove il tossicodipendente-acquirente si trasforma, per necessità e per avere sempre la dose di cui necessita, a sua volta in trafficante e spacciatore.

È una sorta di mercato finanziario in costante attività quello raccontato da Giovanni Buonanno. Il principale riferimento per gli investimenti di famiglia è stato quel Giuliano Angioletto titolare di una rivendita di gomme per autoveicoli in viale Kennedy, nella zona sud di Marcianise.

Scorrendo le pagine dell’interrogatorio di Buonanno, viene fuori una sorta di operazione finanziaria. La relazione tra usuraio e usurato non è fine a se stessa, non basta a se stessa. Buonanno eroga un primo prestito ad Angioletto, il quale consegna 63mila euro in assegni bancari e altri 37mila euro in contanti per una somma complessiva di 100mila euro.

Ma la grande banca dell’usura marcianisana diventa tale nel momento in cui Buonanno distribuisce a sua volta questi assegni, utilizzando l’imprenditore Andrea Guida quale ricettore. Nello specifico, a muoversi, è suo figlio Antonio Guida, amministratore della società di famiglia che prende in consegna questi assegni, precisamente dieci da 6300 euro cadauno per un totale di 63mila euro, e li versa sul proprio conto. Però, la somma prestata ad usura ai Guida da Buonanno è proprio pari ai 100mila euro che danno struttura al rapporto usuraio tra gli stessi Buonanno e Giuliano Angioletto.

L’APPUNTAMENTO AL CIMITERO DI PORTICO E IL SECONDO GIRO DI ASSEGNI

I 37mila euro residui rispetto ai 63mila in assegni, vengono consegnati da Guida a Buonanno nel corso di un appuntamento avvenuto all’esterno del cimitero di Portico di Caserta che, in prima battuta, il pentito colloca nel gennaio 2008, salvo poi correggersi, parlando di dicembre 2008 o di gennaio 2009, quando i magistrati che lo interrogano, Ranieri e Landolfi della Dda, gli ricordano che il sequestro degli assegni relativi a questo prestito usurario erano datati settembre, ottobre e novembre 2008. Di qui, la correzione temporale da parte del collaboratore di giustizia.

L’operazione finanziaria prosegue nel momento in cui Guida padre e Guida figlio, a fronte dei 100mila euro ricevuti da Buonanno, staccano assegni, con data in bianco, per un importo, evidentemente integrato dagli interessi usurari, di 180mila euro. Precisamente i “foglietti” sono nove, ognuno dei quali contiene la cifra di 20mila euro.

In poche parole, i 100mila euro dell’usura a Giuliano Angioletto sono negoziati con i due Guida, salvo poi diventare base per una seconda operazione usuaria, che si distingue chiaramente dalla prima proprio in relazione ad una cifra che lievita per effetto degli interessi.

DAL NECESSARIO ALL’UTILE. GENNARO BUONANNO TORNANDO DAL TRIBUNALE VA’ A MINACCIARE…

Continuando a mettere insieme il contesto socio antropologico con quello giudiziario, Giovanni Buonanno fa convivere tranquillamente il suo rapporto amichevole con Giuliano Angioletto, connotato anche da qualche conviviale, da qualche pranzo vissuto da amici, ad una sorta di gioco di ruolo, nel quale il fatto di parlare amichevolmente del più e del meno non confligge con l’attuazione di un codice criminale che prevede, ad un certo punto che Giovanni Buonanno minacci Giuliano Angioletto e addirittura lo colpisca con uno schiaffo, mentre suo padre, in una scena tragicomica, avendo guadagnato il diritto di scontare la propria pena detentiva agli arresti domiciliari, in quanto malato, utilizza l’usuale formula che da la possibilità a chi si trova ai domiciliari, di raggiungere da libero e senza scorta, il Tribunale nel qualche si sta svolgendo un processo a suo carico o in cui è chiamato a testimoniare, trova il tempo, ritornando a casa, di effettuare una digressione, una deviazione nel percorso finalizzata a incontrare proprio Giuliano Angioletto in modo da sollecitare la corresponsione di rate usurarie, visto che l’Angioletto molto arrancava in quel periodo e molto ritardo aveva accumulato. Anche Gennaro Buonanno non va per il sottile, e , a quanto risulta al figlio Giovanni, fa minacciare Angioletto da marcianisani trapiantati a Roma, nello specifico dai fratelli Andrea ed Alessandro Delli Paoli. Rispetto a suo padre Gennaro, il figliolo Giovanni Buonanno è un’anima buona che cerca di convincere il genitore sul fatto che le difficoltà economiche in cui versa Giuliano Angioletto, rendono eccessivo il suo proposito di voler appioppare a questi ulteriori 40mila euro di interessi per 4 mesi di ritardo nella restituzione delle rate concordate.

BUTTONE, CAMPOMAGGIORE E IL FIGLIO DEL “CAPITONE”

E torniamo alla banca d’affari e dell’usura: pensate un po’ che Giuliano Angioletto il quale poi alla fine non ne potrà più e denuncerà i fatti all’autorità giudiziaria, spiega a Giovanni Buonanno che i soldi a lui chiesti in prestito, servono a chiudere una seconda partita usuraia con un altro gruppo di camorra, forse ancora più temibile. Il manipolo di “galantuomini” di cui Angioletto era debitore era quello formato da Claudio Buttone, divenuto poi a suo volta pentito, Pietro Russo, il ben noto Michele Campomaggiore, coinvolto in diverse altre inchieste di usura, e Michele Napolitano, figlio di un altro nome “eccellentissimo” della criminalità organizzata marcianisana , quel Felice Napolitano, detto o ‘ capitone, spietato killer uno dei pochissimi che riesce a transitare, come abbiamo raccontato nel dettaglio qualche tempo fa in un nostro articolo, dalla fazione perdente dei Piccolo-Quaqquaroni a quella rivale dei Belforte-Mazzacane, senza pagare con la vita come successe invece a tantissimi altri nel corso della sanguinosissima faida di fine anni 90.

Napolitano, incontrato presso l’autofficina di Angioletto dice a Giovanni Buonanno che questi gli deve 12,500 euro.

LA FERRARI NERA, IL BANCO DI NAPOLI, IL BAR LA “DOLCEVITA” E L’USURA SECONDARIA

Insomma, un vero e proprio disastro dentro al quale il rivenditore di penumatici diventa un servizievole strumento nelle mani del clan Belforte. Ciò accade quando Claudio Buttone fa intestare a lui una Ferrai nera di cui il vero proprietario era proprio il Buttone.

Abbiamo descritto i punti principali dell’interrogatorio di Giovanni Buonanno. Ce ne sarebbero altri ma questi sono decisamente più importanti. Non siamo ritornati, visto che l’abbiamo già scritto nei mesi scorsi, su personaggi come Vincenzo Tartaro anche lui usuraio secondo Buonanno, come il vicedirettore del Banco di Napoli di Marcianise Salvatore Foglia e dell’impiegato Gaetano Sorrentino. Per gli stessi motivi, ci limitiamo ad una semplice citazione di Domenico Rossetti detto “capa bianca” e del figlio Raffaele, titolari del bar la “Dolcevita” sito in via Martin Luther King e sede abituale, secondo il racconto del collaboratore di giustizia, degli incontri d’affari di questi “gentiluomini”

Il POST SCRIPTUM lo dedichiamo di nuovo a Giuliano Angioletto in modo da confermare l’impianto di questo articolo e la necessità della sua doppia lettura, di tipo generale e di tipo particolare. La “grande banca” della camorra e dell’usura non poteva, tutto sommato, nonostante la sua situazione rovinosa non renderlo protagonista anche dell’altro ruolo di questa rappresentazione: Giuliano Angioletto, infatti, a sua volta, faceva l’usuraio prestando soldi a strozzo, in particolare all’imprenditore Giovanni Allegretta, detto Giovanni porco porco, titolare di un’ impresa edile.