Casalesi e Cosa Nostra, vite da latitanti: Schiavone, Riina Zagaria e Messina Denaro, clan diversi, uguale destino

24 Gennaio 2023 - 06:54

La cattura dell’ultimo superboss dei Corleonesi chiude un cerchio, inaugurato dal blitz del Capitano Ultimo

CASAL DI PRINCIPE- (Tina Palomba) Un unico denominatore nella storia di tre super boss della camorra casertana e di tre della mafia siciliana. Francesco Schiavone alias Sandokan, Antonio Iovine alias o ninno e Michele Zagaria, per il clan dei Casalesi; Totò Riina o’curto, Bernardo Provenzano Binno o’ tratturo e l’ultimo, Matteo Messina Denaro, alias o Diabolik, per la malavita siciliana.

Tutti arrestati nei loro feudi, dopo lunghe latitanze, tutti finiti, in prima battuta, al carcere duro, tutti condannati a decine di ergastoli. La maggior parte di loro morirà in cella, come già è successo a Riina e Provenzano. Solo uno dei sei, Antonio Iovine, ha deciso di collaborare con la giustizia.
Ma andiamo per ordine, precisamente per ordine temporale di arresto.
Francesco Schiavone Sandokan oggi 69 anni, venne arrestato l’11 luglio del 1998, in via Bologna, a Casal di Principe, alle spalle della sua abitazione, dopo tre anni di latitanza. Lo ammanettò l’allora capo della Dia di Napoli, Guido Longo. Quando sentì rompere il muro, che divideva il suo rifugio dal resto della casa, aveva in braccio le sue figlie piccole.
Uscì dal suo bunker, illuminato dalle luci di potenti fari. “Attenzione, non sparate. Ci sono le bambine con me. Mi arrendo, mantenete la calma e non usate le armi”, gridò agli uomini della polizia. C’era un binario che permetteva l’apertura della botola per accedere al suo cunicolo sotto il pavimento. Nel nascondiglio vennero trovati quadri che lui stesso dipingeva. Tra questi, un ritratto di Napoleone che guardava un tramonto. Forse il presagio di un suo declino. Coinvolto come mandante ed esecutore in diversi omicidi, com’ è emerso nel maxi processo Spartacus I, Sandokan, attualmente, sconta 13 ergastoli nel carcere duro di Parma. Molti componenti della sua famiglia, cioè la moglie Giuseppina Nappa e il primogenito Nicola, stanno collaborando con la giustizia.
Antonio

Iovine, alias o’ ninno 59 anni, arrestato, dopo 14 anni di latitanza, il 17 novembre del 2010, in via Cavour, a Casal di Principe, dagli uomini della squadra mobile di Napoli diretti al tempo dal dottor Vittorio Pisani. Erano alcuni componenti della famiglia Borrata a prendersi cura di lui, del boss “manager”. Non è solo lui a collaborare con la giustizia. Lo fa anche la moglie Enrichetta Avallone.
Iovine, da quando si è pentito, quasi dieci anni, è stato condannato per diversi omicidi, ma con i benefici da collaboratore di giustizia. È successo di recente con i 12 anni, inflittigli per il duplice delitto di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco, avvenuto a Santa Maria Capua Vetere.
Terzo boss del clan dei Casalesi, Michele Zagaria, 65 anni, alias capastorta, l’unico non sposato dei padrini casertani. Venne arrestato il 7 dicembre del 2011, nella sua Casapesenna, in via Mascagni, dagli uomini della Squadra Mobile di Napoli sempre diretti dal dottor Pisani, dopo 15 anni di latitanza. Attualmente ,è detenuto nel carcere duro di Sassari ed è stato condannato a 4 ergastoli.
I suoi fratelli, condannati per associazione mafiosa, hanno scontato la pena e sono tutti liberi. Il suo bunker super tecnologico, nell’abitazione della famiglia Inquieto, era munito di un videocitofono, con cui comunicava con i suoi sodali. Proprio alcuni giorni fa, è stata disposta la distruzione di questa struttura sequestrata dallo Stato
La storia dei 3 padrini siciliani è ancora più terribile. Sono autori di stragi, a partire da quelle di Capaci e di via D’Amelio e di omicidi orrendi, come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso a soli 12 anni, strangolato e gettato nell’acido. E ancora, della strage di via dei Georgofili, dove morirono due bambine: Nadia e Caterina Nencioni (9 anni la prima e appena due mesi l’altra sorellina)
Il primo dei boss di Cosa Nostra ad essere arrestato fu Totò Riina ‘o curtu, nato nel 1930, morto nel 2017 nel carcere di Parma, Riina fu arrestato, dopo 23 anni di latitanza, il 15 gennaio del 1993 dai ROS dei carabinieri, il gruppo di intervento si mosse al comando del’ormai mitico Capitano Ultimo, al secolo Sergio De Caprio, a Palermo, in via Bernini. La villa dove si nascondeva, oggi, è diventata una caserma dei carabinieri. Il suo arresto fu il primo grande passo dello Stato contro Cosa Nostra dopo l’uccisione di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.
Ma la più lunga latitanza è stata quella dall’altro padrino Bernardo Provenzano, classe 1933 arrestato, il giorno 11 aprile del 2006, dalla squadra mobile di Palermo guidati dai dirigenti Giuseppe Gualtieri e Renato Cortese, che seguirono la traccia dei suoi famosi “pizzini”, che partivano da una masseria di campagna, a Corleone. Condannato a 11 ergastoli, Bernardo Provenzano è morto il 13 luglio del 2016, a 83 anni. La compagna e i figli fecero cremare il corpo e l’urna cineraria si trova nella tomba di famiglia, nel cimitero di Corleone.
Infine, Matteo Messina Denaro 60 anni, arrestato pochi giorni fa, dopo 30 anni di latitanza, dai carabinieri dei ROS di Palermo, diretti dal colonnello Lucio Arcidiacono, a coronamento dell’operazione Tramonto, dedicata proprio alla piccola Nadia Nencioni che aveva composto una poesia da quel titolo, prima della strage dei Georgofili, di cui rimase vittima il 26 maggio del 1993.
Il boss si trova recluso ora nel carcere duro de L’Aquila. È stato catturato a Palermo, nella clinica privata “La Maddalena” mentre si apprestava a iniziare una seduta di chemioterapia. Tanti gli ergastoli già incassati da Messina Denaro, per una ventina di omicidi, compiuti o commissionati nel suo passato da stragista. Un marchio indelebile di dannazione quelli già citati dei tre bambini.
Lui ha dichiarato subito che non si pentirà, ma si spera possa cambiare idea, scegliendo la strada della collaborazione con la giustizia perché possa apporre importanti tasselli ancora sulle stragi di Cosa Nostra, prima che la malattia di cui soffre se lo porti via.
I covi della sua latitanza sono stati trovati nel suo feudo, a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani. Da questi appartamenti, si muoveva con facilità come una sorta di fantasma.