Quando il clan piange miseria. La moglie del boss non riusciva a comprare i vestiti per suo figlio. La figura del figlio di Giuseppe De Falco “barbacane”, le Lamborghini e le Ferrari di Di Caterino

26 Gennaio 2023 - 17:50

Nella trattazione odierna dell’ordinanza del 22 novembre, abbiamo estrapolato tre punti. Il primo riguarda il rapporto tra Giovanni Della Corte e la moglie del detenuto al 41 bis Augusto Bianco, nonchè le rimostranze della consorte del primo Agnese Diana. Poi affronteremo il ragionamento che il gip articola per motivare il diniego, opposto alla Dda per la contestazione del reato di associazione a Salvatore De Falco barbacane. Infine, introduciamo la terza analisi, sempre operata dal giudice della figura particolare e interessante di Vincenzo Di Caterino, titolare di una molto fornita struttura di noleggio auto

CASAL DI PRINCIPE (g.g.) Sono tre le sezioni da noi selezionate per l’ennesima puntata di questo nostro lungo focus sull’ordinanza dello scorso 22 novembre per effetto della quale la Dda di Napoli ha avuto riscontro significativamente favorevole alle richieste formulate a un gip dello stesso tribunale per l’applicazione di misure cautelari limitative della libertà personale per un quarantina di esponenti di una prima fazione del clan dei casalesi, gemmata direttamente da quella storica degli Schiavone e costituita intorno alla figura di Giovanni Della Corte, ma anche di una seconda fazione stavolta quella storica che reca ancora le insegne della denominazione di Francesco Bidognetti detto Cicciotto ‘ e mezzanotte

in carcere da 32 anni ma ancora in grado evidentemente attraverso i figli, nel caso specifico attraverso il suo erede di secondo letto Gianluca Bidognetti, di svolgere attività criminali tra l’agro aversano e la storica roccaforte di Castel Volturno.

Il primo passaggio significativo si colloca nell’ultima parte della trattazione preliminare, operata dal gip in modo da chiudere il cerchio delle proprie decisioni relativamente alle richieste, formulate dalla Dda sul primo capo d’imputazione, quello strutturale, cioè l’associazione a delinquere di stampo mafioso ai sensi dell’articolo 416 bis c.p., dal comma 1 al comma 6 a cui si aggiunge anche il comma 8. Prima di entrare nel merito delle singole posizioni, vengono valutate le ultime intercettazioni, tra cui quella finalizzata a dimostrare che Giovanni Della Corte, pur barcamenandosi in una situazione di precarietà organizzativa, cercava di rispettare i protocolli camorristici per cui, i proventi delle attività di estorsioni, le uniche che rendevano qualcosa, (perché il resto, come abbiamo scritto negli ultimi articoli, si è dimostrato solamente una somma di castelli in area), dovevano essere suddivise tra chi oggi operava, per dirla alla camorristamaniera, “in mezzo alla strada” , cioè attivo nelle materiali azioni criminali e tra quelli che Della Corte, rispettando anche in questo caso, un canone lessicale classico, definisce “i compagni che stanno in carcere”, i quali se la passerebbero male.

Giovanni Della Corte arde dal desiderio di essere un boss e per questo si pone anche il problema della ricostituzione di una cassa comune che accolga i proventi delle attività criminali attuate dagli ultimi esponenti direttamente collegati agli Schiavone, dalle persone a lui ascrivibili come Franco Bianco, Granata, Di Tella etc, e il gruppo dei Bidognetti. In tal modo si vuole ricostituire l’antica organizzazione, quella federazione per anni e anni riassunta con il “brand” clan dei casalesi quando cassa comune iniziavano a fare Schiavone, Bidognetti e Iovine, con Michele Zagaria autonomo in un primo tempo e successivamente associato a sua volta alla gestione economica che noi da anni e anni definiamo di tipo federale.

Ritornando alla questione dei detenuti e del tentativo di Della Corte di ricostituire la storica modalità di finanziamento delle loro reclusioni, ma anche della vita dei familiari, qui la Dda propone al gip delle intercettazioni che danno conto del contatto che Giovanni Della Corte ha con Anna Cammisa, moglie di Augusto Bianco, altro 41 bis storico. La donna si lamenta con Giovanni Della Corte e gli riconosce una leadership nel momento in cui afferma che lei non saprebbe a che santo votarsi e vede nella figura del suo interlocutore l’unico in grado di affrontare e di alleviare un problema sopravvenuto di indigenza. Sono i giorni che precedono il Natale e la donna non è in grado nemmeno di comprare un capo d’abbigliamento al figlio. E allora ci pensa Della Corte indicando un ben definito negozio dove vengono acquistati 370 euro di vestiti. Questo non piace ad Agnese Diana, moglie di Della Corte, che deve dunque ascoltare i rimproveri della consorte: “I nostri figli sono tre e abbiamo speso 300 euro. Questa qua solo per uno 370 euro”

Il secondo passaggio ci introduce direttamente nella descrizione che il gip opera, delle posizioni di ognuno degli indagati per associazione a delinquere di stampo camorristico. In calce vi proponiamo quelle relative a Salvatore De Falco e di Vincenzo Di Caterino.

In verità, la trattazione su De Falco la pubblichiamo nella sua interezza, mentre per quanto riguarda quella di Di Caterino, ci limitiamo solo ad una prima parte, dato che quello operato dal gip è un approfondimento molto articolato, che si dipana in un numero cospicuo di pagine

Dalle intercettazioni e dagli elementi raccolti, da come Salvatore De Falco parla e da come gli altri protagonisti di questa vicenda parlano di lui, il gip deduce che non esistono elementi sufficienti per contestare al De Falco il reato più grave, cioè quello associativo. Si tratta di un gregario che magari favorisce gli interessi del clan, ma non è dentro ai centri decisionali. E d’altronde è lo stesso Salvatore De Falco ad affermare in una conversazione intercettata che lui partecipa “solo per abbuscare qualcosa“. Per altro un unico episodio al punto che, secondo il gip, rappresenterebbe una forzatura il riconoscimento dell’esistenza di un vincolo associativo con il clan dei casalesi.

Sapete perchè abbiamo deciso di menzionare la posizione di Salvatore De Falco? Perché si tratta di un cognome molto conosciuto della camorra di Casal Di Principe e dintorni. Suo padre, infatti, era quel Giuseppe De Falco, detto Barbacane soprannome ereditato dal figlio il quale ha costituito a suo tempo un’impresa denominata Edil Barbacane.

Giuseppe De Falco ucciso nel 1991al culmine della guerra scatenatasi all’indomani della morte, dell’omicidio di Antonio Bardellino, dalla fazione dei rampantissimi Francesco Schiavone, Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, e quella risultata poi perdente e quasi del tutto sterminata, di Caterino-De Falco-Quadrano, quest’ultimo accusato e condannato anche per essere stato il killer di don Peppe Diana in un momento in cui la propria fazione criminale subiva il predominio criminale dei suddetti rampanti, a cui, di lì a poco, si sarebbe unito anche Michele Zagaria.

Ultimo punto di trattazione quello relativo alla prima parte della ricostruzione dei mezzi di prova, relativi a Vincenzo Di Caterino. Personaggio interessante in quanto titolare di una struttura di noleggio auto. E che auto visto che nelle intercettazione, citate dal gip, si parla di una Lamborghini, venduta per altro ad un prezzo stracciato, anche per un’auto usata di quel livello, di 50mila euro e di una Ferrari che un personaggio non identificato vorrebbe prendersi al punto da far infuriare il Di Caterino il quale dice a un suo interlocutore di essere pronto a imbracciare il kalashnikov  per riprendersi il maltolto.

Di Caterino continueremo a parlare, al di là di queste brevi note introduttive, nella prossima puntata di questo focus.