La molto presunta o inesistente tangentopoli capuana. Nella motivazione del giudice che ha assolto i Verazzo & Co, bocciato il pentito Francesco Zagaria
2 Settembre 2023 - 14:51
Abbiamo letto con molta attenzione le 40 pagine firmate dal giudice Fabio Provvisier. Siamo rimasti contenti perchè il magistrato dice e scrive quello che noi diciamo e scriviamo su questo presunto pentito da almeno 5 anni
CAPUA – (g.g.) Quando abbiamo conosciuto il nome del giudice per l’udienza preliminare, che avrebbe presieduto il processo, con rito abbreviato, del cosiddetto secondo filone della presunta tangentopoli capuana e sulle ancora più presunte implicazioni tra questa e gli interessi del clan dei casalesi, abbiamo espresso qualche perplessità di puro buonsenso e nè servì a farci cambiare idea il fatto che, prima la Corte di Appello, successivamente la Corte di Cassazione, respinse le istanze di ricusazione presentate dagli avvocati difensori, nei confronti del giudice Fabio Provvisier.
Era, infatti, ben noto davanti ai nostri occhi che il problema non fosse di tipo strettamente giuridico visto che, l’ordinamento del nostro paese, a nostro avviso totalmente sbagliato relativamente al caso specifico, permetteva ad un giudice, che aveva ordinato l’arresto di una o più persone, di poterle poi giudicare in un processo, per altro connesso all’indagine per la quale aveva spiccato quelli che una volta si chiamavano mandati di cattura ed erano facoltà della pubblica accusa nella veste di giudice istruttore.
Il secondo filone della presunta tangentopoli capuana se si chiamava secondo, è perchè ce n’era stato un altro, cioè il primo.
Nessuno, men che meno noi, metteva minimamente in discussione la serietà, l’onestà e, soprattutto l’imparzialità di questo giudice. Lo facevamo un problema di opportunità e di credibilità di tipo percettivo, da parte dell’opinione pubblica, della magistratura.
Le nostre riserve restano intatte anche oggi. Ne ci sorprende, non avendo noi, ripetiamo mai posto in discussione la consistenza professionale, l’autorevolezza del giudice Fabio Provvisier l’esito del suo lavoro, cioè l’assoluzione di tutti gli imputati, la riqualificazione di alcuni reati contestati a loro carico dalla Dda, lo smontaggio pezzo per pezzo delle aggravanti fondate, secondo l’accusa sulla piena consapevolezza dei politici, degli imprenditori e di un dirigente del Comune di Capua sul fatto che Francesco Zagaria non fosse solo un imprenditore, ma fosse soprattutto un camorrista, un esponente di spicco del clan dei casalesi. Uno smontaggio che ha cancellato l’ultima parte delle accuse per un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Niente corruzione, niente consapevole partecipazione alle sorti imprenditoriali e agli interessi della camorra, ma solo assoluzioni e una riqualificazione in traffico di influenza del reato di corruzione, per altro non affrontato neppure nel dibattimento in quanto sotterrato dalla citata prescrizione.
Leggendo, a qualche mese di distanza le motivazioni della sentenza racchiuse in 40 pagine scritte da Fabio Provvisier emerge un dato che ci gratifica, perchè questo giornale, non certo per partito preso, si è letteralmente massacrato, scrivendo articoli lunghi anche 200 righe assumendosi una responsabilità pesante che noi avvertivamo come momento delicatissimo durante il quale andavamo a smontare le affermazioni di un pentito e conseguentemente andavamo a disarticolare diversi teoremi accusatori di una Procura della Repubblica.
Però, questo Francesco Zagaria, detto “Ciccio ‘e Brezza” e che scopriamo, proprio dalla penna di Provvisier che era ed è ancora denominato “Zazà” e “a’ Sentenza” ne ha dette di tutti i colori. Chi è stato ore ore ed ore a studiare documenti giudiziari e processuali, come il sottoscritto ha fatto negli ultimi 20 anni ha potuto solo strabuzzare gli occhi al cospetto di certe affermazioni.
E allora, se un giudice del livello di Fabio Provvisier mette nero su bianco che le dichiarazioni di Francesco Zagaria sono tutte senza riscontro, noi ci sentiamo risollevati, meno soli.
Anche in queste motivazioni della sentenza sulla presunta e a questo punto improbabilissima tangentopoli capuana, ne abbiamo lette di belle e di brutte. In un primo tempo, Francesco Zagaria afferma che, essendosi insediato a Capua, proveniente da Casapesenna, lui ha tentato subito un contatto con il sindaco Carmine Antropoli quindi già a partire dal 2006 anno in cui questo vinse la prima volta le elezioni. Poi dice di esserci andato insieme ad Antonio Diana, parente acquisito di Nicola Cosentino, che noi simpaticamente chiamavamo il chitarrista ai tempi in cui era dirigente di Terra di lavoro Spa. E aggiunge anche Francesco Zagaria che Carmine Antropoli “non lo cagò” come si suol dire, neppure di striscio. Poi racconta di aver tentato un secondo approccio grazie a Marco Ricci, raggiunto grazie alla mediazione di Mario Mauro in galera da anni per l’omicidio di Sebastiano Caterino. Un approccio favorito dal fatto che Ricci avrebbe detto ad Antropoli che Francesco Zagaria sarebbe stato l’uomo adatto per recuperare la refurtiva, un Rolex d’oro, un anello prezioso e due auto, rubate al sindaco da una banda di ladri. Quel furto, aggiungiamo noi avvenne nell’ottobre del 2009, ma Francesco Zagaria lo incastra temporalmente al 2006. E allora è chiaro che un giudice realmente imparziale di fronte a queste dichiarazioni per altro non riscontrate da nessun altro elemento probatorio, che non può essere certo costituito dalla circostanza che un fatto narrato si sia verificato, non può far altro che assolvere. Anche la ricostruzione degli equilibri criminali di Capua, formulata da Francesco Zagaria, convince poco. Questa piazza sarebbe stata occupata in larga parte, a partire dal 2004, da Nicola Schiavone figlio di Francesco Schiavone Sandokan che proprio in quell’anno avrebbe assunto le redini del clan dei casalesi dopo l’arresto di suo zio Francesco Schiavone Cicciariello. La prima operazione effettuata da Nicola Schiavone sarebbe stata quella di collegare l’imprenditore di Trentola Ducenta, Domenico Pagano, a un operazione immobiliare, precisamente quella del cosiddetto palazzo cento persone. Curioso, al riguardo, il fatto che nel momento in cui la Dda contesta addirittura l’intraneità cioè la partecipazione diretta al clan dei Casalesi, a Giuseppe Verazzo e, di riflesso, il concorso esterno a Francesco Verazzo quali imprenditori riferibili direttamente ala famiglia Schiavone, il delfino di Sandokan facesse arrivare a Capua Domenico Pagano, estraneo fino ad allora a quel contesto, e che lui aveva ingaggiato a seguito della non tranquillissima separazione e rottura dell’idillio storico tra Michele Zagaria e Giacomo Capoluongo, per una vicenda che, avendo noi letto ogni singola riga dell’ordinanza Jambo, ben possiamo collocare in un atto di delusione di Capoluongo dopo che Michele Zagaria aveva scelto una strada diversa da quella auspicata da Capoluongo il quale riteneva cosa fatta l’assegnazione a sua moglie Luisa Guarino dell’assegnazione della farmacia comunale di Trentola Ducenta.
Ora, è certo che Nicola Schiavone e Michele Zagaria abbaino trovato un punto d’intesa, ma è anche certo, così come risulta da molti documenti giudiziari e da diversi interrogatori, sia rilasciati da Nicola Schiavone, sia da pentiti del gruppo di Michele Zagaria, a partire da quelli di Massimiliano Caterino detto o’ mastrone, che gli “scazzi” anche pericolosi tra Nicola Schiavone e Michele Zagaria non mancarono, per cui, questa descrizione quasi idilliaca, realizzata da Francesco Zagaria Ciccio e Brezza dei rapporti su Capua tra i due gruppi non convince assolutamente.
Questo articolo rappresenta solo un primo approccio di ordine generale alle motivazioni della sentenza scritta dal giudice Provvisier. Nei prossimi giorni andremo ad approfondire e a chiosare altri passaggi che riteniamo importanti e, conseguentemente, degni di considerazione.