L’APPROFONDIMENTO: ecco perchè la Cassazione ha annullato il provvedimento di sorveglianza speciale per l’imprenditore Luigi Di Sarno e la Corte di Appello…

19 Luglio 2018 - 12:46

SAN CIPRIANO D’AVERSA(g.g.) Qualche volta, ce lo vogliamo concedere lo sfizio, il piacere di andare al di la della notizia, esigenza che, in molte occasioni, siamo costretti a perseguire forsennatamente a causa di un contesto giornalistico autoctono e quindi di concorrenza su cui calare un velo di pietoso silenzio, è anche poco.

E allora, per disintossicarci, offriamo, forse più a noi stessi che ai lettori, dei lavori giornalistici, fondati sull’approfondimento, sull’analisi degli atti pubblici, nella specie, degli atti giudiziari, allo scopo di capire e, per quel che è possibile, di spiegare i motivi di certe decisioni assunte dalle autorità giudiziarie requirenti.

Il caso di specie a cui abbiamo fatto cenno, è quello relativo a Luigi Di Sarno, imprenditore edile di San Cipriano d’Aversa, considerato in rapporti stretti, di appartenenza al gruppo Schiavone del clan dei casalesi.

Nei giorni scorsi, abbiamo dato la secca notizia dell’annullamento di ogni misura cautelare sopravvissuta ai suoi danni, all’indomani della condanna in primo grado a 4 anni di reclusione, incassata per i motivi di relazione criminale appena citati.

Cosa è successo, in sostanza: il tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha emesso la sentenza, aveva mantenuto (chiaramente sul terreno della prevenzione e non dell’esecuzione che è roba riguardante solo i verdetti passati in giudicato in Cassazione), la misura della sorveglianza speciale per 3 anni. Questa decisione è stata confermata dall’Ottava sezione della Corte di Appello, evidentemente in contemporanea con la conferma della pena a 4 anni di reclusione.

A questo punto Nando Letizia, avvocato difensore di Luigi Di Sarno, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, le cui decisioni sono sempre molto interessanti, perchè bene o male dalla sua giurisprudenzadi legittimità si definiscono le linee guida delle varie fasi giudiziarie.

E allora, cosa dice la Corte. Attenzione: va distinto il concetto di appartenenza, cioè quello riguardante Luigi Di Sarno, da quello di partecipe al clan camorristico. L’appartenenza, infatti, usiamo parole nostre, così magari è più semplice da capire, non cristallizza la pericolosità sociale dell’imputato senza la necessità di ulteriori valutazioni. Insomma, se uno è stato partecipe alle strategie criminali della camorra, la giurisprudenza della Cassazione ritiene, quasi in automatico, a distanza di poco tempo dal momento in cui è stato arrestato o indagato, in un contesto temporale che separa di pochi anni il presente e il passato di partecipe, sopravviventi i requisiti di tutta o di una parte della sua pericolosità sociale.

Se invece il rapporto è quello molto più blando e rarefatto dell’appartenenza, occorre, scrive la Corte nel suo annullamento con rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di Appello, ridefinire, ricontrollare, attraverso i fatti concreti relativi alla vita dell’imputato o indagato, in questo caso dell’imputato Luigi Di Sarno, in modo da stabilire l’unico requisito che serve per l’applicazione della misura di prevenzione: l’attualità della pericolosità sociale, che se va in automatico nel caso della partecipazione al clan, va accertata nel tempo presente, nel caso dell’appartenenza

Ancora una volta, insomma, se Luigi Di Sarno era pericoloso socialmente 6 anni fa, da appartenente, non da partecipe del clan dei casalesi, non è affatto detto che lo sia oggi. Per cui, la Cassazione fornisce indicazione ai giudici di secondo grado per valutare correttamente la posizione del Di Sarno: periodo trascorso in carcere, periodo trascorso ai domiciliari, sussistenza di altri reati compresi nell’ultima fase di vita di Di Sarno, comportamento carcerario, relazioni di pubblici ufficiali sulla effettiva volontà di revisione del suo sistema di vita, valutati sempre durante la detenzione.

Di fronte a queste ragioni espresse dalla Cassazione, la Corte di Appello di Napoli non ha potuto far altro che annullare la misura di prevenzione dei tre anni di sorveglianza speciale, visto che non ricorreva alcuno dei requisiti riguardanti la reiterazione, inerenti il comportamento carcerario che potevano essere messi alla base dell’applicazione della citata sorveglianza anche a carico di un semplice “appartenente” e non di un molto più inserito “partecipe”.

Il resto dei dettagli che vi abbiamo riassunto, li trovate nel documento che pubblichiamo in calce e che riporta l’ultima decisione della Corte di Appello.

 

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