La Domenica di Don Galeone. In questa Domenica delle Palme, inizio della settimana santa, il Vangelo ci propone la passione di Gesù

24 Marzo 2024 - 10:54

24 marzo 2024 ✶ Domenica delle Palme (B)

La passione del Signore
La passione degli uomini
(Mc 14,1)

Tutto il cammino penitenziale di Quaresima si conclude a Gerusalemme, dove tutto sembra morire e da dove tutto, invece, risorge. Vertice della liturgia della Parola è la lettura della Passione. Occorre dare attenzione a questa lettura, più che alla processione delle palme: i ramoscelli di ulivo non sono un talismano contro le disgrazie, ma il segno di un popolo che segue il suo Re. Ma la regalità di Gesù si manifesta in modo scandaloso: sulla croce. Nell’impatto con la croce, la fede vacilla; anche Gesù ha gridato la sua disperazione: ֵא ִ לי ֵא ִלי ָל ָ מה ֲעזַ ְב ָ ת ִני (Sal 22,1). Sulla croce muoiono tutte le false immagini di Dio, che la mente umana ha partorito. Se avremo fede, però, sapremo leggere l’onnipotenza di Dio nella impotenza di una croce.

Il cuore del vangelo: il Passio

Comincia, con la Domenica delle Palme, la Settimana Santa, la Settimana Maggiore. Il testo fondamentale è il racconto del “Passio”. Tutto il vangelo non è altro che “la narrazione della Passione con un’estesa introduzione” (M. Kahler). Quando rileggo il lungo racconto della Passione, mi ritrovo nella chiesa della mia infanzia, ove mi pare di riascoltare la lettura a varie voci (Gesù, lo storico, la folla…). Qualche volta io stesso ho partecipato a quelle letture. Era e rimane una lettura straziante e stupenda. In nessuna letteratura esiste qualcosa che, per densità, rapidità, drammaticità, sia paragonabile al racconto della Passione. Devo tanto alle emozioni di quel “Passio”, che si ripete ogni Domenica delle Palme! Se ho mai scritto qualcosa di valido, il meglio l’ho imparato da quelle pagine di tradimento e di sangue. Non finiremo mai di ringraziare Dio per il dono del “Passio”, un poema lancinante e struggente, epico ed elegiaco, così divino ma anche così umano!

Il cuore del Passio: la croce

La croce era il più orribile dei supplizi, perciò era riservata ai banditi, agli schiavi ribelli. Cicerone ne parla come di “una pena della quale il nome stesso deve essere allontanato”. Essere seguaci di un crocifisso è una follia, una vergogna contraria al buon senso. Ai Corinti, Paolo scrive: “I giudei domandano miracoli e i greci cercano la sapienza; ma noi, noi predichiamo un Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,22-23). Fin dagli inizi della loro storia, i cristiani hanno scelto dei simboli della loro fede. Sulle tombe troviamo l’àncora, il pesce, il pescatore, il pastore, ma non la croce. Per lungo tempo hanno mostrato, per così dire, un certo pudore a riconoscersi nella croce. Solo nel IV secolo d.C., divenne il simbolo per eccellenza e si cominciò a fabbricare croci con i metalli più preziosi e a incastonarle di perle. Venerare la croce non significa inchinarsi di fronte a un oggetto materiale e neppure soffermarsi sull’aspetto doloristico della Passione di Gesù. La croce indica una scelta di vita, quella del dono di sé. Contemplarla vuol dire prenderla come punto di riferimento di ogni decisione.

Come Dio ‘tratta’ l’uomo e come l’uomo ‘maltratta’ Dio

La Passione di Gesù è veramente lo svelamento della violenza, che coinvolge, in una medesima complicità, i potenti e le vittime, gli aguzzini e la folla feroce. Nessuno si illuda! Anche stare fermi o fuggire è sinonimo di complicità. Non si esce da questo mondo! Occorrono molti colpi di martello per configgere un chiodo. Occorrono molti colpi di frusta per piagare una spalla. Occorrono molte spine per formare una corona. E l’uomo fa parte di questa umanità che condanna l’Uomo. Non ha importanza che tu sia di quelli che colpiscono o di quelli che guardano. L’arroganza di poca gente poggia sull’indifferenza di molti. Il vangelo non va letto come un libro ordinario. Non basta credere che quanto è narrato sia vero, realmente accaduto: di una tale fede è degno qualunque libro di storia. Leggere il vangelo con fede significa credere che quanto è contenuto, avviene qui, ora.

Solo Marco, riferendo la preghiera di Gesù al Padre, riporta l’appellativo aramaico che egli ha usato: “Abbà, Papà!” (Mc 14,36). Abbà corrisponde a uno dei tanti termini che, anche da noi, i bambini usano per rivolgersi al loro genitore: “abbà” (papà) e “immà” (mamma)”. Abbà esprime confidenza e tenerezza. Nei vangeli questo termine ricorre solo qui. Gesù lo impiega nel momento più drammatico della sua vita, quando si abbandona fiduciosamente nelle sue mani. È l’invito a non dubitare mai dell’amore di Dio e a ricordare sempre che egli è Abbà. Perciò “alle tue mani affido il mio spirito: ְביָ ְדך ַא ְפ ִ קיד ֫ר ִ חי (Sal 31,6).

Buona Vita!