L’EDITORIALE. Casapesenna, quando la questione meridionale, sulla quale continuiamo ad auto-assolverci, diventa cialtroneria

28 Maggio 2024 - 14:01

Il secondo articolo sull’incredibile vicenda dell’associazione del consigliere assessore Francesco Donciglio, ci offre la possibilità di rappresentare in maniera concettualmente più ordinata una valutazione storico politica che echeggia continuamente nei nostri articoli e che riguarda quello che a nostro avviso è il vero punto dolente, quello di popolazioni che geneticamente sono quelle che sono e di cui le classi dirigenti (?) sono una’automatica conseguenza

di Gianluigi Guarino

Vedete, cari lettori di CasertaCe, articoli come quello che potete leggere CLICCANDO QUI e tanti altri dello stesso tenore e da noi scritti ogni giorni, sono sottovalutati qui a Caserta e provincia, mentre, se fossero pubblicati in regioni normali, tipo Toscana, Emilia Romagna, Veneto, determinerebbero gran scandalo.

E allora qual è il punto di discrimine? È sempre, inevitabilmente, la tara di una questione meridionale che si vorrebbe far passare solo come elemento di doglianza di popolazioni vessate, non correttamente aiutate da uno Stato che da una ventina d’anni, è stato costretto, al netto dei fondi covid e Pnrr, a stringere i cordoni della spesa per un deficit pubblico a cui corrisponde uno speculare debito pubblico tra i più alti del mondo e sicuramente tra i peggiori d’Europa, alla formazione dei quali hanno contribuito i fantamiliardi di lire e i stramilioni di euro iniettati nel Mezzogiorno e dalle popolazioni indigene divorati in maniera vergognosa

Continuiamo, noi meridionali, vita dopo vita, generazione dopo generazione, a fare i furbi, i pesci in barile, e a non trovare quel briciolo di onestà intelletuale che ci porti ad ammettere che la maggior parte dei problemi che ci affliggono li produciamo con il nostro modo di vedere la vita, il mondo.

Sì, l’assenza totale di un senso della comunità da parte dei popoli del Mezzoggiorno è una tara genetica che affonda le radici in un sistema feudale che al sud è durato secoli e secoli in più rispetto a quanto sia durato al nord.

Padroni e servi, con questi pronti ogni giorno a chiedere il sostentamento ai primi, come se si trattasse di una grazia ricevuta e non di un diritto. Padroni e servi, con questi ultimi rassegnati e nel corso del tempo anche impossibilitati a pensare di essere qualcosa di diverso da una struttura subordinata. Da lì nasce il clientelismo, il familismo amorale teorizzato dal sociologo Banfield in cui il progressismo di sinistra se da un lato issato le bandiere della lotta al latifondo padronale, del riscatto dei servi della gleba sterminati a Portella della Ginestra, dall’altro lato ha inserito un modello, quello dell’assistenzialismo becero (soldi per tutti), in cui lo Stato in pratica si è sostituito al latifondista mafioso o para mafioso.

Se uno oggi vorrebbe raccontare la questione meridionale, dovrebbe recarsi nei comuni in cui lo Stato ha restituito quantomeno la dignità della liberazione dalle bande armate camorristiche che li hanno infestati.

Oggi, quei comuni sembrano veramente vivere nella dimensione di Cetto Laqualunque. Perché, parliamoci chiaro, qual è la differenza dell’archetipo, prima idealizzato e poi realizzato dalla verve comica di Antonio Albanese, con il sindaco Marcello De Rosa?

Noi davvero siamo sommersi dalle storie di Casapesenna e ogni volta dobbiamo adottare un registro percettivo, prima ancora che valutativo, del tutto originale. Perché la Casapesenna di oggi, quella reduce dal “governo” di Michele Zagaria, ti offre elementi di cronaca particolarissimi, se non addirittua unici nel loro genere, che vanno al di là anche della normale routine, del tipico clientelismo meridionale.

Se sei distaccato, veramente hai il desiderio di pizzicare quelle guanciotte rubizze, villiche del sindaco De Rosa, riconoscendogli che, se non ci fosse, bisognerebbe davvero inventarlo come personaggio comico di una nuova commedia dell’arte. Se, invece, non sei distaccato nel racconto e a Casapesenna riconosci il valore di presentarsi come comunità, allora ti viene la voglia di spaccare tutto. Perché lì siamo in una dimensione quasi ultraterrena, meta-clientelare.

Del Puc abbiamo scritto di tutto e di più. Se fosse stato realmente attenzionato da chi di dovere, l’autorità giudiziaria non avrebbe potuto non spazzarlo via con un colpo di machete. Ora, non chiedeteci di realizzare un’ulteriore sintesi, perché se scrivete casertace casapesenna puc su Google potrete compiere un viaggio nella metafisica della braciola.

Un viaggio in cui non si riesce a stabilire cosa sia più grave tra quello che ha fatto il sindaco Marcello De Rosa, il quale si è votato un’osservazione relativa ad una modifica che incideva sulla destinazione d’uso, sulla vita o la morte, di una sua proprietà, sua, personale, per davvero, non stiamo né deducendo, né esagerando; o se, diversamente, sia più grave l’indifferenza di chi avrebbe dovuto lavorare su quelle carte, sanzionandone la nullità dal punto di vista amministrativo ed analizzare le condizioni per attivare una possibile azione penale.

Da qualche settimana ci stiamo occupando di Francesco Donciglio, assessore e consigliere comunale di maggioranza. Al riguardo abbiamo scritto un articolo (CLICCA E LEGGI) nel quale ci siamo soffermati sulla vita e le opere dell’organizzazione Gocce di vita, che si è mossa parallelamente alle situazioni sentimentali del Donciglio, visto che è stata presieduta dalla signorina Alessandra Maisto, per qualche anno fidanzata del politico casapellese, sostituita qualche mese fa da Matteo Riccardo, fratello della nuova morosa (scusate se usiamo una parola settentrionale, per respirare un po’, vabbè facciamo zita, alla pugliese, altrimenti qualcuno dice che siamo leghisti) del consigliere-assessore.

Abbiamo anche scritto che l’amministrazione comunale, di cui Donciglio è parte integrante, ha assegnato alla sua associazione – diciamocela tutta, l’associazione è sua, al di là chi la rappresenta formalmente – il comodato gratuito, ripetiamo, gratuito di un immobile al primo piano di un palazzo comunale di corso Europa. E già questo sarebbe bastato per sottolineare l’originalità del caso-Casapesenna.

Non sappiamo cosa vogliano fare gli elettori di questo comune il prossimo 8/9 giugno. Siamo nel 2024 e magari potrebbe finalmente affacciarsi nella loro testa l’idea di essere e anche di apparire all’esterno un’entità civile e civilizzata, dopo tanti anni, tanti decenni in cui Casapesenna è stata assimilata a Corleone, poco più, poco meno.

Ma un processo di modernizzazione non può contenere il privilegio che viene dato ad un assessore e consigliere comunale di far strage di pubbliche risorse. Ed è di questo che raccontiamo oggi nell’articolo di strettissima cronaca che precede questo il breve editoriale.