LA NOTA. Il project financing: uno strumento di modernità nato bene e finito male. Oggi è inserito nel connotato criminale del rapporto tra privati e politici

29 Agosto 2024 - 14:10

Vi spieghiamo perché abbiamo deciso di occuparsi, dedicandogli un articolo a parte (CLICCA E LEGGI) di quello messo in piedi a Frignano che per noi rappresenta un format emblematico

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di Gianluigi Guarino

Cominciamo a dire subito che noi di CasertaCe non siamo per niente contrari all’uso del sistema di project financing per la realizzazione di opere pubbliche, di pubblica utilità e/o di funzione.

Un corretto rapporto tra imprenditoria privata e pubblica amministrazione rappresenterebbe, infatti, un dato di armonia economica, sociale e culturale di un Paese.

Molto meglio un project financing onesto, in cui effettivamente un privato mette mano al portafogli per realizzare un investimento con un capitale di rischio, allo scopo di ottenere in concessione un terreno, un altro tipo di immobile, un servizio, che una gara d’appalto pezzottata.

Naturalmente, chi scrive è uno d’ispirazione liberal-liberista e non ha vissuto benissimo l’evoluzione dello strumento del project financing, così come si è sviluppata di recente.

Nel senso che anno per anno, riforma per riforma del codice degli Appalti, l’intervento pubblico ha occupato una porzione sempre maggiore e conseguentemente, soprattutto nel sud della nostra nazione, questo

ha determinato la crescita del suo peso specifico e della possibilità di ricatto del singolo sindaco, del singolo assessore, di questo o quell’altro dirigente, tutti in grado di esercitare una potestà nei confronti del privato, il quale, dovendo arrivare a più miti consigli, ha dovuto anche ridurre e manipolare un’idea puramente privatistica dell’intervento, nell’accezione positiva di questa espressione, esplicativa di un’operazione che, confrontandosi nel mercato, attivando l’arma salvifica della concorrenza leale, si trasforma in un vero vantaggio per il consumatore.

Un’evoluzione che dunque sa tanto, almeno ai nostri occhi, di involuzione anche relativamente alla crescita del livello di consapevolezza dell’imprenditoria locale, la quale, anche quando usa il project financing, si sente protetta dalla bambagia, dal bozzolo dei fondi pubblici che necessitano non dell’utilizzo del capitale privato di rischio, ma di tanti buoni rapporti con chi questi fondi deve far arrivare, con la conseguenza che i patti scellerati, gli elementi corruttivi e le turbative d’asta penetrano pesantemente i meccanismi di uno strumento, a suo tempo concepito bene, da nazione civile, e che maneggiato da questa particolare tipologia di italianità, è diventato una porcheria, poco più, poco meno.

E dentro a queste cose le vere e proprie eccellenze sono quelle dei connubi che si creano tra gli imprenditori competenti della materia, delle sue riforme (anzi, controriforme) e i grandi professori degli Uffici Tecnici, a cui vanno veramente riconosciuti capacità e competenze, come nel caso dell’ingegnere Gennaro Pitocchi, che però il più delle volte vengono usati a fin di male, per distribuire benessere in un duopolio, al massimo in un oligopolio, e non certo per spargerlo a favore dei cittadini, nelle loro diverse connotazioni di contribuenti, clienti eccetera.

Ecco perché abbiamo deciso di occuparci di un caso di project financing nel quale ci sono dentro questi elementi che per qualcuno sono innovativi, mentre per noi rappresentano una sorta di controrivoluzione tossica, di reazione di un sistema che non vuol perdere il controllo totale su processi amministrativi e soprattutto sui flussi enormi di danari, di risorse pubbliche, le quali spesso muovono centinaia e centinaia di milioni di euro e che, come si suol dire, escono sempre dalle tasche di Pantalone.