67enne casertano molesta la cognata al telefono: la sentenza definitiva
16 Dicembre 2024 - 16:25
CASERTA – La Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della responsabilità civile in caso di estinzione del reato per prescrizione, stabilendo principi rilevanti sia per il processo penale che per quello civile.
Il caso riguarda un casertano di 67 anni, condannato per molestie telefoniche ai danni della cognata, condanna poi estinta per prescrizione in appello. La Corte di appello aveva deciso di non procedere sul piano penale, ma di confermare la condanna per il risarcimento dei danni, applicando il criterio del “più probabile che non”. Cristiani ha quindi presentato ricorso in Cassazione.
Con sentenza del 17 luglio 2019, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannava l’imputato per il reato di molestie telefoniche nei confronti della cognata, ai sensi dell’articolo 660 del codice penale. L’imputato veniva condannato a un mese di arresto, con pena condizionalmente sospesa, e al risarcimento del danno a favore della parte civile, liquidato in 1.000 euro.
L’imputato impugnava la decisione, e la Corte di Appello di Napoli dichiarava estinto il reato per prescrizione, confermando le statuizioni civili con l’applicazione del criterio del “più probabile che non”, ossia la valutazione della responsabilità civile basata sulla probabilità prevalente dell’esistenza di un fatto illecito.
L’imputato ricorreva per cassazione, sollevando due motivi di impugnazione. Il primo riguardava l’asserita nullità del decreto penale di condanna, poiché, a suo dire, non era stato avvisato della possibilità di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il secondo motivo riguardava un vizio di motivazione circa la conferma della responsabilità civile, considerando che la Corte di Appello non avrebbe correttamente valutato la fondatezza dell’accusa, in quanto secondo il ricorrente le molestie erano state commesse dalla moglie dell’imputato, che aveva ammesso le sue azioni e avrebbe avuto un movente più diretto.
La Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso. Per quanto riguarda il primo motivo, ha ribadito che una volta che il decreto penale di condanna viene impugnato, esso perde la sua efficacia di condanna anticipata e diventa solo un presupposto per l’ingresso nel giudizio immediato. Non è quindi possibile ripristinare una fase precedente del processo, e se necessario si può consentire la rimessione in termini per l’accesso ai riti speciali. In merito al secondo motivo, la Corte ha ritenuto che la Corte di Appello avesse correttamente limitato il suo esame alla responsabilità civile, senza incorrere in errori, in quanto la legge consente di valutare la responsabilità civile anche in caso di estinzione del reato per prescrizione.
La Cassazione ha anche ribadito il principio enunciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 182 del 2021, secondo cui il giudice di appello deve accertare la sussistenza di un illecito civile, anche se il reato è estinto, e non può limitarsi ad applicare il criterio del “più probabile che non” in maniera indiscriminata. In particolare, è stato sottolineato che il criterio della “probabilità prevalente” riguarda solo il nesso causale in materia civile, mentre la responsabilità penale richiede una prova oltre il ragionevole dubbio. Pertanto, la Corte ha confermato che la valutazione della responsabilità civile deve basarsi su un sufficiente compendio probatorio, che nel caso specifico era stato correttamente valutato dalla Corte di Appello.
In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e al risarcimento delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in 3.800 euro.