L’EDITORIALE. La visita, leggera e superficiale, del ministro Piantedosi ai sindaci Giustina Zagaria e Anacleto Colombiano. Le responsabilità di una Prefettura che vive sulla Luna
10 Aprile 2025 - 21:39

Al Matteo Piantedosi non è stata probabilmente offerta la possibilità di esercitare valutazioni relative all’opportunità della sua presenza in certi luoghi e in certi complessi molto, troppo articolati, in parentele con camorristi o diretti congiunti di camorristi. IN CALCE ALL’ARTICOLO PUBBLICHIAMO LA STESSA FOTO, da noi esposta durante la campagna elettorale di Casapesenna, con il pregiudicato costruttore dell’ultimo bunker di Zagaria, intento ad applaudire la cognata Giustina durante un comizio
di Gianluigi Guarino
Il taglio dei nastri, pur essendo un’attività con una reputazione immeritata, bollata com’è di ritualismo praticato da un potere che, attraverso questo gesto, mostra, certifica e conferma se stesso, ha comunque una sua importanza simbolica, a patto di stornare l’atto da una certa compulsività che indubbiamente, lo connota.
Matteo Piantedosi riscuote
Detto ciò , vogliamo segnalare al ministro Matteo Piantedosi che le funzioni burocratiche e burocratiste della Prefettura di Caserta – non solo quella di oggi, ma di quella che opera da trent’anni a questa parte – nrappresentano, a volte e in certi periodi, con qualche elemento di dolo, altre volte quale manifestazione, più o meno sfortunata, di un’eterogenesi dei fini, il complemento di causa del “sistema” casertano che mette insieme la mentalità di camorra con l’anticamorra dei nastri e dei convegni.
Una situazione che incarna, a nostro avviso da sempre, l’indotto più viscidamente significativo del grande e strutturale fenomeno criminale di questa terra, una situazione che necessita di una prudenza supplementare nel momento in cui il Ministro dell’Interno è chiamato a decidere se far esporre o meno la propria persona – e soprattutto l’istituzione di cui è apice e che in lui si incarna pro trmpore – in manifestazioni pubbliche dell’agro aversano.
Sicuramente, signor ministro, la Prefettura di Caserta le avrà dato il via libera per recarsi lunedì a Casapesenna e a San Marcellino per inaugurare tre beni confiscati alla camorra. Che, attenzione, non sempre costituiscono l’esposizione plastica di un pezzo di battaglia definitivamente conclusa contro le attività economiche connesse al crimine organizzato, visto che in più occasioni e in diverse indagini della magistratura anti mafia, si è scoperto che la camorra era uscita dalla porta ed era rientrata dalla finestra; prima disarcionata dai sequestri e dalle conquiste, poi riemersa furbescamente e sfacciatamente attraverso infiltrazioni che, il più delle volte, hanno pervaso molteplici soggetti giuridici, sopratutto glunenti del terzo settore, sulla carta abilitati a gestire questi patrimoni che lo Stato incautamente ha affidato ai Comuni dell’ago aversano o al consorzio intercomunale denominato Agrorinasce.
Quest’ultimo, proprio recentemente, non ce ne voglia il presidente Giovanni Allucci se lo ricordismo, ha dato un appalto alla società MI.RA Srl, controllata – attraverso il figlio 21enne – da Ernesto Falanga, arrestato e oggetto di un pesante blitz dei carabinieri che gli hanno sequestrato non delle scacciacani, bensi due pistole con mitraglietta e due locali pronti per essere adibiti a bunker a favore delle necessità di nuovi latitanti.
Allucci ha fornito, al riguardo, le sue spiegazioni alla collega Marilena Natale, ma non a noi, che pure avevamo trattato l’argomento. E, francamente, le sue contro argomentiazioni non ci hanno convinto, liberi come siamo da ogni considerazionee e su quello che sarebbe un iniquo riconoscimento di quella sorta di passaporto diplomatico, di cui il presidente di Agrorinasce ha goduto per circa vent’anni consentendogli di agire come i Papi, come i pontefici, ossia ex cathedra, in pratica al di fuori dalla possibilità di essere oggetto di confutazione e di critica. E ci siamo capiti, ho detto dl tutto, avrebbero celibato Totò e Peppino.
In linea di massima, nelle ultime settimane, intorno all’evento svoltosi poi lunedì scorso, è successo questo: Agrorinasce ha lavorato insieme alla Prefettura, come da anni capita in circostanze simili. Successivamente, l’Ufficio di governo, i cui burocrati non sanno nulla, ma proprio nulla (in verità qualcuno di loro fa finta di non sapere) del territorio e delle situazioni reali che si sviluppano nello stesso, ha dato a lei, signor ministro, il placet per la sua visita in presenza, in carne ed ossa, nell’agro aversano.
E così lei, prefetto Piantedosi (siamo sicuri che la Prefettura di Roma, quando lei ne era il capo sia stata governata molto meglio rispetto a quanto non lo sia quella casertana) è andato lì a tagliare un paio di nastri, legittimando due fasce tricolori, ossia Giustina Zagaria, che fa la sindaca di Casapesenna in nome e per conto di Marcello De Rosa – vicepresidente facente funzioni della Provincia, condannato a tre anni di reclusione per un reato di falso – e Anacleto Colombiano, sindaco di San Marcellino.
Per carità, il discorso riguarda solo il concetto e poi. La prassi dell’opportunità. E allora, ministro, se noi fossimo al suo cospetto le formuleremmo una domanda di premessa, prima di entrare nel merito di fatti specifici: esiste, dottor Piantedosi, nel meccanismo e nelle valutazioni che un ministro dell’Interno fa prima di andare in un certo luogo, la questione dell’opportunità, intesa come struttura sovragiurdica che investe l’etica delle grandi istituzioni?
Nel momento in cui, abbiamo vissuto per tanti anni in una democrazia occidentale, apprendendo dai libri, ma anche dalla prassi, che in talune circostanze la forma è anche sostanza, basta o non è al contrario sufficiente, solamente che il codice penale non sia stato violato dalle figure che compaiono in uno o più scatti fotografici che impegnano fisicamente la figura di un altissimo esponente delle istruzioni di una nazione, ossia, nel caso di specie, la quinta carica del Paese, dopo quelle del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei Deputati e del Presidente del Consiglio?
La Prefettura di Caserta non legge i giornali. O almeno, legge solo il solito giornale della eterna disinformazione. Se invece, come si suol dire, stesse sul pezzo, si sarebbe accorta che sia noi di CasertaCe, sia la collega Marilena Natale, che cammina da anni sotto scorta che proprio il Viminale le garantisce, a causa delle minacce ricevute dal clan dei Casalesi, non avevano criticato la candidatura di Giustina Zagaria a sindaco di Casapesenna solo perché questa è la cognata di Francesco Nobis, detto Ciccio ‘o niro, costruttore del bunker in cui l’ex primula rossa del clan dei casalesi Michele Zagaria ha vissuto nell’ultimo periodo di latitanza.
Noi e anche la Natale abbiamo superato, infatti, finanche la connessione delle parentele scomode e, almeno per quel che ci riguarda con spirito liberale, non le valutiamo più come elemento discriminante della scelta di partecipare al consesso politico-amministrativo di un Comune. In passato, chiedevamo quanto meno ai parenti dei camorristi di prendere pubblicamente le distanze non dalla camorra come definizione astratta, concettuale, ma sopportando il sacrificio di fare il nome e il cognome dei propri parenti pregiudicati, sconfessandoli davanti al popolo sovrano.
Poi abbiamo superato finanche questo stadio valutativa, in quanto la nostra vena liberale ci ha portato ad abbattere questa paratia moralistica. Però, benedetto Nostro Signore, nel momento in cui abbiamo visto da una foto, quella che ripubblichiamo in calce a questo articolo, che Francesco Nobis, pregiudicato detto Ciccio ‘o niro, è stato presente costantemente al fianco di sua cognata e partecipando anche ai comizi in.piazza rendendosi visibili a centinaia e centinaia di compaesani, beh allora questo problema dell’opportunità ci siamo permessi sommessamente di sollevarlo nei confronti di chi, parliamo di Giustina Zagaria, in quei giorni, compiva il suo comodissimo e incontrastato viaggio di piacere verso la conquista della fascia, carinamente concessa dal già citato Marcello De Rosa.
Se qualcuno della Prefettura si fosse posto il problema di leggere di mattina i giornali seri, che altrove sarebbero solo giornali normali, magari, signor ministro, l’avrebbe informata sulla questione e lei avrebbe potuto stabilire se la sua presenza fisica a Casapesenna avrebbe costituito un fatto opportuno oppure inopportuno. Ma lei è andato lì in base a informazioni sommarie, superficiali, pesantemente deficitarie e dunque non è stato messo in condizione di decidere..
È andato lì perché a Caserta e nell’agro aversano in particolare quelli che Sciascia definiva i professionisti dell’antimafia, in questo caso dell’anti camorra, continuano ad avere un rapporto troppo intimo, troppo intenso, troppo agevole, con chi lo Stato e chi, nello specifico, il ministero dell’Interno rappresenta in questo territorio, e che possiede la stessa capacità di analisi e di riflessione di un lombrico rincitrullito sulla criminalità organizzata, su tutto quello che è nato attorno al fenomeno camorristico; su tutto quello che ha armato un vero e proprio carrozzone, popolato da nani, ballerine, ipocriti, cinici approfittatori, che, con la retorica dell’anticamorra all’acqua di rosa, hanno costruito posizioni di potere o, più semplicemente, rendite di posizione attraverso le quali la criminalità organizzata riesce, ancora oggi, a far sopravvivere una dialettica possibile con chi indossa fasce tricolori o, seppur indirettamente, con chi dovrebbe rappresentare l’immediato e diretto avamposto amministrativo dello Stato e del suo governo in provincia di Caserta.
Stesso discorso o poco meno, vale per Anacleto Colombiano, sindaco di San Marcellino. Per carità, persona incensurata a differenza del sottoscritto, che è senza ombra di dubbio il più grande criminale del mondo per il reato di diffamazione a mezzo stampa.
Ma anche in questo caso le scelte della famiglia di Colombiano di imparentarsi con imprenditori collegati per sangue a personaggi di grande spicco del clan dei Casalesi, avrebbe meritato quanto meno che lei, signor ministro, ne fosse quanto meno informato in modo da poter decidere, grazie alla sua esperienza, alla sua intelligenza, ad un senso delle istituzioni collaudato da decenni, se fosse opportuno farsi fotografare in modalità da parata in quel di San Marcellino.
Ma anche in questo caso, Anacleto Colombiano, merita un supplemento di valutazione: ci rendiamo, infatti, perfettamente conto che non basta additare la sua famiglia in quanto collegata a soggetti direttamente imparentati con noti criminali. Magari lei, signor ministro, che è sempre stato un poliziotto serio, avrebbe potuto avere un percorso valutativo più veloce, più risoluto, pragmatico, schematico.
Noi no, noi non abbiamo portato divise e ci siamo potuti l, dunque, permettere il lusso un esercizio anche estetico del liberalismo. E quindi, Colombiano utilizzando la nostra lente, il nostro angolo visuale non merita di pagare per le scelte sentimentali, appartenenti alla sfera privata dei suoi congiunti.
Però, se il soggetto in questione, se Marcello Della Corte, il genero del sindaco di San Marcellino e la sua società D.C. Costruzioni, sono vivi e attivi in un territorio della provincia di Caserta, dove Colombiano è un politico di spicco, collegato a triplo filo al consigliere regionale Giovanni Zannini – quest’ultimo stra – indagato per corruzione, concussione e altri reati – se Colombiano, oltre ad essere sindaco di San Marcellino è, per volere esclusivo dell’appena menzionato Giovanni Zannini, anche presidente dell’ente idrico provinciale, cioè nella struttura pubblica che dovrà sovra intendere alla gestione affidata per il momento all’ex Consorzio Idrico di tutta la filiera delle acque, diamine, signor ministro, un minimo di pensiero ci viene sul fatto che Colombiano sarà anche un politico di spicco e un amministratore perbene fino a prova contraria, ma contemporaneamente suo genero fa l’imprenditore e in questa veste è terminale di appalti pubblici.
Ripetiamo, non sono fatti che minimamente possono determinare affermazioni su connivenze dirette o indirette di partecipazione ai processi che collegano la politica al mondo criminale. Ma non si sarebbe potuto esimere un ministro, correttamente e compiutamente informato su questi fatti e su queste circostanze dallo svolgere valutazioni appartenenti alla categoria dell’opportunità, possedendo, al contrario di quello che è successo, piena cognizione ad esempio anche del fatto che un altro imprenditore, questa volta di Casal di Principe, ossia l’intercettato Apicella Junior – figlio di quello che è stato definito il ministro dei lavori pubblici di Nicola Schiavone erede del padre Francesco Schiavone detto Sandokan – afferma che colui che chiama “Marcello”, sarebbe stato in grado di connetterlo a Colombiano, così come letteralmente è messo nero su bianco in un’ordinanza targata Dda.
Il fatto narrato negli atti giudiziari, appena menzionati, può anche non essere fondato, ma avrebbe comunque costituito uno strumento da dare a lei, signor ministro, per realizzare la sua valutazione sul piano dell’opportunità, perché magari a Casapesenna o a San Marcellino poteva spedirci un sottosegretario, un direttore generale, senza esporsi lei direttamente.

Francesco Nobis, detto Ciccio ‘o niro, al comizio elettorale di sua cognata Giustina Zagaria