GLI SPECIALI DI CASERTACE. C’era una casa dove i bambini si curavano con l’ossigeno. Poi arrivarono gli Statuto, la cava e lo sterminio per tumore
3 Settembre 2018 - 18:44
NELLA GALLERIA, TRE IMMAGINI DI COM’ERA IL MONTE TIFATA E ALTRE TRE DI COME E’ DIVENTATO
SAN PRISCO – (Tina Palomba) Dall’alto delle rocce, oramai squarciate dalla potenza di migliaia di mine, 53 anni fa, nel cuore del monte Tifata, comincia la storia della cava Statuto. Non si tratta solo di una storia di una guerra, combattuta, a colpi di dinamite. Non è neppure una sfida tra buoni e cattivi. Ma ora più che mai, dopo l’intervista che ci ha rilasciato il parroco monsignore Giannino Fusco, siamo convinti che sia diventata una guerra tra vita e morte. Il religioso ci riceve in sagrestia. Lo fa prima di andar a celebrare Messa e con un filo di voce ci racconta la storia della sua famiglia che si intreccia con quella della famiglia Statuto, noti imprenditori di Casaluce. Don Giannino è parroco della chiesa di San Nicola a Caiazzo ma è nato nel 1946 a San Prisco.
Indovinate dove? In una bellissima masseria, casa “pastaniello”, fatta crollare a pezzi e coperta con tante lave di cemento impastato, come hanno raccontato diversi collaboratori di giustizia, con l’amianto e altri rifiuti tossici proprio al centro dell’area della ex cava Statuto. Oggi c’è solo una strada sterrata che conduce in questo luogo dove regna l’abbandono totale. Lastre di ferro arrugginite, vecchi cartelli di betoniere, ma soprattutto qui c’è un silenzio di tomba. Gli uccelli non ci volano più, non ci sono insetti, neppure l’erba non ci cresce più, c’è solo morte.
“Eravamo 11 fratelli, abitavamo tutti in quella bellissima casa al centro del monte Tifata, fatta costruire dai nostri bisnonni. Tutti contadini, compresi i miei genitori Prisco e Matrona. Si produceva olio come facevano e fanno tanti concittadini della mia terra. Una terra oggi sempre bella, ma non più sana come 50 anni fa. Dei miei fratelli, quattro sono morti con il tumore allo stomaco. Io pure sono stato operato per lo stesso male”, comincia così il racconto di don Giannino.
Che continua: “Nel 1966 ero già iscritto al seminario. Studiavo e quando tornavo il sabato e la domenica davo una mano nei campi alla mia numerosa famiglia e anche se la guerra era finita nel 1945, qui a casa mia non era finita, la guerra era appena cominciata. Facevano esplodere le mine pure di domenica, gli Statuto. La nostra casa cominciò a tremare di notte e di giorno. Cadevano pezzi di muro. Papà allevava gli animali, mucche, galline, galli. Morirono tutti per la paura delle forti esplosioni. Pure noi dovevamo ripararci sotto una caverna per non finire ammazzati”- ci commuovono le parole del prelato che continua l’agghiacciante racconto- “Rodolfo Statuto era un uomo burbero. Ricordo che maltrattava tutti. I suoi operai li spiava pure di notte. Si nascondeva tra le siepi ai piedi della montagna per assicurarsi che non gli rubassero il materiale estratto dalla cava. Il padre, di cui non ricordo il nome, era molto buono rispetto a lui, troppo legato agli affari”.
Don Giannino ricorda i fatti come se fossero accaduti ieri, quella brutta pagina di storia della sua famiglia e dopo una lunga pausa con le lacrime agli occhi, riprende il racconto. “Studiavo con la candela a casa, di notte perché mica c’era la corrente elettrica e studiavo soprattutto come risolvere questo problema della mia famiglia. Mi rivolsi nel 1968-69 ad un avvocato importante, Giovanni Leone, il futuro presidente della Repubblica. Venne eletto nel 1971. Ma non si ricavò un ragno dal buco perché, parliamoci chiaro, il potere politico della DC all’epoca era troppo forte. C’erano sempre state delle forte collusioni con i politici: le stesse che esistevano pure qui. Insomma, per non farla lunga, dopo tante altre battaglie e persino un atto intimidatorio- intorno al 1970-74, ai danni anche di alcuni cittadini, da parte di un gruppo armato di malavitosi che vennero a sparare diversi colpi di fucile in piazza a San Prisco, nei pressi della chiesa S. Maria di Loreto – ci arrendemmo. Lasciammo la casa negli anni ’70 quando questa venne rasa al suolo e coperta da cemento. Dopo varie battaglie giudiziarie, abbiamo ottenuto un piccolo risarcimento: solo 18 milioni delle vecchie lire. Io personalmente ho ricevuto 500 mila lire per la mia quota di eredità”.
Infine, non è stato provato scientificamente ma è sempre di più in aumento il numero dei decessi di persone per tumore nell’area più vicina alla cava tra Casapulla e San Prisco. Il parroco ci conferma questa strana e insistente coincidenza concludendo così l’intervista: “Come si può notare dalla foto che vi ho fornito, sulla nostra abitazione c’era una terrazza dove la mattina presto era possibile osservare una veduta bellissima, migliore anche di quella di San Leucio e qui portavano i bambini da Napoli perché era usanza far cambiare aria ai piccoli, quando avevano l’asma o altre malattie respiratorie. Ma tutto questo succedeva prima dell’era Statuto. Ora confermo queste preoccupazioni che si stanno vivendo al mio paese, visto che ho tanti parenti a San Prisco che mi informano di questo alto tasso di mortalità tumorale. Bisognerebbe fare delle bonifiche immediate e fare degli studi più approfonditi”.
Oggi, infatti, aggiungiamo noi, l’area della ex cava Statuto è stata dissequestrata ed è gestita dalla moglie di Rodolfo Statuto, la vedova Angela Iovane e dai figli per i quali affrontare una bonifica di quel territorio è come parlare di “Guerre stellari”.
Rodolfo Statuto le sue storie giudiziarie
Rodolfo Statuto, deceduto alcuni anni fa, è stato processato in Spartacus. Il pentito Carmine Schiavone accusò questa famiglia per la fornitura del cemento per la costruzione del carcere di San Tammaro, in quanto pretendeva che questo lavoro fosse affidato a lui. Statuto ricordiamo che fu uno tra le ottanta persone indagate in tutta Italia e, tra questi, quindici imprenditori casertani, soprattutto dell’agro aversano, finiti nel mirino della Dda di Napoli, accusati di associazione di stampo camorristico, di falso e ricettazione, abusi, pericolo di disastro ambientale, falsità ideologica e truffa. Inquisite varie società di calcestruzzi. Tra le accuse vi sarebbe proprio quella di aver utilizzato rifiuti tossici, come l’amianto, nell’impasto del cemento armato.
Il nipote Giuseppe accusato qualche anno fa della scalata insieme a Ricucci
Uno zio ritenuto organico al clan camorristico dei casalesi. Questa sarebbe l’imbarazzante parentela dell’immobiliarista Giuseppe Statuto, citata testualmente in un rapporto antimafia rivelato tempo fa. Un casertano doc in quella che volgarmente fu definita la banda del mattone. A capo di patrimoni immobiliari miliardari tra Roma e Milano, diventato anche protagonista dell’estate calda della finanza italiana insieme a Stefano Ricucci, perchè come lui, si dichiarò pronto a far cordata per la scalata dell’Rcs-Corriere della Sera. Furono definiti “i furbetti del quartierino” e la vicenda non finì affatto bene per loro.
Ecco cosa dichiarò, all’epoca, Giuseppe Statuto sulle vicende della vita e sulle parentele scomode dello zio Rodolfo: “Non vedo mio zio da 25 anni”. E aggiunse: “Non c’è mai stato nessun affare in comune tra mio padre e mio zio. Lui si occupava di calcestruzzo, noi costruivamo grandi opere. Sono settori diversi. Quanto all’indirizzo comune, stiamo parlando di 30 anni fa. Chissà, forse è il palazzo dove abitavano i nonni. So solo una cosa: le nostre famiglie sono sempre state distinte”.