LA NOTA. AVERSA. Guglielmo Pellegrino, fratello del ras dei Casalesi “O’ Mister” assalta e minaccia davanti all’aula consiliare l’assessore Benedetto Zoccola
8 Gennaio 2020 - 19:00
AVERSA (g.g.) – Se Guglielmo Pellegrino, ex presidente del Real Agro Aversa Calcio e da qualche tempo non più gestore dello stadio Bisceglia. ha potuto fare quello che ha fatto ieri a margine dei lavori del consiglio comunale, aggredendo verbalmente nei corridoi l’assessore ai Lavori Pubblici Benedetto Zoccola, con il serio rischio quelle minacce trascendessero fino alle vie di fatto, fino alla violenza anche fisica, scongiurato dalla presenza nei pressi di poliziotti della Digos, è perché ritiene che ad Aversa esistano ancora le condizioni per rendere premiale un atteggiamento votato alla violenza.
Guglielmo Pellegrino era lì perché l’amministrazione comunale avrebbe dovuto rispondere ad un’interrogazione consiliare sui lavori effettuati allo stadio che, secondo la citata interrogazione, si dice ispirata proprio da Pellegrino, non sarebbero stati realizzati in qualche loro significativa parte, in sfregio al capitolato d’appalto. Ieri mattina, il dirigente dell’ufficio tecnico Serpico si è dato malato e di questa cosa, involontariamente, siamo anche noi un po’ responsabili, dato che Serpico si è trovato in grande difficoltà nel rispondere alle domande che gli venivano poste al di fuori dell’aula consiliare, e in un orario antecedente a quello del consiglio, sul motivo per cui, ad ottobre scorso, nel pieno della tormentata e delicata vicenda del mercato ortofrutticolo, aveva
Questa la cornice dei fatti di cronaca che si sono verificati, sottolineiamo bene questa cosa, vicino alla porta d’entrata dell’aula consiliare. Pellegrino ha fatto quello che è abituato a fare. Quello che è impresso nel suo tessuto connettivo cerebrale, quello che è frutto della cultura, dell’educazione, degli esempi e delle modalità di convivenza sociale che ha incamerato e sperimentato nella sua esistenza. Per carità, il fatto di essere il fratello di Vincenzo Pellegrino, detto O’ Mister, esponente di spicco del Clan dei Casalesi, non significa assolutamente che anche lui debba essere sospettato di chissà che cosa. Fino a prova contraria, la storia di vita, ma soprattutto i certificati dei carichi pendenti e del casellario giudiziario, di Guglielmo Pellegrino sono ben diversi da quelli del camorrista Vincenzo. Ma il primo, mentre il fratello faceva il “criminale organizzato”, non se n’era andato ad abitare ad Oslo o a Stoccolma, oppure a Losanna, ha vissuto ad Aversa o dintorni e ha respirato a pieni polmoni quell’aria, quell’atmosfera che, pur non avendo una pertinenza personale con il clan dei Casalesi, portava lui e tutti coloro che, pur non avendo compiuto una scelta criminale diretta o indiretta, a dover acquisire e accettare quei codici culturali che si traducevano poi in comportamenti. Certo, è vero, il camorrista sparava, metteva le bombe, il non-camorrista non lo faceva, ma in questa categoria erano e sono ancora tanti gli spavaldi, armati non del proverbiale ferro, ma della sicumera di toni sempre, o quasi sempre, larvatamente minacciosi. Questione di mentalità. E certo, Guglielmo Pellegrino non è stato il solo congiunto di camorrista ad essere vissuto senza macchiarsi di alcun reato, ma allo stesso tempo, non è stato neppure un congiunto di un camorrista in grado di mettere in discussione radicalmente non solo le scelte materiali del fratello, ma anche il linguaggio, la comunicazione che di quelle scelte sono sociologicamente, culturalmente la struttura portante.
Il problema è che negli ultimi anni, anche per effetto di un’enorme attività di repressione, che ha portato all’arresto di centinaia, forse addirittura migliaia, di esponenti, fiancheggiatori, teste di legno del clan, anche chi si è uniformato al linguaggio e alle prassi illustrate, ha ritenuto che fosse rischioso continuarle a utilizzare in un contesto meno monopolizzato, meno caratterizzato dalle leggi non scritte del malaffare camorristico. Per dirla in maniera più prosaica, in tanti si sono misurati la palla. E allora, perché Guglielmo Pellegrino ha affrontato Benedetto Zoccola, uomo sotto scorta da anni proprio perché minacciato della camorra mondragonese? Cosa ha fatto pensare a Giuglielmo Pellegrino di poter tranquillamente fare quello che ha fatto, una guasconata in puro camorra style, all’interno del comune di Aversa, cioè di un comune della Repubblica Italiana e ad un passo dall’aula consiliare? Evidentemente in quelle stanze Pellegrino si sente a suo agio e non a disagio. Probabilmente sullo stadio Bisceglia ha torto. Ma il punto non è questo, ma attiene alle modalità con cui un cittadino che dissente rispetto ad una decisione di un organo di governo, può, nel rispetto della legge, esprimere il suo punto di vista. Ma come glie spieghi ad un uomo, ad una sorta di imprenditore che ha vissuto ad Aversa e/o dintorni negli anni ’90, nei primi anni 2000, che al comune oggi le cose sono cambiate e che certi meccanismi non funzionano più come un tempo? Occorrerebbe un habitat in cui il figuro si sentisse fuori posto, a disagio. Ricorriamo ad un ulteriore esempio: sarebbe occorso, ieri, che altri consiglieri comunali, tutti insieme, mettessero alla porta l’esagitato, attuando il gesto nell’espressione simbolica, ma anche sostanziale, della propria funzione di rappresentante del popolo, di espressione dello Stato di diritto, di uno Stato di diritto che esclude, senza aver bisogno di farlo fare alla polizia chi, attraverso il linguaggio della violenza, intende bypassare le regole della convivenza.
Naturalmente, i consiglieri non l’hanno fatto e Zoccola è stato salvato solo dalla presenza dei poliziotti.
I politici e i cittadini aversani rifletteranno sul contenuto di questo articolo? Naturalmente no.