De Luca taglia fuori Ariano Irpino. Che figuraccia la Prefettura di Avellino e il commissario che regge il Comune
15 Marzo 2020 - 16:46
VISTA la legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante “Istituzione del servizio sanitario nazionale” e, in particolare, l’art. 32 che dispone “il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni”, nonché “nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale ’’
Per l’ennesima volta, nell’arco degli ultimi dieci giorni, pubblichiamo l’art. 32 della legge n.833 del 23 dicembre 1978.
Lo facciamo perché, se leggete tutte le ordinanze firmate da De Luca, vi accorgerete, stando in casa e dunque avendo anche più tempo per mettere in consecutio logica le varie parti dell’atto amministrativo, che questo si regge, sostanzialmente, su questa norma, senza la quale nessun’altra di quelle citate potrebbe essere seriamente attivata.
Per chi si fosse le puntate precedenti, ribadiamo che si tratta di una legge che negli ultimi anni del ’78 disinnescò, diciamocela tutta, in maniera antidemocratica, gli esiti di un famoso referendum abrogativo, promosso dai radicali di Marco Pannella, con il qualw, a larga maggioranza, (al tempo, in quella stagione partita con il pronunciamento sul divorsio votavano in tanti ai referendum), gli italiani avevano cancellato il Ministero della Sanità e dell’Agricoltura.
Con questa legge, fu ripristinato il primo a cui non si potette dare lo stesso nome, e per questo motivo fu ribattezzato Ministero della Salute.
Siccome all’esito di quel referendum, che i radicali avevano promosso per attivare un vero regionalismo, una devoluzione autentica di alcune materie dal potere centrale a quello locale, saltò fuori questo articolo 32, il quale disponeva che “il Ministro della sanità potesse emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o parte di esso”. Lo stesso articolo conferiva il medesimo potere ai presidenti delle giunta regionali e ai sindaci con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e, nel secondo caso, al singolo Comune.
Senza addentrarci in discorsi complicati e senza metterci a cercare tracce di giurisprudenza che ci possano aiutare a capire come la prassi abbia recepito e applicato questa norma, diciamo che quello che stiamo vivendo è un frangente in cui tutte e tre le istituzioni a cui viene riconosciuta una potestà amministrativa (l’ordinanza è infatti un atto amministrativo e non normativo) sono impegnate contemporaneamente a fronteggiare una emergenza che è anche locale, che investe la vita dei Comuni e delle Regioni, ma è indiscutibilmente e prima di tutto un’emergenza nazionale.
Non a caso il governo, a nostro avviso anche abusandone, ha spostato la potestà amministrativa dal Ministero della Salute alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Fino ad oggi abbiamo letto solamente l’acronimo DPCM che sta per Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e non DM che sta per Decreto Ministeriale, strumento scartato al pari di quello ancor più modesto di una semplice ordinanza.
Basterebbe solo questo per affermare che l’utilizzo da parte di De Luca di questo riferimento normativo è a dir poco forzato e appare finalizzato, più che altro, alla promozione della sua immagine di uomo forte, in grado di governare un’emergenza, che all’effettiva soluzione del problema.
Questo non vuol dire che il presidente della Regione debba essere tagliato fuori dai processi decisionali, soprattuto quando questi riguardano il funzionamento delle strutture sanitarie, diretta e strutturale competenza delle stesse Regioni, ma significa solo che quando si assumono provvedimenti monocratici come quello riguardante il Comune di Ariano Irpino, chiuso totalmente ad ogni possibilità di ingresso o spostamento, in una quarantena rafforzata ed estremizzata, questo De Luca non lo può fare da solo ma deve proporlo al governo, ricevendo un placet perché questo non riguarda solamente un problema di sanità pubblica, ma anche e soprattutto di ordine pubblico, per il quale non c’è dubbio che le competenze spettino all’esecutivo, che esplica attraverso il Ministero degli Interni e, nel contesto territoriale, attraverso le Prefetture che stanno lì apposta per questo.
Questa storia di Ariano Irpino è proprio da impazzire. Per lo stesso motivo per cui De Luca utilizza l’articolo 32, il sindaco di Ariano avrebbe potuto dire “Caro governatore, datti una calmata, alla sanità del mio Comune ci penso io perché prima di tutto, quella legge che tu applichi attribuisce chiaramente a me la potestà amministrativa”.
Sapete chi governa oggi il Comune di Ariano Irpino. Un sindaco? No, lo amministra la Prefettura di Avellino, cioè il Ministero degli Interni, cioè il governo nazionale, attraverso la commissaria Silvana D’Agostino.
Cosa è successo, dunque: De Luca ha scavalcato, compiendo l’ennesimo abominio giuridico, il governo nazionale. Se proprio si doveva applicare questa legge alla carlona, sulla pressione di un’emergenza epocale, si sarebbe dovuto quantomeno inventare lo strumento dell’ordinanza con duplice firma: quella del commissario prefettizio D’Agostino in quanto rappresentante della città di Ariano Irpino (che ricordiamo è la seconda per popolazione della Provincia di Avellino) e quella di De Luca, che sarebbe stata al limite giustificata dal fatto che la recrudescenza dei casi di coronavirus in quel Comune potrebbe incidere sulla salute dei cittadini di altri comuni della Campania, creando quella condizione prevista dall’art. 32 nel momento in cui attribuisce al governatore la potestà sulle cose di sanità pubblica riguardanti l’intero perimetro della Regione o parte di esso.
Sicuramente questo articolo non inciderà sulle menti obnubilate del popolo recluso, ma non abbiamo l’esigenza di lisciare il pelo al popolo alimentando le sue paure allo scopo di poterle dominare, diventando di conseguenza una irrinunciabile opzione elettorale. E siccome questa necessità non l’abbiamo, saremo anche uno su un milione, ma qualcuno dovrà pur difenderlo l’articolo 21 della Costituzione, in questo momento in cui in Italia vige quella che Donatella Di Cesare ha brillantemente definito, in un bell’articolo pubblicato da L’Espresso, la “fobocrazia”.
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