“Gigiotto O’ Prevete” accusato di essere un camorrista, ma è innocente. La lotta per il risarcimento e il “problema” del soprannome
31 Agosto 2022 - 13:37
CESA – Era stato condannato ad 8 anni di reclusione, a seguito di giudizio abbreviato, per il reato di partecipazione ad un clan camorristico Luigi Errico, ma poi era arrivata l’assoluzione della Corte di Appello di Napoli.
Arrestato nel giugno del 2011 a seguito di ordinanza di custodia cautelare richiesta dai Pm della DDa di Napoli, Errico era accusato di essere partecipe al clan “Mazzara” operante su Cesa, con il ruolo di “emissario e vedetta”. A seguito di giudizio abbreviato, il Gup del Tribunale di Napoli lo condanno alla pena di anni 8 di reclusione.
Le fonti di accusa erano rappresentante dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, vale a dire Luca Mosca, Gaetano Vassallo e Domenico Russo. Quest’ultimo si era definito “intraneo” al gruppo Mazzara, anche se aveva dichiarato di non aver mai conosciuto di persona Errico.
Alla fine del 2020, Errico aveva richiesto un risarcimento danni per ingiusta detenzione, ricevendo il niet da parte della corte di Appello di Napoli, che aveva riscontrato che il comportamento del cinquantottenne non aveva seguito quella “ordinaria diligenza” che avrebbe potuto evitare l’incombere dell’errore giudiziario.
È un concetto un po’ complesso, ma più o meno si può semplificare così: se ci sono dei comportamenti o delle azioni che possono aver dato l’impressione della partecipazione a un reato da parte di un soggetto poi risultato innocente, l’errore
Errico evidentemente non si è sentito descritto da quelle parole, quella “colpa” riscontrata dalla corte di Appello napoletana e ha presentato ricorso in Cassazione.
I giudici della legittimità hanno dato ragione all’uomo, non trovando comportamenti censurabili che potessero portare al mancato indennizzo.
Leggendo la sentenza della corte dell’ultima istanza, i giudici dell’Appello non hanno dato una corretta applicazione dei principi di cui stavate leggendo prima.
Ad esempio, Errico era conosciuto come “Gigiotto O’ Prevete” a Cesa, tra gli amici, ma era un contronome noto anche tra i collaboratori di giustizia. Il che era stato definito come un chiaro esempio di familiarità con l’ambiente criminale.
Ma questa, scrivono dalla quarta Sezione Penale della corte suprema, non può essere ritenuto una colpa, mancando il nesso tra il comportamento ritenuto negligente dalla corte di Appello e la conoscenza del soprannome anche da parte di alcuni criminali.
Per questo motivo, la corte di Cassazione ha annullato la sentenza del tribunale partenopeo, rinviando per un nuovo giudizio l’incartamento alla corte di Appello di Napoli.