CAMORRA E POLITICA. Non ci sono gravi indizi di colpevolezza. Un unico filo logico lega le decisioni della Cassazione relative a Carmine Antropoli e ai cugini Verazzo

27 Agosto 2021 - 13:38

Cade, per il momento, il teorema dell’accusa che arrestò l’ex sindaco anche perchè lo accusò di essere stato sostenuto da Nicola Schiavone e dal clan dei casalesi alle elezioni in cui era stato confermato sindaco. In calce all’articolo, le 8 pagine delle motivazioni riguardanti i Verazzo, in cui sostanzialmente i giudici della legittimità ribadiscono il concetto, affermando che non c’è un solo fatto concreto in cui si vede Antropoli favorire Nicola Schiavone e il clan dei casalesi nella realizzazione di un disegno in cui i Verazzo sarebbero stati i mediatori

 

CAPUA – (g.g.) Che la posizione dei cugini Giuseppe e Francesco Verazzo, noti imprenditori del settore edile, soprattutto grandi opere, nati e cresciuti a Casal di Principe e poi trapiantati a Capua, fosse sostanzialmente e anche sostanziosamente diversa da quella di Domenico Mimmo Pagano, (CLIKKA PER LEGGERE

), imprenditore trentolese, pure lui coinvolto ed arrestato nella stessa operazione che coinvolse i Verazzo, era risultato chiaro, almeno ai nostri occhi, sin dalla lettura dell’ordinanza, eseguita lo scorso febbraio.

Mentre, infatti, per Pagano che si era vista riconoscere dal tribunale del Riesame la modifica del capo di imputazione provvisorio, passato dall’associazione per delinquere di stampo mafioso diretta, al concorso esterno, esistevano fatti sostanziali, verificabili ex post, cioè dopo che questi si erano effettivamente e, per l’appunto, materialmente verificatisi, per Verazzo si trattava, invece, di un’accusa collegata sostanzialmente a quella, formulata a suo tempo, a carico dell’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli e fortemente ridimensionata da un pronunciamento della corte di cassazione che aveva annullato, a suo tempo, l’ordinanza ai danni di Antropoli, con rinvio al tribunale del Riesame di Napoli, che ne aveva poi decretato la liberazione anche dagli arresti domiciliari fuori regione.

Ed è questo l’argomento centrale su cui verte la decisione della Cassazione di accogliere il ricorso presentato dagli avvocati difensori dei due Verazzo, per quanto riguarda la parte decisamente più importante e sicuramente incidente in prospettiva delle prossime fasi dibattimentali dell’udienza preliminare ed eventualmente del processo di primo grado: stiamo parlando dei “gravi indizi di colpevolezza”, citati come premessa irrinunciabile dell’applicazione di una misura carceraria dall’articolo 273 del codice di procedura penale.

Per Domenico Mimmo Pagano l’impianto accusatorio ha retto anche al vaglio dei giudici della legittimità, cioè dei giudici della Cassazione, che lo hanno scarcerato solo perchè ritengono che non esistano più, al momento, motivi per ritenere che sussista un pericolo di reiterazione del reato da parte del Pagano, visto e considerato che dal 2010 in poi, nessun altro elemento concreto è stato raccolto a dimostrazione che l’imprenditore di Trentola, che intanto ha spostato le sue aziende nel Nord Italia, continui a lavorare così come faceva ai tempi in cui Nicola Schiavone, suo socio di fatto, secondo l’accusa, era ancora a piede libero.

Cambia completamente la struttura del ragionamento sui gravi indizi di colpevolezza, relativamente alla posizione di Mimmo Pagano, confrontata a quella dei cugini Verazzo, nel momento in cui la Cassazione indica nel palazzo dei cento di Capua e nel parco residenziale, con villette e appartamenti, costruito a Trentola da Pagano, gli elementi materiali, sostanziali e sostanziosi che vanno a dar riscontro a ciò che Nicola Schiavone racconta, in quanto si tratta di edificazioni effettivamente realizzate e nel quale si individua il vantaggio fornito alle attività del clan dei casalesi, condizione necessaria per la costituzione di un’accusa di concorso esterno a carico dei Verazzo. 

Così, dunque, scrive sostanzialmente la Cassazione, dando conforto a quello che noi di CasertaCe già non vedevamo fortemente motivato da parte dell’accusa, in sede di analisi e commento dell’ordinanza di febbraio. Se Carmine Antropoli si vede annullare l’ordinanza a suo carico perchè la Corte di Cassazione afferma che non si ha traccia del vantaggio materiale che l’allora sindaco avrebbe determinato col suo intervento nei fatti dell’amministrazione comunale di Capua, a favore del clan dei casalesi, è ovvio che la prima parte della storia, così come raccontata dai magistrati inquirenti della Dda, non regge ugualmente. Se il concorso esterno contestato ad Antropoli, viene privato dalla Cassazione dei gravi indizi di colpevolezza, è naturale che questo accada anche per l’accusa formulata nei confronti dei Verazzo che, sempre secondo la Dda, in una narrazione intimamente legata in intima connessione logica e temporale a quella realizzata in un’altra ordinanza su Antropoli, avrebbero svolto una funzione di trait d’union tra Nicola Schiavone, capo del clan dei casalesi e lo stesso Antropoli.

Tutto ciò per orientare a favore di quest’ultimo il voto e il sostegno di un gruppo di imprenditori, ignoti nella loro identificazione. A questo punto, le dichiarazioni di Nicola Schiavone che pure ci sono e che rappresentano la base costitutiva dell’accusa formulata ai danni dei Verazzo, non sono più sufficienti per riconoscere l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Attenzione, la Cassazione non ritiene Schiavone inattendibile in assoluto. Anzi, riconosce come corretta la procedura adottata dal tribunale nella qualificazione generale del contributo che questo collaboratore di giustizia fornisce, chiarendo al riguardo la questione spesso nebulosa della relazione tra validità soggettiva del collaboratore di giustizia inteso come persona, come individuo e la validità oggettiva delle sue propalazioni.

Il problema è che tutto ciò che Schiavone afferma sui Verazzo non è condito, com’è capitato invece con Nicola Pagano, di quegli elementi di riscontro, a partire da propalazioni di altri pentiti che, nel caso dell’imprenditore trentolese, erano in numero sostanzioso, visto che le dichiarazioni di Schiavone, le conferme di Francesco Zagaria Ciccio ‘e Brezza erano logicamente sovrapponibili nelle parole messe a verbale durante i loro interrogatori, pronunciati dai vari Orabona, Misso, Cantone, Barbato eccetera. Nel caso specifico, al contrario, il solito Francesco Zagaria detto Ciccio ‘e Brezza è il solo ad affiancare Nicola Schiavone in una chiamata in correità dei Verazzo. Poi resta un’altra parte di racconto dello stesso Francesco Zagaria ma stavolta de relato che si affianca ad un altro de relato, quello di Nicola Panaro, altro pezzo da 90 del clan dei casalesi.

Non bastano e non basta, dunque. Soprattutto perchè non si vede il vantaggio materiale, la conseguenza fattuale del pactum sceleris.

Ovviamente la Cassazione sviluppa anche altre riflessioni tecnico giuridiche molto interessanti che non riassumiamo per non allungare ulteriormente questo articolo, ma che potrete leggere nella loro versione integrale, nelle 8 pagine con cui i giudici della legittimità hanno annullato l’ordinanza a carico dei Verazzo, con un rinvio al tribunale del Riesame che, a sua volta, 72 ore fa, facendo propri tutti i rilievi degli ermellini romani, ha annullato l’ordinanza a carico dei Verazzo, decretandone la scarcerazione, esattamente come fece con quella a carico di Carmine Antropoli.

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