CASALESI E APPALTI RFI. In aula il Maggiore dei Carabinieri: “Ecco come Nicola Schiavone condizionava la politica”

10 Gennaio 2024 - 19:22

L’ufficiale dell’arma rispondendo alle domande del sostituto procuratore Graziella Arlomede della Dda di Napoli ha spiegato la genesi dell’indagine che prese il via nel dicembre 2017 e si è protratta fino al gennaio 2022

CASAL DI PRINCIPE- Il libero accesso alla sede della Rete Ferrovie Italiane, il legame datato con Francesco Schiavone Sandokan ed il ruolo di spicco nelle società partecipate dello Stato per conto dell’associazione camorristica, e cene di lusso con l’ex sottosegretario ai trasporti. E’ il rapporto dell’indagine, su Nicola Schiavone, che prese il via nel dicembre 2017 e si è protratta fino al gennaio 2020, reso nel processo sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi negli appalti delle Ferrovie dello Stato, che si sta celebrando dinanzi la Terza Sezione Penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduta dal giudice Giuseppe Meccariello, emerso dall’escussione del Maggiore del nucleo investigativo dell’Arma dei Carabinieri.

Dichiarazione rese nell’ambito del processo sulle infiltrazioni del clan dei Casalesi negli appalti delle Ferrovie dello Stato, che si sta celebrando dinanzi la Terza Sezione Penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduta dal giudice Giuseppe Meccariello.

L’imputato e Sandokan si conoscevano fin da ragazzini tant’è che furono i protagonisti di una rissa a Vitulazio nel 1972. I rapporti tra i due si sono rafforzati nel tempo. L’imputato era il padrino del figlio di Sandokan, suo omonimo e per ogni cerimonia che riguardava la famiglia Schiavone lui era presente ed in dono offriva terreni o appartamenti”. Il

maggiore ha poi spiegato la rapida ascesa dell’imputato ricostruita anche grazie alle dichiarazioni di Giuseppina Nappa moglie di Sandokan secondo cui “lo zio era più che un amico per Francesco” spiegando poi la vicenda del lievito madre con la separazione tra gli imprenditori stipendiati e quelli di cui si serviva il clan. L’ufficiale ha svelato l’importante ruolo politico che Nicola Schiavone aveva a Casal di Principe grazie all’appoggio della consorteria criminale. “Nicola Schiavone si candidò come sindaco ed aveva 1000 preferenze garantitegli dai casalesi mentre il sindaco uscente che poi venne rieletto ne aveva solo 600. Fu Schiavone a non sentirsi pronto ad essere primo cittadino e ripiegò a fare l’assessore alle attività produttive. Tale nomina fu voluta da Sandokan. Difatti per stessa ammissione del figlio di Sandokan il padre capì che senza la politica non si sarebbero mai accaparrati di una fetta della pubblica amministrazione e perciò era importante piazzare i loro uomini come l’imputato. Infatti l’ascesa politica di Nicola Schiavone era fondamentale per Sandokan perché lui doveva essere spendibile per il clan”. “Nel corso dei pedinamenti di Nicola Schiavone ci siamo resi conti del ruolo di spicco che rivestiva nella politica ad altissimi livelli tanto da diventare il consulente per RFI – ha rivelato l’investigatore del Roni – ci siamo resi conto che era abilissimo ad intessere rapporti personali con i massimi vertici non solo della partecipata statale ma anche dello stesso Ministero dei Trasporti. Numerose sono state le cene da noi documentate tra Nicola Schiavone e l’ex Sottosegretario ai Trasporti, eletto in quota Pd, Salvatore Margiotta (che non risulta indagato, nda), perlopiù in locali di lusso della Roma bene dove parlavano liberamente di movimentazioni di danaro per alcuni appalti o le lamentele per qualche funzionario della Rfi che mal sopportava l’ingerenza di Schiavone e poco dopo veniva rimosso o demansionato dal suo incarico. Nicola Schiavone si aggirava liberamente nella sede Rfi di piazza Croce Rossa a Roma. Basti pensare che per accedervi occorre essere registrati invece gli accessi di Nicola Schiavone non risultano registrati perché gli bastava recarsi all’ingresso dell’edificio e gli stessi vertici lo andavano a prendere nell’atrio”.

A processo sono finiti Nicola Schiavone, Vincenzo Schiavone, Nicola Puocci, Vincenzo Apicella, Francesco Salzillo, Gennaro Diana, Salvatore Diana, Giancarlo Diana, Vincenzo Diana, Luigi Diana, Mario Diana, Luigi Schiavone, Fioravante Zara, Mario Zara, Giuseppe Fusco, Luigi Belardo, Angelo Massaro, Antonio Petrillo, Luigi Petrillo, Marco Falaco, Claudio Puocci e Caterina Coppola. Le accuse sono a vario titolo di associazione di stampo mafioso, estorsione, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.