CASERTA. Piazza Carlo di Borbone: un bene monumentale alla mercé di tutti, dove non esistono regole

22 Febbraio 2024 - 10:29

Eppure esiste un’ordinanza sindacale, la n.39 del 2013, che disciplina l’uso dell’area

CASERTA (P.M.) – Appena giovedì scorso, nel riferire che il sindaco Marino era stato a Milano per promuovere il capoluogo all’annuale Borsa del turismo (clicca qui per leggere il resoconto), ponevamo per l’ennesima volta la questione del decoro e dell’uso conveniente di piazza Carlo di Borbone. Tema enorme che tuttavia, demagogicamente, nessuno vuole affrontare. Ma nessuno, proprio nessuno, nel senso vero della parola. Né l’intellettualità cittadina, perché in una piccola realtà di provincia ci si conosce un poco tutti e le relazioni finiscono per prevalere su ogni cosa. Nè chi, molto più gravemente, sarebbe istituzionalmente preposto a farlo. Per essere chiari, parliamo di Comune e Soprintendenza ai Beni Culturali direttamente e della Direzione del Museo Vanvitelliano in via mediata.

I fatti stanno pressappoco così. La piazza borbonica, anche se amministrativamente è nella proprietà comunale, è tutt’uno con la Reggia. Bisogna pensarla come area monumentale, come bene monumentale è il palazzo reale. Non è, in definitiva, un’area verde cittadina nel senso che si dà ovunque a questo termine, cioè destinata al tempo libero, alla distensione, allo svago. È in parte anche questo. Ma è soprattutto un elemento complementare del capolavoro architettonico del Vanvitelli.

E come nel parco della Reggia esiste un regolamento delle visite contro le condotte contrarie al valore del luogo e la Maffei è riuscita oggi a farlo rispettare, lo stesso dovrebbe avvenire per i campetti.

Invece il posto è, di fatto, abbandonato a se stesso. Ognuno, a suo piacimento, ci fa liberamente quello che vuole. Chi ci va a festeggiare il compleanno o l’onomastico, con tanto di fuochi artificiali. Chi ci va in bicicletta ciclocross, chi a giocarci a pallone od a fare l’allenamento nel proprio sport. In passato abbiamo documentato chi si è attendato e chi ci scorrazzava facendo il motocross. Rispetto a questo, chi ci porta a correre i bambini od i cani, ormai assimilati nella cervellotica percezione di molti (anche se i secondi la fanno direttamente sull’erba), pare che non faccia niente di inopportuno. A maggior ragione agitando l’argomento che la città non ha spazi ampi di ricreazione. Dove vanno portati questi bambini e queste bestiole, che c’è di male?  Questa è la opinione media al riguardo.

E poi, a rafforzare questi atteggiamenti, tutte le forze di polizia, a cominciare dai vigili urbani (che giustamente stanno cominciando a rimuovere a tutta forza le macchine parcheggiate abusivamente nelle strade del centro), non intervengono mai a far sloggiare nessuno.

Il regolamento di uso del giardino Salvi a Vicenza. Uno dei tanti casi di città grandi e piccole del Paese

Eppure, altrove, nei comuni parchi e giardini pubblici è vietato calpestare aiuole e prati e sono proibiti i bivacchi. È consentito sedere sulle panchine, giocare e passeggiare nei viali, vialetti e spiazzi, ma poco altro. In maniera generalizzata o non si possono introdurre i cani o solo se sono al guinzaglio.

A Caserta no! Si fa persino finta che non esista l’ordinanza sindacale n.39 del 2013 che ne disciplina l’uso dell’area. Quella adottata sacrosantamente all’epoca di Del Gaudio primo cittadino e mai rispettata e fatta rispettare. Oggi, con il populismo imperante, figurarsi se Marino si preoccupa di mettere ordine nella piazza. Le persone ci vogliono andare e che ci vadano, troverà conveniente pensare. Tanto poi, nei convegni che ci vuole a dire che sta operando strenuamente per l’avanzamento turistico di Caserta. Nessuno obietterà o eccepirà, come è accaduto a Milano.

I cartelli monitori relativi all’ordinanza sindacale n.39 del 2013 che disciplina l’uso di piazza Carlo di Borbone. Sebbene vandalizzati nel tempo, il connesso provvedimento, che commina anche tanto di sanzioni per i trasgressori, è formalmente in vigore per quanto completamente ignorato

È ovvio che in tutto questo marasma, se un nutrito gruppo di persone si riunisce per cantare, come è accaduto questa domenica, che si vuole che sia?

Dal primo pomeriggio e fino a sera, alcuni musicisti ed un centinaio di persone del pubblico si sono dati appuntamento per quella che è stata definita, non senza compiacimento, Cantata Anarchica per ricordare Fabrizio De Andrè.

E qui ci chiediamo: è ammissibile tutto questo spontaneismo che pretende –  per darsi visibilità o per protagonismo, chissà, vallo a sapere – di fare come si vuole di luoghi di particolare valore artistico ed architettonico per il proprio schiribizzo?

Ancor più quando all’iniziativa è sotteso un contenuto politico. Come in questo caso, in cui è stata sfoggiata per tutto il tempo la bandiera anarchica e quella palestinese fregiata del pugno chiuso, che racchiudono un ben preciso significato ideologico.

È consentito dire che tutto questo, specie se in mancanza di autorizzazioni amministrative di sorta, può anche non essere condiviso, coinvolgendo un bene pubblico monumentale? Bisogna fare finta di niente? Ed entro quali limiti sono ammesse queste iniziative autogestite, puntualmente ammantate di impegno sociale, di comunitarismo, forse per nobilitarsi, quasi per intendere che solo in quel posto simbolico della città si possano svolgere. Nel più puro reducismo sessantottino, a fronte di una società laicizzatasi in maniera totale ed ormai ispirata al soggettivismo più spinto.

Ma anche in questo caso siamo alla solita mancanza di governo della città. Altro che la Caserta a vocazione turistica che si va raccontando in giro; qui siamo alla caciara.