ESCLUSIVA GOMORRA 5. Orlando Carbone, ucciso da Salvatore Belforte, compì un errore prima del conflitto a fuoco in cui morì il boss Cutillo

20 Maggio 2019 - 16:20

MARCIANISE(g.g.) Se non abbiamo letto male o se non ci è sfuggito niente di quanto pubblicato ultimamente e anche in un passato leggermente più remoto, in una cronologia iniziata dal momento in cui, qualche anno fa, nel 2015, nei pressi del Velodromo, furono trovati pochi resti del cadavere di Orlando Carbone, è stata resa pubblica, ad oggi, una motivazione generale e non dettagliata di quel delitto, compiuto, reo confesso, da Salvatore Belforte, che indicò ai magistrati, al tempo in cui era collaboratore di giustizia, il luogo in cui Orlando Carbone era sepolto.

In verità si trattò di un duplice omicidio. Insieme a Orlando Carbone fu ucciso anche Giuseppe Tammariello, detto Pinuccio o’ romano. Quest’ultimo non fu sepolto come Carbone, ma, sempre stando al racconto di Salvatore Belforte, sciolto nell’acido.

Testimone scomodo“: negli ultimi 4 anni, abbiamo letto sempre e solo questa espressione, come fondamento del movente di quel delitto. Ma, testimone scomodo di che cosa? Della strage di San Martino? Se il motivo di fondo è esatto, le sequenze delle azioni e dei fatti hanno un’articolazione leggermente più complessa. A quell’evento criminale, che rappresentò il culmine fondamentale della guerra di camorra tra il clan legato alla NCO di Raffaele Cutolo,

che faceva perno su Paolo Cutillo e sul suo principale luogotenente Domenico Belforte, parteciparono effettivamente l’allora 20enne Orlando Carbone e Tammariello. Correva l’anno 1986. C’era ancora la guerra fredda. Chernobyl incuteva ancora paure al limite della psicosi collettiva, ma tutto ciò non interessava e non apparteneva al mondo circoscritto e regolato dai codici del sangue dei camorristi marcianisani.

11 novembre 1986: strage di San Martino, appunto. Se si è detto, dunque, che Carbone e Tammariello furono ammazzati in quanto testimoni a rischio di quella strage, poco o nulla si è saputo sul ruolo che Carbone rivestì. Non fu killer, non curò direttamente l’individuazione del luogo del massacro, ma si occupò della staffetta, cioè di precedere, con la sua auto, i movimenti delle vetture che portavano i capi e i killer.

Compiuta la strage, l’auto principale con a bordo Paolo Cutillo e Domenico Belforte, procedeva verso la zona del nord Napoletano. Davanti, a circa un chilometro di distanza, c’era l’auto di Orlando Carbone. Nessun telefonino ancora in giro e dunque un corso degli eventi determinato dalle variabili, più o meno casuali, del tempo pre-cellulare. Carbone fu fermato a un posto di blocco da una pattuglia della polizia di stato di Giugliano. Era ricercato perchè doveva scontare un mese di reclusione. Ma lui consegnò i suoi documenti ai poliziotti. Da qui, l’identificazione dell’auto, la cui fuga Carbone proteggeva.

Il resto è storia nota: conflitto a fuoco tra poliziotti e camorristi, ad epilogo del quale rimase ucciso Paolo Cutillo, che dunque nella stessa serata in cui aveva dato scacco matto al clan rivale, uccidendone il capo Antimo Piccolo, moriva a sua volta non godendo, dunque, della rendita criminale, scaturita dalla mattanza dei Quaqquarone. In quel conflitto a fuoco, rimase coinvolto anche Domenico Belforte, il quale fu arrestato.

Qualche giorno dopo, Salvatore Belforte uccise Carbone e Tammariello. Ma quanto contò l’errore del primo che si fece beccare da una pattuglia della polizia, mentre faceva da staffetta all’auto dei due boss? E’ molto probabile che questo verrà svelato nel processo, che si svolgerà a Santa Maria Capua Vetere, con rito ordinario, per quel duplice omicidio e nel quale, è imputato Salvatore Belforte, che è comparso giovedì scorso, 16 maggio, in udienza preliminare, davanti a un gup del tribunale di Napoli.