IL FOCUS. I fratelli d’oro targati clan dei CASALESI. Ecco perchè il giudice aveva considerato fondata l’aggravante camorristica, negata dal Riesame. Le ragioni tutt’altro che peregrine del gip Giovanna Cervo

1 Agosto 2022 - 20:01

Se a Nicola e Vincenzo Schiavone è stata confermata la misura per i reati di intestazione fittizia, di corruzione, turbativa d’asta, eccetera, la bocciatura della contestazione ai sensi del 416 bis comma 1, può determinare un’ipoteca anche sulle future fasi processuali, facendo guadagnare ai pupilli di Francesco Schiavone Sandokan e di Walter Schiavone Scarface, il vantaggio, difficilmente arginabile, della prescrizione o comunque della gestione del processo più agevole. E questo, francamente, per quello che abbiamo letto, non ci convince e vi spieghiamo il perchè. IN CALCE ALL’ARTICOLO LE PAGINE IMPORTANTISSIME DELLO STRALCIO DELL’ORDINANZA DA NOI SCELTO PER LA PUNTATA ODIERNA DEL NOSTRO LUNGO FOCUS

 

CASAL DI PRINCIPE – (Gianluigi Guarino) Se il gip del tribunale di Napoli Giovanna Cervo ha ritenuto, almeno parzialmente, fondate le richieste di applicazione di misure cautelari limitative della libertà personale, anche per l’aggravante camorristico-mafiosa, fino a qualche tempo fa regolata dall’articolo 7 della legge 203 del 1991, oggi inglobata nell’articolo 416 bis, con posizionamento al comma 1, per diversi indagati coinvolti nell’inchiesta sulle gare truccate e sui rapporti inconfessabili tra dirigenti dell’azienda di stato Rete Ferroviaria Italiana, e i due imprenditori, di Casal di Principe, trapiantati a Napoli e a Roma, Nicola Schiavone, che Sandokan in persona, in un’intercettazione pubblicata in questa stessa ordinanza, definisce come o’ monaciello, e Vincenzo Schiavone detto o’ trick, stessa cosa non si può dire per il

tribunale del Riesame che, al contrario, ha ritenuto non consistenti e anche non sussistenti i gravi indizi di colpevolezza relativi all’aggravante camorristica per nessuno degli indagati, dunque neppure per i fratelli Schiavone.

Per questo motivo, essendo arrivati proprio a trattare, nella lunga lettura di questa ordinanza, iniziata lo scorso 3 maggio, in coincidenza degli arresti e dell’esecuzione del provvedimento giudiziario, è normale che abbiamo compiuto uno sforzo per pubblicare, in calce a questo articolo, tutte ma proprio tutte le pagine nelle quali il gip Cervo, facendosi guidare dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha ritenuto che per alcuni degli indagati sussistessero i motivi per la contestazione dell’aggravante camorristica inerentemente ai 6 capi di imputazione che vanno dal 17 al 22 e che, compattamente, organicamente, si legano alla parte dell’indagine che ha messo a fuoco un sistema complesso, articolatissimo, intricatissimo, di società, di consorzi, tutti controllati da Nicola e Vincenzo Schiavone, ma nessuno dei quali, rimanendo ovviamente alla considerazione delle imprese che si occupavano di lavori lungo la rete delle ferrovie italiane, partecipato dai due Schiavone che neppure hanno mai assunto al loro interno una carica amministrativa.

Il gip aggiunge l’aggravante ad un impianto accusatorio relativo alle contestazioni, ai capi di imputazione provvisori inerenti alle intestazioni fittizie riguardanti le società, ormai divenute familiari per i nostri lettori più affezionati, TEC srl, Consorzio Imprefer, Itep srl, Consorzio GSC Global Service, BBS Engeneering e infine, l’ultima arrivata, quella che Nicola Schiavone, dopo aver saputo sin dal gennaio 2019, grazie alla nota fuga di notizie (CLIKKA E LEGGI) cercò di mettere in pista. Si chiamava e si chiama ancora, anche se oggi è sequestrata Tecnos Project ed ha assunto un ruolo attivo giusto in tempo per coinvolgere, tra gli indagati, nuovi prestanomi, persone che in passato non avevano avuto a che fare con  le varie TEC, Itep, GSC, Imprefer, eccetera, ma che proprio per questo ritornavano buoni a Nicola Schiavone per cercare di dissimulare il controllo che intendeva esercitare, in questa sorta di riedizione, di ristrutturazione 2.0, di questa Tecnos attraverso una seconda generazione di teste di legno, formate da Giulio Del Vasto, Vincenzo Calà detto Enzo, e Simone Del Dottore, nomi comunque non sconosciuti ai nostri lettori, visto che alla Tecnos abbiamo dedicato una parte importante di uno dei nostri articoli, durante il lungo focus dedicato a questa indagine (CLIKKA E LEGGI).

Per chi vorrà approfondire, mettiamo a disposizione, come già scritto prima, il testo integrale dello stralcio dell’ordinanza che affronta, in 9 pagine, questa determinata questione. In sintesi, vi diciamo che gli elementi costitutivi dell’aggravante, quello oggettivo che consiste nell’utilizzo del potere intimidatorio di relazioni evidenti con il clan camorristico o mafioso e quello soggettivo che consiste nel pur complesso percorso finalizzato a stabilire se il clan si è avvantaggiato delle specifiche condotte criminali, sono stati valutati entrambi dal giudice, il quale ha escluso la contestazione della citata aggravante attraverso l’elemento oggettivo, cioè attraverso una considerazione del reato o dei reati contestati, (in questo caso del reato di intestazione fittizia), avvalendosi della forza intimidatrice del gruppo criminale.

Lo esclude perchè, “ mancano agli atti (d’indagine n.d.d.) elementi dai quali desumere che le intestazioni fittizie siano poste in essere avvalendosi della forza intimidatrice del clan“.

Diverso il discorso per quel che riguarda la componente costitutiva di tipo soggettivo. Qui l’analisi del gip Giovanna Cervo, densa di riferimenti giurisprudenziali, è costituita da una puntigliosa elencazione di sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Sarebbe troppo lungo e complicato dettagliare le tesi esposte dal gip, ed è per questo che vi abbiamo pubblicato per intere in calce all’articolo le citate 9 pagine, estratte, per l’occasione, dall’ordinanza.

Ma anche in questo caso per quelli che non hanno il tempo di dedicarsi alla lettura analitica degli atti giudiziari, svolgiamo un’azione di sintesi e vi diciamo che alcuni elementi comportamentali , a partire dai rapporti sempre intensi tra i fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone con le famiglie di Francesco  Schiavone Sandokan e di Walter Schiavone Scarface, rivestono un significato rilevante perchè questi rapporti sono costantemente alimentati da versamenti di importanti cifre di denaro, quand’anche non ritenute sufficienti da Sandokan che se ne lamenta più volte, così come abbiamo raccontato in un paio di nostri articoli, nei colloqui carcerari.

Cifre la cui origine era da ricondurre senza se e senza ma, alle attività imprenditoriali di Nicola e Vincenzo Schiavone, la cui qualificazione ha, al contrario di ciò che è successo per l’aggravante camorristica, retto pienamente davanti al tribunale del Riesame, che l’ha confermata in toto. Non a caso (e questo lo aggiungiamo noi a posteriori rispetto all’esposizione del gip) ha confermato i domiciliari per entrambi.

Per cui, l’intestazione fittizia, declinata nella sua contestazione di reato dal capo 17 al capo 22 ha prodotto vantaggi economici indiscutibili per Nicola e Vincenzo Schiavone, per i loro diretti congiunti, per il loro tenore di vita e per quella dotazione finanziaria, aggiungiamo ancora noi, che da un lato ha permesso a Tiziana Baldi, moglie di Vincenzo Schiavone, di trasformare la sua casa di via Genova a Casal di Principe in una sorta di bancomat in cui erano conservate somme di danaro contante superiore ai 100mila euro, dall’altro lato ha consentito a Nicola Schiavone di foraggiare costantemente le necessità di Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone Sandokan, del figlio Nicola junior, di cui monaciello è stato anche padrino di battesimo.

La relazione tra gli incassi, tra gli importi finiti nei conti correnti dei fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone e in quelli delle loro famiglie con il tempo in cui tanti soldi in contanti vengono consegnati a Casal di Principe e Giuseppina Nappa e a Nicola Schiavone, rappresenterebbe a nostro avviso, un elemento in grado di dimostrare che la ragione soggettiva dell’aggravante camorristica esiste eccome.

Tanti soldi per mantenere il tenore di vita di Nicola junior, ma anche tanti soldi versati al noto avvocato penalista napoletano Giovanni Esposito Fariello, per anni e anni legale dello stesso Nicola Schiavone senior e che questi ha voluto anche mettere a disposizione di un altro suo socio di fatto lungo-datato, cioè il ben noto Maurizio Capoluongo (CLIKKA E LEGGI), oggi a piede libero, ma che ha mobilitato anche per le prime necessità giudiziarie di Nicola Schiavone junior e di sua madre Giuseppina Nappa.

Speculare il discorso relativo a Vincenzo Schiavone o’ trick, il quale, nato imprenditorialmente all’ombra di Walter Schiavone Scarface, fratello di Francesco Schiavone Sandokan, si è assunto l’onere, negli anni, di ristorare continuamente le tasche di Nicolina Coppola, moglie di Walter Schiavone senior.

Ma c’è anche una seconda ragione individuata dal gip per considerare fondata la contestazione dell’aggravante mafiosa, in questo caso, camorristica: sin da Spartacus, Nicola e Vincenzo Schiavone si erano mossi costantemente per rendere invisibile o non pericolosamente visibile la loro posizione rispetto alle attività delle varie società e dei vari consorzi che andavano, mano a mano, a costituire.

Lo avevano fatto e hanno continuato a farlo in scienza e coscienza, al servizio di un solo obiettivo: evitare sequestri con finalizzazione di confisca da parte dell’autorità giudiziaria. Un obiettivo perseguito con attenzione e dedizione in modo da comandare ogni operazione, pur non essendo presenti fisicamente negli assetti proprietari delle società, e pur non assumendo cariche amministrative. E se i due Schiavone hanno messo in opera tutti questi marchingegni, è perchè temevano che l’autorità giudiziaria li potesse, a buona ragione, individuarli come soggetti economici in grado di sostenere, di alimentare le casse del clan dei casalesi. Un disegno, ripetiamo, di grande complessità, elaboratocon piena consapevolezza dai fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone.

Difficile pensare, infatti, che persone le quali ritengono di avere, come si suol dire, la coscienza a posto, le quali sono convinte che la propria attività imprenditoriale si dipani al di fuori di ogni dinamica, direttamente o indirettamente collegabile a relazioni con soggetti della criminalità organizzata, si mettano a fare tutto quello che hanno fatto Nicola e Vincenzo Schiavone allo scopo di  mettere in piedi un vero e proprio cartello di prestanomi, di teste di legno, compiendo più volte il reato di intestazione fittizia, contestato dal capo 17 al capo 22, il tutto per eludere i controlli penali dell’autorità giudiziaria e quelli amministrativi, che il governo fa attraverso le prefetture, con le procedure relative alle interdittive antimafia. Ed è per questo, anche per questo, che il gip si pronuncia  affermativamente, anche sull’aggravante di camorra.

Sicuramente, sul piano giuridico il tribunale del Riesame avrà avuto le sue ragioni per escludere l’aggravante camorristica, e magari ci faremo mandare le motivazioni ed anche ovviamente il ricorso che di sicuro la Dda ha presentato alla Corte di Cassazione.

Ma sul piano logico, che, ci rendiamo conto, non è sufficiente, ma è solo una componente di una decisione giudiziaria, l’impianto accusatorio della Dda, almeno ai nostri occhi, regge eccome, anche per quanto riguarda la contestazione ai sensi dell’articolo 416 bis comma 1, già articolo 7 della legge 203 del 1991 per quel che riguarda il  reato di intestazione fittizia, regolato a sua volta dall’articolo 512 bis del codice penale.

Nel dettaglio, oltre all’ovvio addebito nei confronti dei fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone, l’aggravante camorristica è considerata fondata, per quel che riguarda il suo contenuto costitutivo di tipo soggettivo, per i vari Carmelo Caldieri detto Leo, Luca Caporaso, due che al telefono dimostrano chiaramente di essere consapevoli dell’origine, della provenienza di Nicola e Vincenzo Schiavone, ma anche per Umberto Di Girolamo fratello della moglie del Caldieri, per Giulio Del Vasto e Vincenzo Calà.

Non per Del Dottore e per altri indagati di questi 6 capi di imputazione. Il nome di Crescenzo De Vito ce lo siamo lasciati per ultimo. Questo non è un prestanome. E’ un imprenditore ed è, in sostanza, di fatto, a capo di una società importante, quella Macfer che sottoscrive il 45% del capitale del consorzio Imprefer, nel quale rimane dal giorno della costituzione l’11 marzo 2016 al giorno in cui, con un Nicola Schiavone già consapevole di stare dentro ad un’indagine, per lui molto pericolosa, viene liquidato il 15 maggio 2019 non a caso a meno di un mese e mezzo di distanza dalle perquisizioni e che nomina, nella veste di liquidatore, il solito Luca Caporaso.

Crescenzo De Vito da Giugliano ma soprattutto la sua Macfer sono considerati imprenditori molto forti nel settore dei lavori lungo le reti ferroviarie, con un fatturato stabilimente vicino a 18 milioni di euro all’anno. Nel consorzio Imprefer, dunque, si configura una società, una partnership di fatto tra De Vito e Nicola Schiavone, tra il 45% di Macfer che porta in dote i suoi requisiti in grado di allargare lo spettro della tipologia di lavori e dunque di allargare la possibilità di partecipare a un numero sempre più alto di gare, e le quote della TEC srl, strategico e principale soggetto giuridico-economico nella mani di Nicola Schiavone, la Andreozzi Cosruzioni srl, che sostituisce nell’ottobre 2018 la Itep, in pratica una fotocopia della TEC e che viene fagocitata nel cono di influenza di Schiavone, come era successo anche ad altre società in passato.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA