IL COMMENTO CASERTANA. Il perchè di un girone d’andata fallimentare. Quando la somma non fa il totale. Vi spieghiamo il perchè da Sacchi al drone di Sarri
24 Dicembre 2018 - 12:12
CASERTA – (g.g.) I tifosi della Casertana contestano e si lamentano, giustamente, del nulla assoluto espresso dalla loro squadra in questo campionato di serie C, affrontando il quale, il generoso, ma largamente inesperto presidente Giuseppe D’Agostino, ha dovuto comprendere, lo ha fatto, però se è persona intelligente, sulla sua pelle, meglio sarebbe dire, sulla pelle del suo portafogli, quanto, nel calcio di oggi, sia inutile costruire una squadra addizionando singoli giocatori dal curriculum glorioso e dall’ingaggio portentoso, mentre, si sa bene, che un allenatore preparato, forte nell’organizzazione del gioco, è in grado di fare polpette di una squadra che sul piano della cifra tecnica sarebbe, anzi, è, di due categorie superiore a quella condotta dall’allenatore preparato.
Dunque, tu puoi avere tutti i Castaldo, i Vacca, i D’Angelo, gli Zito, i Floro Flores, i Mancino, gli Alfageme, i Padovan di questo mondo, se non hai una guida tecnica informata, evoluta attraverso la consapevolezza che un allenatore dell’anno 2018 non può guidare una squadra come si faceva nel 2005 o nel 2006, rischi il tracollo sportivo e finanziario così come sta accadendo, in queste settimane, ad una squadra sempre più alla deriva e ad una società che morde il freno e che quindi non ha potuto realmente investire su un altro allenatore, dopo l’esonero, fatto dai tifosi più che da D’Agostino e Martone,
Ieri pomeriggio, per la prima volta, abbiamo avuto il tempo di guardare con attenzione una partita intera della Casertana, impegnata nel caldo catino, a dispetto del freddo di una città che sorge a 800 metri sul livello del mare, del Viviani di Potenza.
Uno strazio. Riteniamo che una scena, peraltro ripetutasi più volte durante la partita, possa servire ad avvolgere e a sintetizzare il problema fondamentale di questa Casertana. La Casertana ha perso contro il Potenzia solo per 1 a 0, benedicendo gli errori a ripetizione, compiuti sotto porta dai calciatori lucani, errori che hanno evitato una sconfitta per goleada pienamente giustificata da un andamento del match, che considerare imbarazzante per i colori rossoblù, è dire anche poco. La scena, esponenzialmente ripetutasi, così come ha raccontato il bordocampista della Rai, è consistita in un invito, formulato ad alta voce, dall’allenatore Raffaele Esposito e dal direttore tecnico Nello Di Costanzo “ad accorciare, ad essere compatti“, come se il dirlo, il chiederlo, significhi spostare la responsabilità dell’attuazione di questi dispositivi tattici in capo ai calciatori.
Per come Esposito e Di Costanzo hanno impostato la esposizione del loro rilievo, verrebbe da pensare ad una squadra che si muove perfettamente e in sincronicamente in 11. Si pensa ad una squadra frutto della risultante, di un atteggiamento di ogni singolo attore tutto volto alla realizzazione di un valore tattico, tecnico e agonistico di tipo collettivo. Undici componenti di una corale, di un’orchestra che si azionano ognuno in armonia nei movimenti passivi, finalizzati alla riconquista della palla, e attivi, finalizzati all’utilizzo produttivo del pallone dopo la sua conquista.
Due allenatori che urlano, quasi disperatamente, questa direttiva, si sentono traditi, perchè non vedono durante la partita, quello che viene provato, ma anche realizzato, con piena riuscita, in allenamento. E qeusto perchè, in partita i vari Castaldo, Padovan, D’Angelo, Vacca e compagnia, si rincoglioniscono e scordandosi di aver militato in compagini con allenatori in grado di accorciare sul serio, dimostrano tutta la loro insipienza tattica.
Il calcio moderno è quello che si è dipanato da Arrigo Sacchi in poi che aveva ripreso, perfezionato e sviluppato il modello olandese, prima vera esperienza di calcio collettivo o totale, come si chiamava allora, in grado di andare in finale con i nomi, cioè con i Cruijff, con i Rep, con i Krol, con i Rensenbrink eccetera, ma anche di farlo senza Cruijff e con una squadra molto più proletaria, sostenuta dal gioco corale più che dalle stelle del football di allora, nel 78, in quel Mondiale argentino che, diciamo così, un minimo di attenzione arbitrale e qualche combine, orientarono dalla parte dell’Albi celeste, in un anno in cui la dittatura militare di Buenos Aires cercava una grande affermazione sportiva per tenere il popolo buono.
Chi non ha studiato, anno per anno, il calcio, da Sacchi in poi; chi non ha acquisito conoscenze dei movimenti del suo Milan, chi non conosce le modalità che hanno costruito il giocattolo perfetto di quella fluida armonia, attraverso cui 10 giocatori (ma mettiamoci anche l’undicesimo perchè il portiere di Sacchi era diverso, doveva fare cose diverse da un portiere di un’altra squadra), non potrà mai seriamente costruire, prima di tutto imitandolo e poi mettendoci qualcosa di suo, il modello di quella squadra corta, invocata nelle disperate, quanto vane, disposizioni erogate ieri pomeriggio dalla coppia Esposito-Di Costanzo.
Il drone di Maurizio Sarri, non a caso considerato da Sacchi il suo vero, effettivo erede, non è altro che un’elaborazione, un perfezionamento, una capacità di utilizzazione delle nuove tecnologie, del “sacchismo”, trasformato in sarrismo. Nessuno degli storici del calcio di questo paese ricorda, nella misura che meriterebbe di essere ricordata, quella che è stata una pietra miliare del nostro calcio, non più oggetto di aggressione tecnico tattica ed agonistica da parte degli avversari storici, ma soggetto in grado di aggredire di imporre il proprio gioco. Andrebbe ricordato di più che Arrigo Sacchi (e ve lo dice con sofferenza un tifoso del Napoli, il quale in quegli anni non riusciva a spiegarsi, salvo poi capirlo, perchè una squadra con dentro Maradona, Careca, Giordano, Carnevale, Alemao, prima ancora Bagni, De Napoli, Renica eccetera appariva, in certi scontri diretti, come quello storico del 1988, una squadretta di serie C al cospetto di un Milan che aveva Gullit, Van Basten, Reijkard, Baresi e Maldini, ma che schierava tra i titolari anche Colombo, Evani, spetto Nava, Tassotti per citarne solo alcuni), ribadiamo, andrebbe rimandato di più alla memoria dei posteri, il fatto che Sacchi sia stato il primo allenatore italiano a rompere il tabù del Santiago Bernabeu, dove tutti, a partire dalla decantatissima Juve trapattoniana di Platini, Boniek e compagnia, andavano ad erigere muri difensivi, muniti da catenacci leggendari, a dominare, davanti a 100 mila spagnoli increduli nel vedere, quella sera, in Coppa dei Campioni, una partita che non avevano mai visto in passato (al ritorno il Milan avrebbe distrutto quel Real infliggendogli uno storico 5-0).
La sua squadra, la squadra di Sacchi, fu fermata sull’1 a 1, solo a causa di una serie di decisioni arbitrali sconcertanti, come quelle che ogni compagine dovev immancabilmente subire nell’inferno di quello stadio di invincibili. Ma quella sera si capì che quel Milan, quell’allenatore sarebbero stati destinati a dominare l’Europa ed il mondo per anni, così come poi effettivamente capitò.
Conclusione: d’accordo, facciamolo senza drone, ma se, effettivamente, la coppia Esposito-Di Costanzo vogliono una squadra corta e aggressiva, capace di utilizzare le stabilmente ridotte distanze tra reparto e reparto, per raddoppiare e triplicare in un pressing funzionale a delle ripartenze veloci e micidiali, occorre che il buon Esposito e il buon Di Costanzo, si rendano conto che la zona di Lidholm era una cosa, figlia del suo tempo, di un tempo che non è più; quella di Sacchi, da cui poi sono stati generati tutti i meccanismi del pressing, con la variabile sarriana, mutuata dalla scuola spagnola di Pep Guardiola, a sua volta allievo del gioco di Sacchi, di un possesso palla prolungato, quando la ripartenza fulminea non è possibile, è tutta un’altra cosa.
Quando loro, i due allenatori dei Falchetti, dalla panchina, chiedono alla squadra di accorciarsi e di accorciare, parlano di Sacchi, parlano di Sarri, parlano di Guardiola e Klopp, parlano in parte di Ancelotti e Allegri, in scala dell’allenatore della Sampdoria Gianpaolo, i quali più pragmaticamente conoscono benissimo il sistema sacchiano (e figuriamoci, Ancelotti ha giocato in quel Milan), ma la applicano con qualche variabile camaleontica e in maniera meno fondamentalista.
Il presidente D’Agostino non leggerà sicuramente questo articolo. La sua dimensione, in termini di cultura del calcio, è, infatti, diversa da quella che trasuda da questa nostra riflessione. Insomma, non sappiamo se conosca il football al punto da poter riflettere su questa nostra analisi.
Ma stia sicuro che il problema della Casertana è questo. Almeno il problema principale, da cui discendono tutti gli altri. Complicato far ripartire, anzi far partire, il meccanismo. Complicato, ma non impossibile. Occorrerebbe un presidente più umile che rifletta, per esempio, sul motivo per cui la Juvestabia, con un organico inferiore almeno a quello di altre 10 squadre, che partecipano al campionato di serie C, non solo il torneo lo sta vincendo ma addirittura lo sta stravincendo, avendo messo, a 10 punti di distanza, la seconda in classifica.
Occorre intelligenza, analisi e capacità di mantenere il cervello freddo, sapendo quello che si sta facendo e avendo conoscenza del prodotto che si sta maneggiando.