IL NEOPENTITO. Pierino Ligato: un camorrista feroce, ma senza carisma. Lontano mille miglia dalle stimmate del boss Raffaele Lubrano
29 Marzo 2025 - 17:23

L’INTERVENTO DI SALVATORE MINIERI. Protetto per anni dall’omertà della piccola borghesia di Pignataro, ha bombardato macchine e case dei giornalisti non allineati
PIGNATARO MAGGIORE (di Salvatore Minieri) – Bombe sotto le abitazioni dei commercianti più in vista del paese, pestaggi animaleschi davanti agli occhi di tutti, persino dei bambini. Agguati agli imprenditori che si rifiutavano di pagare le tangenti, in un clima di terrore opprimente che Pignataro Maggiore non è mai riuscito a dimenticare.
Dalla metà degli anni ’90, Pietro Ligato, pericolosissimo e incontrollabile rampollo della famiglia mafiosa Lubrano-Ligato, ha tenuto sotto scacco l’intero Agro Caleno, sopperendo alla assoluta mancanza di carisma criminale con la ferocia inaudita. Persino i suoi sodali venivano reclutati tra le fasce più deboli del sistema sociale, tra disadattati e personaggi che avevano difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena. Ligato, come nella ottocentesca logica cutoliana, li faceva sentire parte di un sistema violentissimo e temuto da tutti; caricava l’ego instabile dei suoi affiliati-reietti con un senso di onnipotenza criminale fuori dal comune. E’ da questo modus operandi che maturano i quasi venticinque anni di terrore e paura di poter diventare vittima designata di un’aggressione sanguinaria o di un attentato a colpi di pistola.
Un asfissiante cono d’ombra che ha tenuto sotto silenzio Pignataro Maggiore e tutto il circondario, anche grazie a complicità e collusioni inconfessabili di una larga fetta della piccola borghesia locale. Ligato aveva capito di dover silenziare soprattutto i giornalisti della zona. E, allora, sul taccuino delle azioni e delle rappresaglie, non erano mai mancati attentati a colpi di arma da fuoco nei cancelli delle abitazioni dei cronisti, pesci morti sulle loro automobili, esplosioni di bombe carta sotto casa dei parenti di chi scriveva del clan Ligato sui giornali. Terrore nero che ha soffocato la città e l’intera area per oltre due decenni.
Pietro Ligato non ha mai avuto l’allure criminale e il carisma di suo cugino, il boss Raffaele Lubrano, “Lello” per amici e cumparielli di una vita. Lubrano, infatti, era temutissimo dai Casalesi proprio per la sua straordinaria capacità di intessere relazioni al di fuori del recinto della logica criminale, di essere riferimento persino di imprenditori di caratura nazionale e di molti politici di rilievo. Proprio per le credenziali da boss colto e avanzato, Raffaele Lubrano ha trovato la morte in un agguato in stile Al Quaeda, organizzato dagli uomini di Schiavone nel novembre del 2002, per chiudere definitivamente l’ascesa criminale che lo avrebbe portato ad occupare il ruolo di figura più importante e influente della fazione che si contrapponeva proprio ai Casalesi.
Pietro Ligato, invece, non ha mai dato prova di saper creare un sistema diversificato di potere e controllo del territorio perché tutto passava solo attraverso l’uso massivo della violenza più visibile e smaccata.
Il cambio di rotta, una modernizzazione del paniere degli interessi criminali del clan guidato da Ligato, non c’è mai stato. Anzi, le dinamiche espressive della consorteria criminale pilotata dal violento ras pignatarese ricalcavano gli stilemi da vecchia paranza dell’Ottocento: controllo del territorio attraverso una costante presenza delle vedette riferibili a Ligato, aggressioni alla luce del giorno a chi non si allineava ai desiderata della batteria criminale e metodi rozzi di sostentamento economico del sodalizio criminale. Estorsioni a colpi di pestaggi da esibire come dimostrazione di forza, esplosioni, incendi e nulla più.
Mai il clan capeggiato da Pietro Ligato è riuscito e introdursi strutturalmente negli ingranaggi più articolati della gestione politica, economica e burocratica della provincia casertana.
A gennaio del 2023, quando Ligato è stato tratto in arresto per l’ennesima volta, nella sua villetta alla periferia di Pignataro Maggiore, sono state trovate apparecchiature hi-tech che avevano fatto pensare a una sostanziale modernizzazione del clan pignatarese. Dai sistemi per disturbare strumenti di intercettazione, passando per i telefoni di ultimissima generazione, fino ai due droni con telecamere per la visione notturna.
Materiale costosissimo che aveva spinto qualche giornale poco pratico della vera natura del clan Ligato a titolare in maniera superficiale e stereotipata “Il boss stava preparando il clan 2.0”. Nulla di più sbagliato.
Ligato usava quei droni notturni per controllare anche a tarda sera i movimenti degli imprenditori da taglieggiare e, forse, anche delle Forze dell’Ordine che lo tenevano sotto controllo. I droni, errore marchiano di un camorrista mai cresciuto dal punto di vista criminale e culturale, rientravano direttamente presso il giardino di Pietro Ligato, tanto da farlo scoprire dai militari che stavano tracciando i movimenti dei macchinari in volo. Perché l’ossessione del boss era solo l’oppressione paramilitare e violenta del territorio. Quella che per oltre vent’anni ha funzionato anche grazie alle tante complicità che il pentimento di Ligato potrebbe finalmente scoprire.
L’attendibilità del giovane ras potrà essere valutata tra circa sei mesi. In mezzo, ci sono le elezioni comunali a Pignataro Maggiore e c’è da affrontare una seria valutazione delle compromissioni della “società insospettabile” che ha prestato il fianco, per interesse o per timore, al clan di Pietro Ligato.
In molti giurano che il pentimento del boss potrebbe influire in maniera profonda sugli equilibri e sul risultato finale della tornata elettorale, ma è difficile dare corso e conto a questa teoria perché Pietro Ligato, in un’epoca di colletti bianchi ed evoluzione culturale di una mafia che può esibire due lauree e un Master in America, non pare sia mai andato oltre l’ostentazione di giubbotti firmati, motociclette fiammanti e spranghe di ferro per riportare a miti consigli chiunque non si allineasse ai suoi voleri di gregario mafioso. Violentissimo e temibile, ma gregario a vita. Fino al pentimento.