Imprenditori e commercianti “strozzati” dal racket del clan dei Casalesi: la procura vuole 4 condanne
1 Luglio 2025 - 09:51

AVERSA – Si è svolta ieri, presso il tribunale di Napoli Nord, ovvero quello con sede ad Aversa, la requisitoria del pubblico ministero nel processo che vede imputati Antonio Barbato, Carmine Lucca, Antonio Chiacchio e Antonio Palumbo. I quattro sono accusati di aver fatto parte di un’attività estorsiva condotta sotto il controllo del clan Bidognetti, storicamente legato al cartello dei Casalesi. Al termine dell’intervento, il PM ha avanzato le seguenti richieste di condanna: 11 anni di reclusione per Carmine Lucca, 7 anni per Antonio Palumbo, 9 anni per Antonio Chiacchio e 10 anni e 6 mesi per Antonio Barbato.
I fatti contestati risalgono al biennio 2018-2019 e ruotano attorno a una serie di estorsioni messe in atto, secondo la Procura, ai danni di un commerciante di Teverola, titolare di un minimarket. In particolare, Barbato e Lucca avrebbero sfruttato il proprio “peso criminale”, legato alla loro presunta affiliazione ai Casalesi, per ottenere generi alimentari senza mai pagare, alimentando un clima di intimidazione e paura.
Tra gli episodi più gravi contestati, anche un tentativo di estorsione da parte di un uomo identificato come Improda, che avrebbe preteso 1.500 euro dalla vittima, trattenendo l’auto del figlio del commerciante come forma di pressione. Non solo generi alimentari: gli imputati sono accusati anche di aver imposto l’acquisto forzato di materiale pubblicitario a prezzi gonfiati e di aver chiesto denaro con la giustificazione di fare “regali” ai detenuti, in realtà sempre sotto la minaccia implicita della loro vicinanza al clan.
Il procedimento non si svolge presso il tribunale normalmente competente per i maxi-processi contro i Casalesi, ma ad Aversa per motivi di territorialità. Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Giovanni e Michele Cantelli. Nel corso dell’udienza di oggi, ha deposto un testimone della difesa, omonimo e parente di uno degli imputati, Carmine Lucca. Il testimone ha dichiarato che tra l’imputato e la vittima esistevano rapporti “buoni” e una conoscenza pregressa, nel tentativo di ridimensionare il quadro accusatorio.