Innocente ucciso dalla camorra. I familiari chiedono lo status di vittime. Ma il ministero e i giudici: “No ai soldi dello Stato, avete parenti delinquenti”

21 Luglio 2025 - 16:26

CASAPESENNA – La Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente la lunga battaglia legale di Filomena Natale, Rosa Pagano e Romilda Pagano, moglie e figlie di Pasquale Pagano, ucciso nel 1992 in un agguato di camorra a Casapesenna per un tragico scambio di persona. Nonostante la vittima fosse riconosciuta come estranea alla criminalità organizzata, i giudici hanno stabilito che i legami familiari delle richiedenti con persone coinvolte in reati costituiscono un ostacolo insuperabile per accedere ai benefici previsti dalla legge per le vittime innocenti della mafia.

Pasquale Pagano, senza alcun legame con la criminalità, perse la vita il 26 febbraio 1992 in un agguato destinato a un altro bersaglio, così come Paolo Coviello, anche lui ucciso nell’agguato. Per anni il caso è rimasto senza colpevoli, fino alla riapertura delle indagini che nel 2015 portarono alla condanna degli assassini. La sentenza del Tribunale di Napoli confermò ciò che la famiglia sosteneva da sempre: Pagano era stato ucciso per errore, una vittima innocente.

Nel marzo 2017 la Corte d’Assise d’Appello di Napoli ha condannato quattro esponenti della famiglia camorristica Venosa, legata al clan dei Casalesi, e un quinto imputato, Francesco Carannante, per l’omicidio di Paolo Coviello e Pasquale Pagano.

Nel 2015, le familiari presentarono domanda per ottenere i benefici previsti dalla legge 302/1990, destinati a chi subisce lutti per crimini di mafia. Il Ministero dell’Interno però respinse la richiesta nel 2017, sostenendo che alcune parentele (entro il quarto grado) con persone condannate per reati escludevano la “totale estraneità” richiesta dalla normativa.

La famiglia Pagano ha sempre urlato a gran voce la propria estraneità a contesti criminali, ma alcuni problemi, secondo sempre i parenti della vittima, di un loro familiare con condanne relative a spaccio di droga, avvenuta molti anni dopo il delitto, è stata ritenuta probante dal ministero dell’Interno prima e dei giudici poi, come motivo ostativo per l’erogazione del risarcimento.

Nonostante il Tribunale di Roma avesse dato loro ragione nel 2019, la Corte d’Appello ribaltò tutto nel 2022, ritenendo che i legami familiari, anche indiretti, fossero sufficienti per negare i benefici. Ora la Cassazione ha confermato questa linea, chiudendo ogni speranza. Il principio di uguaglianza non è violato, perché la normativa mira a evitare che i benefici finiscano a chi, pur non condannato, ha comunque connessioni con la criminalità.