La “banca” dei “Repezzati”: “Ha detto compare Vincenzo, fateci questo piacere”

27 Gennaio 2019 - 13:25

CASAPESENNA – Le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia piuttosto risalente, insomma, datato, qual è Salvatore D’Alessandro, per di più tirate fuori dall’archeologia del processo Spartacus, diventano comunque importanti, perché oggi possono diventare un elemento di confronto con dichiarazioni recenti, come quelle di Attilio Pellegrino o, addirittura recentissime come sono quelle di Antonio Iovine detto o’ ninno e, ancor di più, di Nicola Schiavone.

Per anni e anni sono stati confinati nel cassetto, perché da sole non volevano dir nulla, non erano certo sufficienti per costruire un’accusa. ora, combinate alle altre, il loro ruolo si rigenera. D’Alessandro, naturalmente, racconta il suo tempo che serve fondamentalmente a confermare lo strettissimo rapporto che legava i due fratelli Armando e Costantino Diana, sopravvissuti ad Antonio Diana, ucciso nel 1985, a Vincenzo Zagaria, cioè un boss di primissimo piano rispetto al quale i due, stando alle dichiarazioni di D’Alessandro, si mostravano a dir poco obbedienti. Non c’era assegno che non cambiavano quando gli veniva portato in nome e per conto. Poi, se era di Biondino o di qualche altro camorrista non contava granché, al cospetto dei due fratelli Diana andava pronunciata sempre la solita parola magica: “Ha detto compare Vincenzo, fateci questo piacere”.

E il piacere veniva sempre fatto immancabilmente. I Diana, che al tempo andavano ancora d’accordo prima di litigare per la questione dei capannoni di Gricignano, non trovavano ostacoli neanche sull’orario di chiusura delle banche. Vincenzo Zagaria gli mandava l’assegno postdatato e loro lo “ripulivano” con contante a vista. Ma erano anche i tempi in cui altri boss di rilievo, a partire da Dario De Simone, uno dei primi pentiti della storia del clan dei Casalesi, si rapportavano, secondo D’Alessandro che proprio dal racconto cita dettagli sia relativi ai luoghi che agli incastri temporali, confidenzialmente in una sorta di rapporto para-familiare ad Armando e Costantino Diana.

Insomma, giunti quasi alla fine della lettura di questa ordinanza, noi non sappiamo certo stabilire se il rapporto tra i nipoti di Armando e Costantino, cioè i gemelli Antonio, più dedito all’organizzazione aziendale, e Nicola, specializzato con il rapporto tra le banche, e i vari esponenti del clan dei Casalesi possa configurare, come ritengono invece i magistrati inquirenti della Dda, un concorso esterno nell’associazione camorristica. Sappiamo e capiamo, però, perché questo è il nostro mestiere, che la narrazione, la struttura logica di certi ragionamenti dei pentiti, lasciano poco spazio al dubbio sul fatto che Armando e Costantino Diana e cioè coloro che costruirono le basi dell’impero economico, erano dentro mani e piedi a quel sistema.