La Dda: “Mimmo Pagano è un camorrista”. Il periodo di Zagaria e quello di Nicola Schiavone e lo strano silenzio del pentito Luigi Cassandra
26 Febbraio 2021 - 13:15
L’evidenza del principale capo di imputazione provvisorio per il quale l’imprenditore è accusato di associazione a delinquere di stampo camorristico, ci suggerisce qualche riflessione in cui cerchiamo di mettere un pò di logica a valle di una narrazione, che è storica senza se e senza ma
TRENTOLA DUCENTA – (g.g.) La formulazione del capo di imputazione provvisorio più importante della recente ordinanza che ha portato all’arresto del noto imprenditore di Trentola Ducenta Domenico Pagano, detto Mimmo, ci offre il destro per esprimere una nostra idea di impostazione del lavoro giornalistico e non può prescindere dai due tempi, dalle due porzioni, dai due segmenti della presunta attività operativa di Pagano come esponente, come partecipante al clan dei casalesi, così come viene contestato testualmente dalla Dda con l’ipotesi di reato contenuta nel citato capo 1, cioè il 416 bis.
I due tempi sono i seguenti: dall’ultimo periodo degli anni 90, fino a un certo punto del primo decennio del nuovo millennio, la Dda ritiene evidentemente di avere elementi per affermare che Pagano sia stato dentro al circuito degli interessi criminali di Michele Zagaria.
I nostri lettori conoscono bene, avendolo appreso da molti articoli di questo giornale, i motivi per cui i Capoluongo ruppero i rapporti con Michele Zagaria, farmacia di Trentola e dintorni. Dunque, nel momento in cui i Capoluongo, soprattutto Giacomo Capoluongo, si “vanno a coprire” da Nicola Schiavone, cambia anche la struttura degli interessi economici, relativamente alle interazioni criminali dei medesimi, di Mimmo Pagano. Se leggete bene il capo di imputazione provvisorio, si capisce in maniera chiarissima: da…a… con Michele Zagaria, da…a….con Nicola Schiavone.
Ed è a questo secondo periodo che appartengono i fatti contestati a Pagano. A suo tempo, pubblicammo le dichiarazioni che lo Schiavone aveva declinato da collaboratore di giustizia ai magistrati della Dda, formulando un concetto chiaro: lui era divenuto socio di fatto di Mimmo Pagano, al punto da aver conferito la cifra di 500mila euro per un’operazione immobiliare di Capua. Una circostanza contenuta anche nel capo di imputazione provvisorio che pubblichiamo in calce.
Ma non è solo Nicola Schiavone ad accusare Pagano. Altri pentiti lo coinvolgono pesantemente. E allora, rispetto a questa formulazione, ci risulta ancora una volta strano che colui il quale viene considerato il principale collaboratore di giustizia sui rapporti tra camorra, politica, colletti bianchi eccetera in quel di Trentola Ducenta e non solo, cioè Luigi Cassandra, punto di riferimento di Michele Zagaria, non abbia raccontato nulla sul rango che il suo concittadino Mimmo Pagano aveva proprio nel cartello dell’allora primula rossa di Casapesenna, iper-attiva sulla piazza di Trentola, così come hanno dimostrato diverse ordinanze, a partire da quella del Jambo.
Ordunque, siccome da qualche tempo ci siamo persuasi che sia arrivato il momento per una solida e ovviamente sempre argomentatissima e documentatissima trattazione ordinaria, non più emergenziale dei fatti di camorra, possiamo rientrare nei nostri abiti naturali, cioè quelli liberali. Per questo motivo, è giusto anche riflettere sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, quando queste ci sembrano incongrue o quando queste ci sembrano, o meglio sembrano in relazione alla nostra documentazione pubblicata e alle nostre argomentazioni esplicitate, stranamente elusive.
Perchè un collaboratore di giustizia, se è credibile, lo deve essere sempre, in ogni circostanza e mai e poi mai deve sorgere il sospetto di una sua trattazione selettiva dei fatti raccontati.
Perchè se così fosse, anche quelle dichiarazioni, qualificate come credibili, genuine, finiranno per contenere un difetto a monte. E se questo poteva essere un amaro calice da accettare nel momento della grande emergenza criminale, ciò non può accadere in eterno, perchè eterno, in una democrazia, non può essere uno stato di emergenza giudiziaria legato alla minaccia ferale e mortale della criminalità organizzata.
QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA