LA DOMENICA DI DON GALEONE

14 Luglio 2024 - 07:52

In Israele, il profetismo non è un’istituzione come la regalità o il sacerdozio: Israele si può dare un re, un sacerdote, ma non un profeta, che è sempre un dono di Dio; profeta si diventa per una speciale chiamata di Dio, non per designazione o consacrazione degli uomini. Amòs non è, come Amasìa, un profeta stipendiato dal re, un cappellano di corte: egli è scelto da Dio, dev’essere fedele solo a Dio (I lettura). In Marco, il profeta ha la vocazione speciale di annunciare il vangelo, e lo stesso Gesù descrive come dev’essere equipaggiato il profeta nella sua azione missionaria (vangelo).

Prima lettura Collochiamo il brano di Amòs nelle sue coordinate storiche. Siamo nel regno del Nord (detto anche di Samaria o d’Israele o di Efraim), al tempo del re Geroboamo II (VIII sec. a.C.). Il paese è all’apice della potenza economica. Anche la religione viene praticata e favorita; i santuari sono pieni di pellegrini che portano soldi e doni al tempio. A suo modo, anche Geroboamo II è un re religioso: stipendia i sacerdoti e le spese dei templi. Uno splendido accordo di sacerdotium

et regnum, di trono e altare! Sembra che stiamo parlando dei nostri tempi! Un giorno arriva a Betèl, dove sorge il santuario maggiore, un uomo rude, dal volto bruciato dal sole, perché è un mandriano di pecore (בּ קר) e un raccoglitore di sicomòri. Il suo nome è Amòs di Teqòa, a pochi chilometri da Bet Lèchem. Invece di rallegrarsi per la ricchezza e la pace che regnano, si scaglia contro il re, attacca i sacerdoti stipendiati, i magistra corrotti e i commercianti disonesti … Il motivo? La ricchezza è privilegio solo di alcuni, fa dimenticare Dio, conduce all’idolatria. La stessa religione è solo menzogna ed esteriorità: “Io detesto le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti , io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra il diritto come le acque e la giustizia come un torrente perenne” (Am 5,21). Di fronte a tali denunce, il capo dei sacerdoti di Betèl, Amasìa, va dal suo padrone che lo stipendia e poi minaccia: “Questo è il santuario del re. Torna al tuo paese se sta a cuore la vita!” (Am 7,13). Amòs gli risponde: “Non sono un cappellano di corte, come te. Non ho bisogno di adulare nessuno. Vado via, ma prima ascolta queste mie cinque profezie: tua moglie bacierà il marciapiede; i tuoi figli saranno uccisi in guerra; le tue ricchezze finiranno ad altre persone; tu morirai in terra straniera; il regno d’Israele sarà distrutto”. Tutto si avvera: nel 721 il re assiro conquista la Samaria. Finiva così “l’orgia dei buontemponi” (Am 6,7).

Necessità della burocrazia e del carisma Ricordiamoli questi due personaggi opposti e così attuali. Le leggi della sociologia ci insegnano che istituzione e carisma non vanno mai d’accordo. È vero, ma nella chiesa non deve accadere: il Concilio insegna che tutti i credenti sono profeti, che il popolo di Dio è un popolo profetico. Purtroppo, nella storia si sono verificati molti dissidi tra i tutori dell’istituzione e i profeti. È un dissidio doloroso, che esige pazienza, ma anche coraggio. Guai a noi se tacciamo per una malintesa prudenza, per non incorrere nei fulmini della scomunica! Chi crede, chi ama, non può tacere. Chi vive tranquillo nell’istituzione, eseguendo quanto gli viene chiesto, senza turbamenti interiori, non è un innamorato né di Dio né dell’uomo.

Li mandò a due a due … Mandati ! Lo siamo tutti anche oggi, da Gesù in persona, per il semplice fatto di avere ricevuto il battesimo. Gli apostoli anzitutto e missionari per primi. E gli altri, i laici? Anch’essi sono inviati, perché la missione è un dovere per tutti. Difficile far capire ai cristiani distratti cosa è una missione; forse i grossi libri non servono. Bisognerà fare come Gesù: prendere alcuni in disparte, non le masse, ma a due a due, senza proclami, solo con qualche consiglio semplice. Sarebbe bello che il vescovo, radunato un piccolo gruppo, dicesse queste parole in tutta semplicità: “Cari amici, voi siete mandati. Non lontano ma a casa vostra. Volete fare i missionari di mestiere? Bene, ecco come: “State insieme in famiglia, parlatevi, pregate insieme, soprattutto amatevi. Date una mano ai vostri vicini. Abbiate pazienza con i vecchi, visitate i malati. Non pensate solo alle ricchezze, perdonate e chiedete perdono. Occupatevi anche dei problemi della vostra città, non criticate perché la società non ha bisogno di giudici né di giustizieri, ma di amici. Andate a messa la domenica, salutate tutti, regalate un sorriso: c’è tanta tristezza in giro. Lavorate, guadagnate, ma date a chi ha meno di voi. La sera andate a dormire in pace, prima però fate quattro chiacchiere con Dio!”. Ecco come farsi missionari, siamo tutti manda per fare queste cose. Sono troppe? Non è obbligatorio riuscire a farle tutte: obbligatorio è solo l’impegno!