La Domenica di Don Galeone. Con Gesù ci inoltriamo nel deserto per quaranta giorni per verificare dove stiamo andando e riprogrammare il cammino dietro a Lui…

18 Febbraio 2024 - 15:52

18 Febbraio 2024 ✶ Prima Domenica di Quaresima (B)

Quaranta giorni per “cambiare testa”

La quaresima è un tempo privilegiato, un momento forte, un periodo che prepara alla festa più importante dell’anno, la Pasqua. Comincia il ciclo liturgico quaresimale, un periodo di quaranta giorni. Quaranta è un numero simbolico: quaranta furono anche i giorni del diluvio, che si conclusero con l’arcobaleno e l’alleanza tra Dio e Noè; quaranta furono gli anni del popolo ebraico nel deserto, durante i quali il nuovo popolo entrò nella terra promessa; quaranta furono anche i giorni del digiuno di Mosè, di Elia, e di Gesù nel deserto; gli abitanti di Ninive ebbero quaranta giorni a disposizione per convertirsi; quaranta sono pure i giorni dell’avvento e della quaresima, tempo per riflettere sulla Parola. Mi piace pensare che la parola ‘quaresima’ deriva dal verbo latino ‘quaerere’, che significa cercare, desiderare, impegnarsi. Sant’Agostino, ai suoi fedeli di Ippona, dava questo impegno all’inizio della quaresima: pregare di più, digiunare di più, donare di più.

Il diluvio

I popoli della Mesopotamia dovevano la loro prosperità a due grandi fiumi, il Tigri e l’Eufrate, che erano però anche pericolosi. Nelle tradizioni antiche del Medio Oriente troviamo molti accenni a un diluvio. La tradizione più antica, in lingua sumerica, risale al terzo millennio a.C. . Un diluvio “universale” è materialmente impossibile: non esiste alcuna testimonianza geologica, anzi, è provato il contrario. Anche gli esegeti cattolici lo riconoscono: “Alle

spalle di questa narrazione ci sarà stata una catastrofe mesopotamica divenuta oggetto anche di poemi mitologici orientali” (Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana). L’autore sacro si è servito del mito del diluvio non per insegnare che Dio perde la pazienza e castiga – Dio non ha mai provocato nessuna inondazione o catastrofe! – ma per invitare a non scoraggiarsi di fronte al male. Quel comando di Dio vale anche oggi: 6,14 Costruisciti un’arca di legno di gòfer (Gn … ֲע שה ְל ך ת בת ֲע צי־ ג ֶפר ). Davanti alle difficoltà non dobbiamo arrenderci ma inventare, costruire anche noi la nostra arca di salvezza.

Dio non si rassegna di fronte al male, interviene, ricostruisce un’umanità nuova alla quale promette la sua benedizione: Io stabilisco la mia alleanza con voi (Gn 9, 11). Dio non aspetta che l’uomo diventi migliore per essere generoso con lui, ma lo prende così com’è e lo trasforma in creatura nuova. Il brano si conclude con l’immagine dell’arcobaleno, segno della prima alleanza, anteriore a quella di Abramo ֶאת־ק ְש ִתי נָ ת ִתי ֶ ב ָע ָנ ן ׃ … Il mio arco pongo sulle nubi (Gn 9,13). Noè non era israelita né cristiano né musulmano; era un uomo “giusto e integro, che camminava con Dio(Gn 6,9), era il capostipite dell’umanità nuova, che non conosce discriminazioni di razze, popoli, religioni. Con quest’umanità Dio ha stipulato un patto, promettendo a tutti una salvezza incondizionata. Abbiamo qui la prima teologia della sua “volontà salvifica universale”, che poi sarà esplicitata nel Nuovo Testamento: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati” (2Tim 2,4).

Il deserto

Quest’episodio del Vangelo è servito a far sognare monaci, poeti, mistici, artisti. È stato anche utilizzato per giustificare la ‘fuga dal mondo’, il disprezzo delle realtà terrestri. Mentre nella chiesa primitiva, i monaci e le vergini erano nel mondo, verso il IV secolo si svilupparono l’eremitismo, il cenobismo, l’anacoretismo, dimenticando la raccomandazione di Cristo: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo!” (Gv 17,15). Perché entriamo nel deserto? Non per fuggire il mondo, non per indossare tele di sacco e cilici di sofferenza, ma per vincere quei ‘diverssements’ di pascaliana memoria, che allontanano l’uomo dai valori che contano.

Oggi sembra che la grande ambizione di tanti operatori pastorali sia quella del “ritiro spirituale”. Non vorrei essere frainteso. È utile il ritiro spirituale, non come ‘fuga dal mondo’, ma come ‘conversione del cuore’. La più grande gioia dell’uomo è l’indolenza mentale. È felice se può dimenticarsi e abbrutirsi a forza di lavorare. La donna è, in genere, più attenta ai valori personali, vuole che quanto fa le somigli; l’uomo, invece, vuole somigliare a quanto fa; gli piace pensare solo a quello che fa (cioè a quello che guadagna!). Nel deserto, l’uomo si blocca, sente che deve iniziare a pregare, una preghiera priva di ogni orgoglio. Comincia a trovare Dio. Comincia a ritrovare se stesso! Sente di non avere verità profonde. La sua verità è in un Altro. È un Altro!

Buona vita!